Ma le ha, e sono sorprendentemente invadenti e soprattutto vengono cambiate unilateralmente. In pratica, se comprate una “smart TV”, pagate per farvi schedare e spiare: quello che dite mentre il televisore è acceso verrà registrato. Non dai criminali informatici, ma dai produttori di questi dispositivi.
È un problema segnalato da varie fonti, come Techdirt e Salon, i cui esperti si sono presi la briga di leggere le tediosissime pagine informative sulla privacy che accompagnano questi e altri dispositivi “smart”. Per esempio, l'informativa generale di Samsung dice che Samsung “usa tecnologie... che consentono di sapere quando avete visto uno specifico contenuto o una specifica mail” e registra “le app che usate, i siti Web che visitate, e come interagite con i contenuti.”
Non è finita. La seguente perla è presente in questo documento sulla privacy di Samsung, specifico per le Smart TV: “Siete pregati di tenere presente che se le vostre parole pronunciate includono informazioni personali o altre informazioni sensibili, tali informazioni faranno parte dei dati catturati e trasmessi a terzi tramite il vostro uso del Riconoscimento Vocale.”
In pratica, se usate le funzioni di riconoscimento vocale incorporate nelle “smart TV”, state attenti a quello che dite quando siete davanti alla TV accesa, perché il riconoscimento non viene effettuato localmente, sul televisore: quello che dite viene trasmesso via Internet a “terzi” (imprecisati), che lo analizzano e convertono al volo in comandi.
Come se tutto questo non bastasse, i fabbricanti delle “smart TV” possono cambiare le proprie regole di gestione dei dati personali dopo che avete acquistato l'apparecchio: Techdirt riferisce che LG, per esempio, ha inviato a maggio 2014 un aggiornamento software ad alcune sue “smart TV” che conteneva una modifica di questo genere. L'utente si è trovato obbligato a scegliere fra perdere le funzioni “smart” regolarmente pagate all'acquisto, e quindi trovarsi con un televisore menomato, e consegnare a LG e ai soliti “terzi” (sempre imprecisati) una quantità esagerata di dati personali, comprese “le parole usate per cercare contenuti, i dettagli delle azioni compiute durante la visione (per esempio riproduzione, stop, pausa, eccetera), la durata di visione del contenuto”.
Se a qualcuno tutto questo fa venire in mente 1984 di Orwell, non è il solo, ma ci sono differenze importanti: nella realtà siamo noi a pagare per farci mettere in casa il teleschermo che ci cataloga, ci scheda e ci timbra, e la sorveglianza non è imposta da un governo totalitario, ma viene spinta di soppiatto dai social network e dalle agenzie pubblicitarie. E noi la abbracciamo felici. Neppure Orwell era riuscito a immaginare un futuro così.
Soluzioni? Ce ne sono poche, per ora: non comperare una “smart TV” ma un televisore normale, oppure comperarla ma non collegarla a Internet o filtrarne la connessione e perdere così la maggior parte delle sue funzioni. E intanto far conoscere l'esistenza del problema.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.
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