Prima di tutto, quel che è fatto è fatto: i dati personali già inviati verso gli Stati Uniti non verranno cancellati. In secondo luogo, Facebook non smetterà di funzionare o di raccogliere questi dati: probabilmente verranno semplicemente riformulate le sue condizioni d'uso (quelle che non legge mai nessuno) per ottenere più esplicitamente il consenso dell'utente al trasferimento dei suoi dati verso gli USA; e se c'è il consenso, non ci sono problemi di “approdo sicuro”. Inoltre Facebook ha già dei datacenter in territorio europeo nei quali può custodire i dati dei cittadini dell'Unione senza esportarli verso gli Stati Uniti. Lo stesso faranno, o hanno già fatto gli altri grandi collettori di dati della Rete, come Google, Microsoft, Apple, Amazon.
Per i grandi nomi di Internet, insomma, nessuna rivoluzione; e per noi utenti non cambia niente. Allora si sta facendo molto rumore per nulla? No. Presumibilmente saranno le piccole e medie imprese, quelle che non si possono permettere datacenter locali dedicati, a doversi adeguare alla sentenza e spendere di più per fare attenzione a non usare servizi che esportano dati dall'Unione Europea, e ci sarà un boom di guadagni per i fornitori europei di questi servizi.
Anche se in concreto per l'utente comune non cambierà nulla, la cosiddetta “sentenza Facebook” ha un merito: quello di far discutere maggiormente di come i nostri dati vengono sfruttati, spremuti, frullati e analizzati in modi che non conosciamo e che non possiamo controllare per produrre guadagni enormi. Sta a noi valutare se ci sta bene essere i Minions di Zuckerberg e colleghi.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.