Blog di "Il Disinformatico"
Buonanotte al secchio. Nel senso di bucket Amazon scrivibili da chiunque
March 2, 2018 3:38![]() |
Credit: Victor Gevers. |
È quello che stanno scoprendo amaramente le tante aziende e organizzazioni governative che usano i servizi cloud di Amazon, i cosiddetti Amazon Web Services, per mettervi i propri dati. È un sistema potente e flessibile, ma bisogna saperlo usare. A quanto pare molti responsabili informatici non hanno studiato come si usa, perché hanno impostato questi servizi, denominati in gergo bucket (secchio), in modo che possano essere letti da chiunque. E in alcuni casi anche scritti dal primo che passa.
Non è colpa di Amazon, ma dei suoi clienti incompetenti. Clienti con nomi come Uber, Dow Jones, FedEx e persino il Pentagono, che hanno lasciato bene in vista i propri dati in questo modo, come raccontano WeLiveSecurity e la BBC. Secondo i dati della società di sicurezza francese HTTPCS, 1 bucket su 50 non è protetto contro la scrittura.
Mi è stato segnalato, per esempio, un noto canale satellitare europeo che ha la guida TV su Amazon Web Services scrivibile da chiunque. Far comparire qualcos’altro al posto delle immagini di Peppa Pig sarebbe un gioco da ragazzi.
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****.s3.amazonaws.com/admin/server/php/files/peppa3.jpg |
Gli hacker buoni hanno fatto il possibile, lasciando messaggi di avvertimento nei bucket vulnerabili, ma in molti casi sono rimasti inascoltati. Alcuni esperti di sicurezza hanno contattato le organizzazioni maldestre per avvisarle, ma non sempre sono stati capiti e in alcuni casi rischiano anche ritorsioni legali (che è come rischiare una denuncia perché hai guardato in casa di qualcuno attraverso la finestra, hai visto che c’era un incendio e hai avvisato il proprietario).
Altri hanno preferito creare siti Web come Buckhacker (attualmente offline), che è una sorta di Google per i bucket aperti, in modo da portare il problema all’attenzione dei media.
Il guaio di queste vulnerabilità è che i dati messi a disposizione di chiunque sono spesso i nostri e sono un bersaglio ghiotto e facile per qualunque criminale. Immaginate qualcuno che cancella tutti i dati di un’azienda o di un’agenzia governativa, oppure li blocca con una password che verrà fornita solo in cambio di un riscatto. Se la vostra organizzazione usa gli Amazon Web Services, date un’occhiata alle impostazioni. Amazon ha allestito uno strumento apposito che facilita questo controllo.
Fonte aggiuntiva: Bitdefender.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.
Repubblica mette online un’insalata di parole spacciandola per un articolo
March 1, 2018 9:32“Il racconto di una mattinata cominciata alle 6 del mattino con il carabiniere che ferisce l'ex moglie nel garage al volto alla spalla e all'addome e terminati poco prima delle 14, con l'ultimo colpo contro se stesso. Nel mezzo la speranza vana per le due bambine, che invece erano già state ferite a morte del padre. E una trattativa inutile. L'inviata Federica Angeli racconta sette ore da incubo sotto casa dell'appuntato Luigi Capasso. e colpi. speranza che il vicino si fosse confuso. Invece è salito a casa e ha sparato prima a bmba piccola nel lettone poi alla ragazzo di 13 anni. Lunghissima trattattiva col mediatore del gis. Alle 13 ha chiuso ogni contatto ocn il mediatore dei carabinieri. Poco prima delle 14 sparo con cui si è tolto la vita. Lì irruzione colleghi e l'hanno trovat morto. Per tutta la mattina arrivo mamme compagne bambine. Capasso è rimasto in casa con le”.Questo è quello che secondo Repubblica è un testo pubblicabile (e pubblicato) come articolo. Sì, l’ho trascritto fedelmente. Non è più online su Repubblica, ma se ne trovano ancora tracce nella cache di Google.
Forse non è neanche più giornalismo spazzatura, ma siamo al fallimento totale del processo redazionale, per cui può finire online qualunque porcheria.
Ho chiesto chiarimenti a Repubblica:
C'è qualcun altro che ha uno screenshot o una copia cache di questo scempio segnalato da @GrammarNaziIT ? @mariocalabresi, mi conferma che è uscito in questa forma e poi è stato rimosso? Grazie. https://t.co/3UcgHh66JJ— Paolo Attivissimo (@disinformatico) March 1, 2018
Per ora ho ricevuto solo un eloquente silenzio.
Ringrazio @Grammarnaziit per la segnalazione. Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.
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No, la BBC non ha detto che gli operatori ONU abusano delle donne in Siria
March 1, 2018 5:03![]() |
Fonte: Sky TG24 / Archive.is. |
Quasi tutte le testate che hanno pubblicato la notizia errata hanno citato la fonte, che è un servizio della BBC, quindi con un alto livello di credibilità. La citazione ha comprensibilmente dato ai lettori e agli spettatori l’impressione che non ci potesse essere alcun dubbio di autenticità.
Ma andando a recuperare questa fonte emerge che il testo originale della notizia non parla affatto di “operatori dell’ONU”, ma di “uomini del posto che consegnavano gli aiuti per conto delle Nazioni Unite e di organizzazioni di beneficenza internazionali in Siria”. La BBC precisa che sono stati proprio gli operatori dell’ONU a denunciare questi abusi. Questi “uomini del posto” hanno il controllo politico delle aree bisognose di questi aiuti e il personale dell’ONU deve per forza passare tramite loro.
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Fonte: BBC. |
C'è una grande differenza fra accusare di abusi contro le donne il personale dell’ONU e le persone del posto, ma questa differenza si è persa nella traduzione dall’inglese da parte di chi ha riportato la notizia in italiano. In altre parole, la notizia falsa è nata per un errore di chi l’ha tradotta.
Ma come è possibile che tutte le testate giornalistiche in italiano abbiano commesso lo stesso errore? In teoria ognuna dovrebbe attingere alla fonte originale, tradursela e poi scrivere il proprio articolo o servizio, ma la realtà della produzione giornalistica è molto differente dalla teoria.
In moltissime redazioni si pratica infatti il cosiddetto “giornalismo copiaincolla”: non si va alla fonte originale, ma si copia e si incolla il testo di qualche agenzia di stampa (o, in alcuni casi, di qualche testata concorrente), gli si aggiunge qualche aggettivo e qualche considerazione generale, e il lavoro è fatto. I moderni mezzi informatici rendono questo copia-e-incolla estremamente semplice e conveniente, e la tentazione di usarli senza fare i controlli che invece sarebbero necessari è sempre molto forte per via della fretta e della pressione di pubblicare.
Il risultato è che se un giornalista o un’agenzia di stampa sbaglia e tutti copiano da lì, l’errore si propaga. I lettori, poi, vedono la stessa notizia ripetuta da varie fonti apparentemente indipendenti e quindi credono che sia autentica e verificata, anche se in realtà non è vera o è gravemente travisata, come nel caso della notizia sugli abusi contro le donne in Siria.
Conoscere questi meccanismi di produzione delle notizie è utile per non incappare in fake news come questa; conoscere le altre lingue, in particolare l’inglese, per poter andare alla fonte originale di una notizia è un antidoto prezioso a questo genere di errore a catena, sia come lettori, sia come giornalisti. In un mondo perfetto questo controllo da parte dei lettori non dovrebbe essere necessario, ma i fatti dimostrano, purtroppo, che anche il giornalismo contribuisce alle fake news e quindi occorre difendersi.
Questo articolo è basato sul testo preparato per il mio servizio La Rete in 3 minuti per Radio Inblu dell’1 marzo 2018.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.
Un altro giorno, un’altra cazzata monumentale sui giornali. Stavolta sul Corriere con Fabio Savelli
February 27, 2018 19:48Non bastava lo scempio dell’astronautica di ieri su La Stampa. Sul Corriere della Sera, non sul Tumblr di un marmocchietto prepubere, il giornalista Fabio Savelli ha la pretesa di spiegare ai lettori che cos’è un datacenter, e scrive questa perla:
La distribuzione e la fornitura dell’energia elettrica per mantenere il centro elaborazione dati di Supernap avviene grazie ad un sofisticatissimo sistema di tubi con sistemi di raffreddamento per decomprimere l’energia in eccesso che arriva dalle richieste degli Ip delle aziende.
Sì, secondo Fabio Savelli (e secondo la redazione del Corriere che approva e pubblica i suoi articoli) le richieste degli IP aziendali generano energia, e pure in eccesso. Quelle non aziendali non si sa. E l’energia si decomprime.
Manca solo il “come se fosse Antani” e poi siamo a posto. Il giornalismo italiano ci regala una nuova dimostrazione della sua incompetenza e della sua propensione a rifilar balle ai propri lettori.
Per chi, fra le lacrime, non vuole credere che un giornale possa arrivare a questi abissi di inettitudine, offro screenshot qui sotto e copia permanente su Archive.is.
Questi, ripeto, sono quelli che dicono che ci salveranno dalle fake news di Internet.
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“Mandatemi le vostre criptovalute, ve le raddoppierò”. Indovinate come va a finire
February 27, 2018 12:59![]() |
Credit: Coindesk. |
Da qualche tempo si è scatenata una nuova febbre dell’oro intorno alle cosiddette criptovalute, ossia le monete virtuali come i Bitcoin, usabili per fare acquisti e ricevere pagamenti in molti siti Internet e in alcuni punti di vendita tradizionali. Molti utenti sperano di poter guadagnare grandi cifre comprando criptovalute nella speranza che aumentino ancora di valore, e in effetti questo è successo nei mesi scorsi. Chi ha comprato Bitcoin a febbraio del 2017 e li ha rivenduti a dicembre dello stesso anno, ha incassato circa venti volte il proprio investimento iniziale in pochi mesi, secondo i dati di Coindesk. Ma non c’è nessuna garanzia che questi andamenti proseguano: anzi, da dicembre 2017 a oggi il valore dei bitcoin si è dimezzato.
Questa frenesia sta producendo livelli di ingenuità davvero preoccupanti, di cui i truffatori si stanno puntualmente approfittando. La moda del momento fra questi criminali è creare un account Twitter il cui nome somiglia a quello di qualche imprenditore molto ricco, come Elon Musk o John McAfee, ma ha una grafia leggermente differente e non ha il bollino di autenticazione; da questi account annunciano che i primi che manderanno una certa somma in criptovalute riceveranno in cambio una somma raddoppiata o addirittura decuplicata.
Per rendere vagamente più plausibile questa promessa assolutamente incredibile, questi truffatori creano delle pagine Web nelle quali si possono vedere quelle che sembrano essere le somme restituite agli investitori, ma è tutto finto: infatti non tutti sanno che tutte le transazioni fatte in criptovalute sono pubblicate in un registro liberamente accessibile e verificabile, e in questo registro non c’è traccia di queste restituzioni.
Spesso questi annunci truffaldini vengono pubblicati su Twitter in una conversazione fatta dal legittimo titolare dell’account originale, che è seguitissimo, e quindi vengono visti da milioni di persone. E fra questi milioni c’è sempre qualcuno che abbocca. Lorenzo Franceschi-Bicchierai, su Motherboard, segnala il caso di uno di questi truffatori che è riuscito a farsi mandare l’equivalente di circa 35.000 dollari dagli ingenui in cerca di facili guadagni. Lo sappiamo, appunto, perché il registro delle transazioni è pubblico e quindi i movimenti sul conto virtuale del truffatore sono visibili a chiunque.
Twitter sta correndo ai ripari rimuovendo questi annunci e bloccando gli account che li pubblicano, ma i truffatori stanno reagendo a questo filtraggio con vari trucchi, come l’uso dell’alfabeto cirillico per comporre frasi in inglese. Se vedete un annuncio di questo genere, non abboccate e segnalatelo a Twitter. E se avete amici appassionati di criptovalute, avvisateli di questa nuova frontiera del raggiro.
In tutta questa vicenda resta un mistero di fondo, ossia il motivo per cui una cosa che non faremmo mai nella vita reale diventa credibile su Internet. E come in ogni febbre dell’oro reale o virtuale, c’è sempre qualcuno che guadagna sicuramente: i truffatori e i venditori di picconi.
Questo articolo è basato sul testo preparato per il mio servizio La Rete in 3 minuti per Radio Inblu del 27 febbraio 2018.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.