Ir para o conteúdo

Blogoosfero verdebiancorosso

Tela cheia Sugerir um artigo

Disinformatico

4 de Setembro de 2012, 21:00 , por profy Giac ;-) - | No one following this article yet.
Blog di "Il Disinformatico"

Ci ha lasciato Tom Stafford, astronauta lunare (1930-2024)

18 de Março de 2024, 18:36, por Il Disinformatico

È morto a 93 anni Thomas Patten Stafford, l’astronauta che volò fino alla Luna a maggio del 1969 con la missione Apollo 10, la prova generale dell’allunaggio. Lascia la moglie Linda e sei tra figli e figlie.

Aveva già volato nello spazio due volte, con le missioni Gemini 6A (dicembre 1965, primo rendez-vous di veicoli spaziali con equipaggio) e Gemini 9 (giugno 1966). Avrebbe volato nello spazio una quarta volta, come comandante della storica missione Apollo-Soyuz, primo volo congiunto fra sovietici e statunitensi, nel 1975.

Dopo i suoi voli, la sua carriera proseguì, facendolo salire al grado di generale, coinvolgendolo nella definizione delle procedure di sicurezza dello Shuttle dopo il disastro del Columbia nel 2003 e delle tecniche di riparazione del telescopio spaziale Hubble. Fra le altre cose, fu uno dei padri dei velivoli Stealth, definendone le specifiche e coordinando il programma che portò al caccia F-117 e al bombardiere B-2, e fu direttore della celebre Area 51.


Fonti: CollectSpace, Stripes.com, Oklahoman, WPR.orgWashington Post.

Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.


Il podcast salta anche questa settimana

15 de Março de 2024, 4:21, por Il Disinformatico

Rimettere insieme i pezzi di una vita troncata improvvisamente non è mai facile e sta impegnando completamente la Dama del Maniero e me insieme a lei. Ho dovuto annullare il podcast anche questa settimana, insieme a quasi tutti gli impegni, per via di complicazioni burocratiche oltrefrontiera che ci hanno assorbito per giorni. Ora le cose cominciano a sistemarsi.

Il funerale del fratello di Elena, mancato improvvisamente, si terrà martedì 19 alle 10 alla chiesa di San Martino Siccomario.

Grazie a tutti per i vostri messaggi, la Dama li apprezza molto anche se non sempre riesce a ringraziarvi personalmente.

Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.


Niente podcast del Disinformatico questa settimana

8 de Março de 2024, 0:54, por Il Disinformatico

È mancato improvvisamente Roberto Faro, fratello di Elena, mia moglie, e siamo in modalità di crisi per gestire la situazione. Roberto lavorava alle Poste di Pavia: lo segnalo qui nella speranza di raggiungere i suoi molti amici e familiari che non siamo riusciti a contattare. La data dei funerali non è ancora stata definita, in attesa che si risolvano alcune formalità mediche. Ho dovuto annullare la puntata di questa settimana del podcast.

Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.


Podcast RSI - Le IA danno voce a vittime di stragi e imbarazzano le aziende, Avast spiona

1 de Março de 2024, 7:55, por Il Disinformatico
logo del Disinformatico

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate qui sul sito della RSI (si apre in una finestra/scheda separata) e lo potete scaricare qui.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite iTunes, Google Podcasts, Spotify e feed RSS.

Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.

---

[CLIP: Joaquin che parla]

Questa è la voce di Joaquin Oliver, un diciassettenne morto in una sparatoria di massa negli Stati Uniti, che racconta al passato i dettagli di come è stato ucciso. Una voce resa possibile dall’intelligenza artificiale nella speranza di muovere i cuori dei politici statunitensi sulla questione annosa del controllo delle armi da guerra.

È una delle storie della puntata del primo marzo 2024 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica: le altre notizie riguardano un software di intelligenza artificiale che ha dato informazioni sbagliate a un cliente di una compagnia aerea canadese, facendogli perdere parecchi soldi, e quando il cliente ha contestato il fatto la compagnia ha risposto che lei non era responsabile delle azioni della sua intelligenza artificiale. Non è andata finire molto bene, soprattutto per il software. E poi c’è la scoperta che Avast, un noto produttore di applicazioni per tutelare la sicurezza informatica e la privacy, ha in realtà venduto a oltre cento aziende i dati degli utenti che diceva di proteggere. Anche in questo caso la storia non è finita bene, ma contiene una lezione interessante.

Benvenuti a questo podcast. Io sono Paolo Attivissimo.

[SIGLA di apertura]

Air Canada e il suo chatbot “responsabile delle proprie azioni”

L’intelligenza artificiale ormai è dappertutto, e quindi qualche caso di applicazione maldestra è normale e inevitabile. Quello che non è normale è l’applicazione arrogante. Questa vicenda arriva dal Canada, dove la compagnia aerea Air Canada ha pensato di adottare l’intelligenza artificiale per rispondere automaticamente alle domande dei clienti sul proprio sito di prenotazioni di voli.

Uno di questi clienti, il signor Moffatt, si è rivolto a questo sistema di risposta automatica tramite chat per chiedere informazioni sulle tariffe speciali riservate ai voli prenotati all’ultimo momento a causa di lutti in famiglia, visto che aveva appena saputo del decesso della nonna.

Il sistema di chat o chatbot gestito dall’intelligenza artificiale gli ha fornito informazioni dettagliate su come procedere alla richiesta di riduzione del prezzo del biglietto, spiegando che questa richiesta andava inviata alla compagnia aerea entro tre mesi dalla data di rilascio del biglietto, compilando l’apposito modulo di rimborso. Istruzioni chiare, semplici e non ambigue. Ma completamente sbagliate.

In realtà il regolamento di Air Canada prevede che le richieste di riduzione debbano essere inviate prima della prenotazione, e quindi quando il signor Moffatt ha poi chiesto il rimborso si è sentito rispondere dal personale della compagnia che non ne aveva diritto, nonostante il chatbot di Air Canada gli avesse detto che lo aveva eccome. La conciliazione amichevole è fallita, e così il cliente fuorviato dall’intelligenza artificiale ha portato la compagnia aerea dal giudice di pace. Ed è qui che è arrivata l’arroganza.

Air Canada, infatti, si è difesa dicendo che il cliente non avrebbe mai dovuto fidarsi del chatbot presente sul sito della compagnia aerea e ha aggiunto che, cito testualmente dagli atti, “il chatbot è un’entità legale separata che è responsabile delle proprie azioni”.

Che un software sia responsabile delle proprie azioni è già piuttosto surreale, ma che la compagnia prenda le distanze da un servizio che lei stessa offre e oltretutto dia la colpa al cliente per essersi fidato del chatbot senza aver controllato le condizioni di rimborso effettive è una vetta di arroganza che probabilmente non ha precedenti nella storia degli inciampi delle intelligenze artificiali, e infatti il giudice di pace ha deciso pienamente in favore del cliente, dicendo che la compagnia è responsabile di tutte le informazioni presenti sul proprio sito: che siano offerte da una pagina statica o da un chatbot non fa alcuna differenza, e i clienti non sono tenuti a sapere che il chatbot potrebbe dare risposte sbagliate.

A quanto risulta il chatbot è stato rimosso dal sito della compagnia, che fra l’altro aveva dichiarato che il costo dell’investimento iniziale nell’intelligenza artificiale per l’assistenza clienti era stato largamente superiore al costo di continuare a pagare dei lavoratori in carne e ossa. La speranza era che l’intelligenza artificiale riducesse i costi e migliorasse l’interazione con i clienti, ma in questo caso è successo l’esatto contrario, con l’aggiunta di una figuraccia pubblica non da poco. Una lezione che potrebbe essere preziosa anche per molte altre aziende che pensano di poter risparmiare semplicemente sostituendo in blocco i lavoratori con un’intelligenza artificiale esposta al pubblico senza adeguata supervisione.

Fonte aggiuntiva: Ars Technica.

Avast ha fatto la spia, dice la FTC

Avast (o a-VAST, secondo la pronuncia inglese corretta, che però in italiano non usa praticamente nessuno) è un nome molto noto nel campo della sicurezza informatica, in particolare per i suoi antivirus. Ma è emerso che mentre diceva pubblicamente di proteggere la privacy dei propri clienti in realtà stava vendendo i loro dati a oltre cento aziende.

Secondo le indagini e la decisione della Federal Trade Commission, l’agenzia federale statunitense di vigilanza sul commercio, fra il 2014 e il 2020, mentre Avast dichiarava pubblicamente che i suoi prodotti avrebbero impedito il tracciamento delle attività online di chi li usava, in realtà collezionava le informazioni di navigazione dei propri utenti e le rivendeva tramite Jumpshot, un’azienda acquisita da Avast che nel proprio materiale pubblicitario rivolto alle aziende si vantava di poter fornire loro una visione privilegiata delle attività di oltre cento milioni di consumatori online in tutto il mondo, compresa la capacità, cito, di “vedere dove vanno i vostri utenti prima e dopo aver visitato il vostro sito o quello dei concorrenti, e persino di tracciare quelli che visitano uno specifico URL”, ossia una specifica pagina di un sito.

Anche se Avast e Jumpshot hanno dichiarato che i dati identificativi dei singoli utenti venivano rimossi dalle loro raccolte di dati, secondo la FTC i dati includevano anche un identificativo unico per ogni singolo browser. La stessa agenzia federale ha documentato che questi dati venivano acquistati da varie aziende, spesso con lo scopo preciso di abbinarli ai dati raccolti in altro modo da quelle aziende, ottenendo così un tracciamento individuale tramite dati incrociati.

Fra i clienti di Jumpshot c’erano pezzi grossi come Google, Microsoft e Pepsi, e le indagini giornalistiche hanno rivelato che i clienti potevano acquistare dati che includevano le consultazioni di Google Maps, le singole pagine LinkedIn e YouTube, i siti pornografici visitati e altro ancora. La FTC ha appurato che fra i miliardi di dati raccolti da Avast c’erano orientamenti politici, informazioni di salute e finanziarie, link a siti di incontri (compreso un identificativo unico per ogni membro) e informazioni sull’erotismo in cosplay.

La FTC ha ordinato ad Avast di pagare 16 milioni e mezzo di dollari, da usare per risarcire i consumatori, e le ha imposto il divieto di vendere dati di navigazione futuri e altre restrizioni. Nel frattempo, però, l’azienda ha chiuso Jumpshot nel 2020 ed è stata acquisita da Gen Digital, che possiede anche Norton, Lifelock, Avira, AVG e molte altre aziende del settore della sicurezza informatica.

Gli antivirus e i prodotti per la protezione della navigazione online sono fra i più delicati e importanti per un utente, perché per loro natura vedono tutto il traffico di chi li usa, e quindi l’utente compie un gesto importante di fiducia nei confronti di chi fa questi prodotti. Scoprire che uno di questi produttori non solo non proteggeva dalla sorveglianza pubblicitaria ma addirittura la facilitava e ci guadagnava è un tradimento del patto sociale fra produttori di software per la sicurezza e privacy da un lato e gli utenti dall’altro: io ti lascio vedere tutto quello che faccio, ma tu mi devi proteggere da chi vuole spiarmi e non devi essere tu il primo fare la spia. Anche perché una volta raccolti e rivenduti, i dati personali non si possono revocare e non c’è risarcimento che tenga.

Per Avast questa decisione della FTC è un danno reputazionale non da poco, perché quando un’azienda in una posizione così delicata tradisce la fiducia degli utenti e se la cava con una sanzione tutto sommato leggera per un budget da multinazionale, è inevitabile pensare che se lo ha fatto una volta potrebbe rifarlo. Se usate Avast come antivirus o come prodotto per la protezione della vostra sicurezza informatica o privacy, potrebbe valere la pena di esplorare qualche alternativa.

Fonte aggiuntiva: Ars Technica.

Le voci dei morti nelle sparatorie telefonano ai politici americani

Questa non è una storia facile da raccontare, perché parla delle persone uccise nelle sparatorie di massa tragicamente frequenti negli Stati Uniti. Questa è la voce di Joaquin Oliver, una di queste persone.

[CLIP: voce di Joaquin]

Joaquin spiega che sei anni fa frequentava la scuola di Parkland, in Florida, dove il giorno di San Valentino del 2018 morirono molti studenti e docenti, uccisi da una persona che usava un’arma da guerra. Lui fu una delle vittime, eppure la sua voce racconta i fatti al passato.

La sua voce è infatti sintetica: la sua parlata, la sua intonazione, il suo timbro di giovane studente diciassettenne sono stati ricreati con l’intelligenza artificiale di Elevenlabs partendo dai campioni della sua voce reale pubblicati sui social network e registrati nei suoi video, e così ora Joaquin, ucciso da un’arma da fuoco, è una delle tante voci ricreate con questa tecnica dopo stragi di questo genere che telefonano ai politici chiedendo loro di risolvere il problema delle stragi armate negli Stati Uniti.

L’idea di far chiamare i decisori politici dalle voci delle persone uccise è dei genitori di Joaquin, Manuel e Patricia, che hanno lanciato pochi giorni fa il progetto The Shotline: un sito, Theshotline.org, che ospita le voci ricreate delle persone morte nelle sparatorie di massa e permette ai visitatori di inviare al loro rappresentante politico locale, scelto indicando il numero di avviamento postale, una telefonata automatica, in cui una di queste voci chiede leggi più restrittive sulle armi. Finora le telefonate fatte da Theshotline.org sono oltre ottomila.

I familiari delle vittime possono compilare un modulo per inviare le voci di chi è stato ucciso dalle armi a The Shotline, in modo che possano aggiungersi a quelle esistenti.

Ricevere una telefonata da una persona morta, che ti racconta con la propria voce come è morta e dice che bisogna trovare modi per impedire le stragi commesse usando armi da guerra, è forse un approccio macabro e strano a questo dramma incessante, ma come dicono i genitori di Joaquin, se è necessario essere inquietanti per risolverlo, allora ben venga l’inquietante.

Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.


Podcast RSI - Sora genera video sintetici perfetti in HD

23 de Fevereiro de 2024, 11:38, por Il Disinformatico
logo del Disinformatico

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate qui sul sito della RSI (si apre in una finestra/scheda separata) e lo potete scaricare qui.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite iTunes, Google Podcasts, Spotify e feed RSS.

---

CLIP: “Hai mai messo in dubbio la natura della tua realtà?” dalla serie TV Westworld]

Riprendo questa frase emblematica, tratta dalla serie televisiva di fantascienza Westworld, a distanza di poco meno di un anno da quando l’ho citata per la prima volta in questo podcast. Era la fine di marzo 2023 e stavo raccontando la novità dell’arrivo dei primi generatori di immagini tramite intelligenza artificiale capaci di produrre immagini praticamente indistinguibili dalle foto reali, che erano un salto di qualità tecnica enorme rispetto alle immagini da fumetto o da videogioco di prima.

Undici mesi dopo, dalle immagini sintetiche fotorealistiche, che erano già uno shock non solo tecnologico ma anche e soprattutto culturale, siamo già arrivati ai video realistici generati dai computer e indistinguibili dai video reali.

OpenAi ha infatti presentato Sora, un software di intelligenza artificiale capace di generare video fotorealistici, in alta definizione, lunghi fino a un minuto. E qualcuno già parla di collasso della realtà mediatica, perché se non possiamo più credere alle foto e nemmeno ai video, che sembravano impossibili da falsificare, e se possiamo generare qualunque ripresa video semplicemente descrivendola a parole, la fiducia già traballante nei mezzi di comunicazione finisce a pezzi, travolta da fiumi di video falsi a supporto dell’ondata di fake news, e tutta una serie di mestieri rischia di diventare inutile. A cosa servono fotografi, operatori di telecamere, scenografi, attrezzisti e gli stessi attori se chiunque, con un computer di media potenza, può ricreare qualunque scenografia e qualunque volto in qualunque situazione?

Benvenuti alla puntata del 23 febbraio 2024 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.

[SIGLA di apertura]

Il 15 febbraio scorso OpenAI, la società che sta dietro ChatGPT e molti altri prodotti di enorme successo basati sull’intelligenza artificiale, ha annunciato il suo nuovo software Sora con una serie di video che hanno comprensibilmente lasciato moltissimi a bocca aperta e con quel brivido di fascino e disorientamento che si prova quando ci si rende conto di essere di fronte a un cambiamento epocale, a qualcosa che non trasforma solo la tecnologia ma rischia di trasformare l’intera società.

Se non avete ancora visto questi video di Sora, guardateli: li trovate presso Openai.com/sora. Sono effettivamente impressionanti. Per esempio, in uno di questi video una donna elegantemente vestita passeggia di notte per le vie di Tokyo, sull’asfalto bagnato che riflette perfettamente la scena, e anche nei suoi occhiali c’è il riflesso dell’ambiente. Una sequenza che avrebbe richiesto trasferte, permessi di ripresa, addetti alle luci, costumisti, truccatori, e ovviamente una modella o un’attrice, si genera oggi interamente al computer, semplicemente dicendo la seguente frase in inglese:

Una donna elegante cammina lungo una via di Tokyo piena di insegne al neon animate con colori caldi. Indossa una giacca di pelle nera, un vestito rosso lungo e stivali neri, e porta una borsetta nera, occhiali da sole e rossetto rosso. Cammina con aria sicura di sé e con disinvoltura. La strada è bagnata e riflettente, creando un effetto specchio sulle luci colorate. Circolano numerosi pedoni”*

* In originale: A stylish woman walks down a Tokyo street filled with warm glowing neon and animated city signage. She wears a black leather jacket, a long red dress, and black boots, and carries a black purse. She wears sunglasses and red lipstick. She walks confidently and casually. The street is damp and reflective, creating a mirror effect of the colorful lights. Many pedestrians walk about.

Chiunque lavori nel mondo dei media sta probabilmente avendo una crisi di panico all’idea di essere sostituito di colpo da una macchina, a tariffe e con velocità di realizzazione con le quali non può assolutamente competere. E non sostituito fra qualche anno, come sembravano indicare i primi, timidi esperimenti di video sintetici di undici mesi fa, ma subito, quando non ci si è ancora ripresi dallo sconquasso delle immagini sintetiche che hanno eliminato il lavoro di tanti fotografi, anche se Sora non è ancora pubblicamente disponibile come lo è invece ChatGPT e lo stanno provando solo alcuni artisti visivi e realizzatori di film.

Che la rivoluzione dei video sintetici fosse nell’aria e sarebbe arrivata prima o poi era chiaro a tutti; che sarebbe arrivata così in fretta probabilmente se lo aspettavano in pochi. Ma è successo.

O almeno così sembra dai commenti di molti addetti ai lavori e del pubblico a questo annuncio di OpenAI. Ma se proviamo a scremare il sensazionalismo dei primi e le paure dei secondi viene a galla una situazione piuttosto differente. Forse ce la possiamo cavare con un panico controllato.

La valle inquietante

Una delle prime cose che si notano in questi video dimostrativi, una volta superato lo shock iniziale, è che manca l’audio, che a quanto pare Sora non è ancora in grado di generare sincronizzandolo con le immagini. Ma l’audio si può sempre generare in seguito, usando tecniche tradizionali, come il doppiaggio o il foley, il lavoro dei rumoristi.

L’altra particolarità di questi video sintetici di OpenAI è la fluidità dei movimenti delle persone e degli animali, che risulta leggermente dissonante rispetto alla realtà. In altri di questi video dimostrativi, un gatto e un cane corrono e saltano, ma c'è qualcosa che non va nei loro movimenti: sono quasi perfetti, ma è un quasi che rompe completamente l’illusione.

Il nostro cervello ha milioni di anni di esperienza e di evoluzione su cui contare per il riconoscimento dei movimenti delle persone e degli animali familiari, e per ora i video sintetici, a differenza delle foto sintetiche, sono nel pieno della cosiddetta uncanny valley o valle inquietante, ossia quella teoria, proposta dal professore di robotica Masahiro Mori ben 54 anni fa, nel 1970, secondo la quale un oggetto animato produce una risposta emotiva favorevole se non somiglia affatto a un essere umano o a un animale reale oppure se è assolutamente identico a quello reale, ma produce invece repulsione, inquietudine e rifiuto se è molto simile ma non identico all’originale. Quella zona di quasi-somiglianza è la Valle Inquietante, situata fra i due pianori della credibilità.

I personaggi digitali di Toy Story, per esempio, funzionano emotivamente perché non hanno la pretesa di essere persone reali: sono giocattoli e quindi i loro movimenti possono essere innaturali e anche caricaturali senza causare disagio o disorientamento. Gli animali sintetici fantastici di Avatar e di altri film risultano credibili perché non abbiamo alcun termine di paragone con la realtà. Invece gli animali fotorealistici del remake del Re Leone o della Sirenetta, o anche l’Indiana Jones ringiovanito del Quadrante del Destino, per quanto siano il frutto di immense fatiche di tecnici e animatori, spesso stentano a convincerci: basta un minimo movimento innaturale per spezzare la magia, l’empatia e l’immedesimazione.

La terza anomalia di questi video di OpenAI emerge soltanto se si ha l’occhio estremamente allenato e ci si sofferma sui dettagli: alcune persone sullo sfondo appaiono dal nulla e poi svaniscono, e la donna che cammina per le vie di Tokyo a un certo punto inverte le proprie gambe. Tutte cose che al primo colpo d’occhio non verranno notate da nessuno, specialmente se la scena fa parte di una sequenza che ha un montaggio molto dinamico, ma sono cose che rendono questi video inadatti a un uso per un film o un telefilm di qualità.

Il quarto aspetto insolito di Sora è la sua fisica, ossia il modo in cui gli oggetti si comportano. Uno dei video rilasciati da OpenAI mostra un bicchiere appoggiato su un tavolo. Di colpo il liquido rosso contenuto nel bicchiere attraversa il vetro del bicchiere e si spande sul tavolo, senza motivo, mentre il bicchiere fa un salto altrettanto senza motivo, si inclina e poi ricade sul tavolo flettendosi, cosa che un bicchiere di vetro non farebbe mai.

Da questo e altri esempi risulta chiaro che Sora non permette ancora di sostituire in tutto e per tutto il lavoro manuale delle persone, ma produce già ora risultati sufficienti per le riprese generiche. Martin Scorsese o Christopher Nolan non hanno motivo di preoccuparsi, perché realizzano prodotti finemente cesellati, ma Sora mette invece a repentaglio tutto il mondo delle riprese stock, ossia degli spezzoni generici che vengono realizzati e venduti per esempio per creare i video industriali o promozionali o le panoramiche e le riprese ambientali nei telefilm.

Nicchie e autenticità

Se lavorate in questi settori, insomma, conviene che impariate in fretta come funzionano questi software e li adottiate, perché o ci si adatta o si perisce. Oppure si trasforma il proprio mestiere, trovando una nicchia specialistica che il software non riesce a coprire.

E questa nicchia c’è: anche se OpenAI sottolinea orgogliosamente, nel documento tecnico che ha rilasciato insieme ai video, che Sora migliora semplicemente aggiungendovi potenza di calcolo e che quindi certe limitazioni di oggi potrebbero svanire domani, chi si occupa già di immagini sintetiche fisse sa che è relativamente facile ottenere un’immagine che somiglia grosso modo a quella desiderata, ma convincere un’intelligenza artificiale a creare esattamente un’immagine che avevamo in mente è difficilissimo, e questo sembra essere un limite intrinseco del suo modo di generare immagini, che non dipende dalla potenza di calcolo e non è rimediabile semplicemente spendendo altri gigadollari in hardware.

L’intelligenza artificiale, insomma, sta trasformando anche questo settore lavorativo, come ha già fatto per tanti altri, dalla scrittura alla traduzione alla musica alla grafica, ma in questo caso specifico ha anche un effetto molto più perturbante a livello sociale.

Se già adesso Midjourney o Stable Diffusion stanno mettendo in crisi l’informazione permettendo di produrre immagini sintetiche che vengono spacciate per vere, alimentando la propaganda, le truffe e la produzione di fake news a basso costo, possiamo solo immaginare cosa succederà quando anche i video che vengono pubblicati online dovranno essere considerati inattendibili perché potrebbero essere stati generati dall’intelligenza artificiale. Non potremo più credere a niente di quello che vediamo sullo schermo e dovremo diffidare di tutto, con il rischio di sprofondare nell’apatia.

Fra l’altro, questo vuol dire non solo fake news, ma anche per esempio che i sistemi di riconoscimento facciale usati da molti servizi e da molte banche online o dai sistemi di controllo degli accessi potranno essere beffati e in alcuni casi lo sono già.

Ma in realtà c’è già una soluzione a questo rischio: il primo passo è definire delle autorità di certificazione dell’autenticità dei video. Se un video viene depositato presso uno o più enti indipendenti, che ne garantiscano l’integrità attraverso strumenti matematici appositi, che esistono già e vengono già applicati in altri settori, come quello giudiziario per esempio per garantire l’integrità delle registrazioni audio e video degli interrogatori, allora si può stare tranquilli che quel video è reale.

Inoltre si può sempre ricorrere alla catena delle garanzie: se un video viene pubblicato da una testata giornalistica affidabile ed è stato girato da un reporter affidabile, allora ci si può ragionevolmente fidare. Mai come oggi, insomma, il giornalismo può avere un ruolo chiave nell’arginare lo tsunami delle fake news.

Ma per avere questo ruolo è indispensabile imporre standard di verifica nelle redazioni che oggi, purtroppo, spesso scarseggiano. Si prende a volte la prima immagine trovata su Internet chissà dove e la si sbatte in prima pagina; si spacciano spezzoni di videogiochi per scene dai fronti di guerra; e cosi via.

Non è solo un problema redazionale del giornalismo: le immagini sintetiche vengono pubblicate senza controllo anche da riviste scientifiche irresponsabili. Un caso recentissimo e particolarmente memorabile ci è stato regalato dalla rivista Frontiers in Cell and Developmental Biology, che ha pubblicato in un suo articolo una illustrazione scientifica dei genitali di un ratto vistosissimamente generata dall’intelligenza artificiale. Lo si capiva dalle didascalie, che erano parole senza senso, e lo si capiva soprattutto dalle dimensioni colossalmente impossibili dei testicoli del superdotato roditore. Nessuno ha controllato, né i ricercatori autori dell’articolo né i redattori, e così l’articolo scientifico è stato pubblicato con l’immagine sintetica. La rivista ha così perso ogni credibilità perché è stata colta clamorosamente in fallo.

Se vogliamo sfruttare i benefici dell’intelligenza artificiale senza farci travolgere dai rischi, non ci servono mirabolanti tecnologie o gadget salvifici per rivelare quando un’immagine o un video sono sintetici, come chiedono in molti. Ci basta creare una filiera di autenticazione e controllo, gestita da esseri umani competenti, con procedure redazionali rigorose, e abituarci all’idea che d’ora in poi tutto quello che vediamo muoversi sullo schermo rischia di essere falso se non è stato verificato da questa filiera.

In altre parole, ci basta cambiare metodo di lavoro, e questa è una decisione che non dipende né dalla potenza di calcolo né dalla tecnologia, ma dipende dalla nostra volontà. Il modo in cui reagiremo alla sfida dell’intelligenza artificiale sarà un perfetto indicatore della nostra intelligenza naturale.

Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.


Tags deste artigo: disinformatico attivissimo