Una delle spiegazioni più intriganti per il fenomeno della pareidolia, ossia la tendenza a riconoscere forme familiari in immagini che in realtà sono solo forme pseudocasuali (le macchie nel muro scambiate per Madonne, per esempio), è che si tratti di un meccanismo nato dalla selezione naturale.
La tesi, in sintesi, è questa: se un nostro antenato primitivo non si accorgeva che nell'erba alta c'era nascosto un predatore, finiva mangiato e quindi non si riproduceva. Gli umani che avevano una maggiore propensione a riconoscere le forme dei predatori mimetizzati, invece, non venivano mangiati e quindi si riproducevano.
A lungo andare, questa selezione avrebbe promosso gli individui che avevano maggiormente questa sensibilità e anche quelli che l'avevano in eccesso, perché chi scappava anche quando la macchia a forma di predatore non era un predatore ma soltanto una macchia aveva più probabilità di cavarsela rispetto a chi diceva “tranquilli, quello non è un leone, è soltanto una macchia” tre secondi prima che la “macchia” se lo portasse via fra le zanne.
Da qui, insomma, nascerebbe la pareidolia. Ma spiegarla è un conto; un altro è vederla concretamente in funzione. Il fotografo statunitense Art Wolfe ha pubblicato una serie di fotografie di animali mimetizzati che evocano l'emozione intensa che accompagna questo fenomeno quando il predatore nascosto c'è davvero e non ce ne accorgiamo se non dopo vari secondi di esame attento, durante i quali il predatore ci avrebbe già mangiato.
Ve ne propongo qualcuna qui sotto: credo ci sia un leggero ritocco dei colori per aumentare l'effetto, ma è comunque una serie di esempi molto potenti. È difficile non sussultare quando di colpo ci rendiamo conto che l'animale era sotto i nostri occhi ma non lo vedevamo e che quindi nella realtà ce ne saremmo accorti troppo tardi. Buon divertimento anche con le altre foto, con aiutini, se necessario.
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