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Disinformatico

September 4, 2012 21:00 , von profy Giac ;-) - | No one following this article yet.
Blog di "Il Disinformatico"

La Stampa, Carlo Grande: Neil Armstrong è ancora vivo, e altre cazzate

February 26, 2018 20:09, von Il Disinformatico

An English summary is available at the end of the Italian text. Ultimo aggiornamento: 2018/02/27 00.10.

Ah sì, il giornalismo, quello della carta stampata, quello che ci salverà dalle fake news che son tutta colpa di Internet signora mia, se solo lasciassero le notizie ai giornalisti staremmo tutti bene, i treni arriverebbero in orario e tornerebbero le mezze stagioni.

Carlo Grande, su La Stampa, ha pubblicato una delle più spettacolari collezioni di cazzate spaziali degli ultimi tempi. Si intitola “La Luna e poi? Illuminazioni e arche di Noè: le storie, un po’ folli, degli ex Moonwalker”. Non regalate clic a questo sconcio: lo trovate in copia su Archive.is qui. Leggetelo e piangete.

Cazzata numero uno: Neil Armstrong è ancora vivo. Non lo sapevate? Ve lo dice Carlo Grande: “Armstrong, primo uomo sulla Luna, si è concesso meno di tutti. È vivo, forse stanco di sentirsi chiedere: «Ehi, com’è passeggiare lassù?»”. Armstrong è morto il 25 agosto 2012. C’era pure scritto su La Stampa, quel giorno. Si vede che sarà stata una fake news. Suvvia, La Stampa: non avete un giornale, in redazione?

Cazzata numero due: sono ancora vivi in quattro. “Salvo errori, ne sono rimasti quattro”, scrive Carlo Grande. Salvo errori, dice il giornalista, perché contare fino a dodici è difficile e si potrebbe sbagliare. Perché andare su Wikipedia e guardare quali e quanti di questi dodici sono ancora vivi costa troppa fatica ed è indegno di un Vero Giornalista. Fra coloro che hanno camminato sulla Luna, i vivi sono oggi cinque, non quattro: Aldrin, Bean, Scott, Duke, Schmitt. I morti sono sette: Armstrong, Conrad, Mitchell, Shepard, Irwin, Young, Cernan. Sette più cinque fa dodici. Salvo errori, s’intende.

Cazzata numero tre: siamo andati sulla Luna sette volte, non sei, sapevatelo. Carlo Grande scrive: “David Scott (settimo sbarco)”. Balle. Gli sbarchi lunari furono sei: Apollo 11, 12, 14, 15, 16, 17 (Apollo 13 fu interrotta per uno scoppio a bordo). Non esiste nessun settimo sbarco. Anche questo errore dilettantesco si poteva evitare usando Wikipedia.

Cazzata numero quattro: Mitchell partecipò al sesto sbarco. Scrive Grande: “Edgar Mitchell (sesto sbarco)”. Falso. Mitchell arrivò sulla Luna con Apollo 14, che fu il terzo sbarco.

Ce ne sarebbero altre, e ci sarebbe molto, ma molto da dire su come Carlo Grande riduce questi uomini che hanno fatto la Storia a rimbambiti disadattati, ossessivi e disonesti, ma mi fermo qui per pietà. Questi sono andati sulla Luna, ma un giornalista che ha problemi a contare fino a dodici li tratta dall’alto in basso. Complimenti, davvero complimenti.

Prima l’intervista inventata a Samantha Cristoforetti, adesso questa balla spaziale su La Stampa. Poi mi chiedono perché non perdo mai tempo a leggere notizie aerospaziali nei giornali generalisti. Articoli pieni di errori dilettanteschi come questi gettano fango sugli astronauti e sui buoni giornalisti.

“Ehi, Alan, leggi qui quante cazzate dicono di noi su La Stampa...” (Foto NASA).


English summary


Today the Italian national newspaper La Stampa published an article by journalist Carlo Grande about the Apollo moonwalkers. The article (saved here on Archive.is for the record) contains a number of outrageous factual errors that could have been easily avoided just by looking up the Apollo missions in an encyclopedia or on Wikipedia. Such errors show a total disregard for the basic journalistic duty of checking the facts before posting an article.

  1. Mr. Grande claims that Neil Armstrong is still alive. He passed away in 2012. Even La Stampa reported his death. Yet Mr. Grande writes “Armstrong, first man on the Moon, was the least willing to make himself available [to the press]. He’s alive, perhaps tired of being asked «Hey, what’s it like to walk up there?»”. How can a journalist write about the men who walked on the Moon and not know that the first one, one of history’s most famous and celebrated explorers, is dead?
  2. Mr. Grande states that four Moonwalkers are still alive: “Barring any mistakes, four are left.” Apparently counting the living and the dead among all of twelve men is somewhat challenging for Mr. Grande. Five moonwalkers, not four, are still alive: Buzz Aldrin, Alan Bean, Dave Scott, Charlie Duke, Harrison Schmitt. Seven are no longer with us: Neil Armstrong, Pete Conrad, Ed Mitchell, Alan Shepard, Jim Irwin, John Young, Gene Cernan.
  3. Mr. Grande claims there were seven Moon landings. He writes: “David Scott (seventh landing) was banished from NASA for taking 400 stamped enveloped to the Moon, for resale to collectors”. There were six landings, not seven: Apollo 11, 12, 14, 15, 16, 17 (Apollo 13 was aborted due to an onboard explosion).
  4. Finally, Mr. Grande claims that Ed Mitchell was a crewman of the sixth landing. He writes: “Edgar Mitchell (sixth landing), upon returning has an epiphany...”. That is simply wrong. Mitchell went to the Moon on Apollo 14, which was the third landing.

In addition to these blatant factual errors, Mr. Grande treats the moonwalkers disparagingly, calling them “maladjusted” and saying they had to “deal with alcohol problems, divorces, mystical obsessions”, while making no mention at all of their spectacular human and scientific achievements: all he says about Aldrin is that he “boasts that he was the first to urinate on the Moon, claims he doesn’t know how to make coffee and can’t finish a sentence.” And all he has to say about Alan Bean is that he “tirelessly paints the same subject (the Moon, of course)”.

These men went to the Moon and back in one of history’s most complex and challenging endeavors, yet Mr. Grande, who has trouble even bothering to check the dead and the living among twelve people, thinks it’s OK to mock them. This, apparently, is what passes for journalism in Italy nowadays.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.



Il Delirio del Giorno: l’ufologo e l’uccello così grande

February 24, 2018 7:52, von Il Disinformatico

Il suo "lavoro" è provare,SENZA prove,smontare sistematicamente tutto che va nel senso dell ufologia(cicap/rai clan angela). un uccello cosi grande,senza ali,mai visto! e l ala,ha degli aletoni che si muovono,quindi falso! e non è UN giornalista che ha il monopolio della verità assoluta. anche le tartaruge del mare sanno che sulla luna,marte,pluto,phobo,cometa67p,venere ecc c è la vità extraterrestre,aspettiamo solo un processo alla nurimberg...

-- Commento anonimo a questo articolo.
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Le ricerche di immagini in Google ora sono più facili

February 24, 2018 5:46, von Il Disinformatico

SearchReSearch ha pubblicato una bella analisi della novità che si trova da qualche tempo in Google Immagini: la serie di rettangoli colorati, contenente una o più parole, appena al di sotto della casella di ricerca. SearchReSearch spiega che si chiamano chip (non nel senso di “patatina”, ma di “fiche da gioco”) e sono dei suggerimenti per affinare la ricerca.

Se cliccate su di uno di questi chip, diventa bianco, cambia posizione spostandosi a sinistra e i risultati di ricerca proposti si aggiornano per tenere conto delle parole presenti nel chip che avete selezionato. Potete cliccare di nuovo sui chip già cliccati per disattivarli.

Questi suggerimenti sono molto pratici e spesso offrono spunti che non verrebbero in mente facilmente per migliorare i criteri di ricerca delle immagini, ma occorre fare attenzione a un equivoco potenziale: il colore dei chip non c’entra nulla con il colore delle immagini corrispondenti ma serve solo per separarli visivamente in categorie concettuali, come nello screenshot qui sopra.

Provate a pasticciarvi un po’ e scoprirete spesso ispirazioni originali per trovare più facilmente e rapidamente il tipo d’immagine che stavate cercando.

Tutto chiaro, insomma, tranne una cosa: non capisco perché le parole che Google Immagini propone nei chip quando cerco il mio nome e cognome sono bufale, blogger, delfini, incontro, festival, trento, 2011. Lusingato dell’accostamento, per carità, ma che c’entrano i delfini?
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La mia prima auto elettrica: Peugeot iOn

February 23, 2018 14:59, von Il Disinformatico

Forse ricordate che a ottobre 2017 vi avevo chiesto informazioni sulla Mitsubishi i-MIEV / Citroen C-zero / Peugeot iOn. Ora posso spiegarvi perché: stavo valutando di acquistarne una di seconda mano, quella nella foto qui accanto, come prima auto elettrica sperimentale del Maniero Digitale. E oggi è arrivata: è una Peugeot iOn.

Resto in attesa della futura Tesla Model 3, la cui consegna in Europa è prevista attualmente per l’inizio del 2019, ma nel frattempo ho deciso di acquistare questa iOn come complemento (non sostituto) della mia attuale auto a benzina (una Opel Mokka).

Come mai ho scelto proprio questa mini-auto elettrica fra le tante e ho rinunciato per esempio alla Opel Ampera-e che avevo provato con molto piacere? Per due motivi fondamentali: prezzo e (non ridete) larghezza.


Prezzo


Le auto elettriche sono dannatamente care, per ora. Una iOn nuova costa oltre 30.000 euro. Ma usata si trova anche a un terzo di questo importo (come nel mio caso). Questo mi consente di acquisire esperienza nell’uso di un’auto elettrica (pianificazione dei viaggi, procedure di ricarica nei punti pubblici, tecnica di guida, paranoie altrui) senza svenarmi, prima di decidere di imbarcarmi nella spesa notevole di una berlina elettrica nuova a lunga autonomia di qualunque marca, e tenendo l’auto a benzina per qualunque emergenza e per i viaggi lunghi.

Parlando di prezzi, la suddetta Ampera-e è salita di prezzo rispetto a quando l’ho provata. Già non era a buon mercato, ma ora costa cinquemila franchi in più (52.700 CHF, circa 46.000 euro).


Larghezza


Nel mio caso personale questo è stato un fattore decisivo. La iOn è “larga” 148 centimetri a specchietti aperti, per cui ha un grandissimo vantaggio: passa agevolmente nello stretto vialetto ricurvo che conduce alla porta d’ingresso del Maniero, mentre l’auto che ho ora ci passa a fatica e rischio costantemente di graffiarla nella mia maldestrezza. Una Tesla Model 3, larga due metri e lunga 4,7, sarebbe spacciata.

Con la iOn posso arrivare direttamente davanti alla porta di casa con la spesa, per esempio, invece di fare ripetuti pellegrinaggi con le borse su e giù per le scale dalla rimessa dell’auto. Problema da primo mondo, forse, ma percorrere le scale quando sono ghiacciate senza potersi reggere al corrimano è come giocare alla roulette russa, e in più da qualche tempo ho una questioncella di salute che mi obbliga a non sforzare la schiena (noi rettiliani longitipi siamo un po’ fragili per la gravità terrestre).

Scegliendo specificamente un’auto stretta elettrica, inoltre, non emetto gas di scarico e rumore, che darebbero fastidio ai vicini davanti ai quali devo transitare.

Le ridotte dimensioni della iOn saranno utili anche quando mi arriverà la Tesla, perché anche la Model 3, nonostante le apparenze, non è affatto una macchina piccola (come dicevo, è larga due metri e lunga 4,7). Anzi, la Model 3 è decisamente ingombrante per le strade e i parcheggi stretti di Lugano: lo so perché li ho sperimentati a fondo guidando una Model S, che è larga come la Model 3 e 30 cm più lunga, e non è un’esperienza che rifarei (e probabilmente non rifarebbe il concessionario Tesla ticinese che coraggiosamente me l’ha prestata): i sensori di parcheggio della Tesla sono meravigliosamente precisi e chiari, con la loro curva grafica delle distanze e l’indicazione in centimetri, per cui l’ho restituita intatta, ma una manovra di parcheggio chirurgica non è il tipo di stress che voglio subire ogni volta che vado in città.

La questione degli ingombri di una Tesla non è una magagna solo mia. So che alcuni Teslari semplicemente si rifiutano di usare alcuni parcheggi locali perché rigano puntualmente i cerchioni sui cordoli e toccano con il muso sulle rampe troppo ripide e mal raccordate. La Dama del Maniero ed io abbiamo preso l’abitudine di commentare “fallo con una Tesla!” ogni volta che riusciamo a infilare la nostra auto attuale in una strada stretta o in un autosilo che sembra concepito per le macchine degli anni Settanta.

In altre parole, una city car compatta mi serve, se mai vorrò avere una qualunque Tesla, e sarà utile per molti, molti anni.


Autonomia, prestazioni e costi


La iOn ha una batteria da 16 kWh che le dà un’autonomia realistica di circa 100 km (Peugeot dice che “può arrivare a 150 km”, ma in condizioni ideali), per cui da alcuni mesi ho tenuto traccia del chilometraggio dei miei spostamenti in auto e ho visto che il 20% circa dei miei percorsi è sotto i 100 km. Questo vuol dire che userò piuttosto spesso l’auto elettrica, riducendo il mio inquinamento e la mia spesa di carburante, che attualmente è di 0,11 CHF/km (0,095 €/km).

L’auto è subito piaciuta sia a me, sia alla Dama del Maniero: accelerazione vivace (come è normale nelle auto elettriche, nonostante i 1200 kg di peso), splendido silenzio, cruscotto semplice e intuitivo, sedili comodi persino per uno spilungone come me, nonostante le dimensioni ridotte dell’auto (è una quattro posti), e un bagagliaio ottimale per portare la spesa della settimana se si ribaltano i sedili posteriori.


Sì, lo so, è un’auto di sette anni fa e di certo non rispecchia il top della tecnologia attuale. Non ha l’app di gestione e quindi non la si può preriscaldare da remoto e non si può ricevere sullo smartphone la notifica dello stato di carica. Non ha nessuna forma di guida assistita o software aggiornabile come le Tesla: è un’auto elettrica e basta. Ma è in ottime condizioni (ha fatto 25.000 km, usata solo dal concessionario), ha comunque climatizzatore, airbag, ASR ed ESP, consuma pochissimo e mi costa una sciocchezza di assicurazione (circa 50 CHF/anno, perché è inclusa nell’assicurazione dell’auto principale grazie al metodo svizzero delle targhe trasferibili) e ha una tassa di circolazione trascurabile (62 CHF/anno). Inoltre è modificabile con un banale cambio di mascherina per migliorarne le prestazioni in rigenerazione. Ma come dicevo, soprattutto in questo momento mi risolve un problema di salute e di mobilità personale e mi offre la possibilità di fare un primo, cauto passo elettrico senza rischiare troppo.

Cauto, sì. Perché devo ammettere che un conto è discutere sulla carta di auto elettriche o viaggiare su quelle altrui, e un altro è passare all’atto pratico: emergono mille magagnine, angosce, dubbi e incognite che sembrano banali fino al momento in cui devi mettere mano al portafogli o mettere le mani sul volante (o spiegare ai curiosi o ai vicini che no, le auto elettriche non prendono fuoco più spontaneamente di quelle a benzina, e che il fatto che la ventola si accenda di notte durante la carica non vuol dire che l’auto stia per esplodere o abbia preso vita propria). Ve le racconterò prossimamente.


Prima cosa: come e dove la carico?


Il bello di un’auto elettrica è che puoi partire da casa sempre col “pieno”, a patto di predisporre una presa per la ricarica in garage. Questo riduce moltissimo l’inconveniente dell’autonomia limitata e dei tempi di ricarica: è sempre al massimo ogni mattina, e tanto l’auto passa tutta la notte in garage e quindi può metterci anche parecchie ore a caricare senza che la cosa causi alcun problema. Portarla ai punti di ricarica pubblici, dove il “pieno” di una iOn richiede circa mezz’ora, sarebbe invece molto scomodo e ridurrebbe parecchio il risparmio di denaro (la corrente dei punti pubblici costa circa il triplo di quello che mi costa a casa).

Ho quindi deciso di predisporre un punto di ricarica adeguato in garage e l’elettricista l’ha completato oggi: include una presa da 240 V AC 16A per la iOn e una presa industriale per esterni da 400V 16A (3P+N+T), per la futura Tesla (o altra auto elettrica a lunga autonomia), con relativo salvavita nel locale dei contatori. Costo complessivo dell’impianto: circa 760 CHF (660 €).

Va detto che in queste cose la differenza rispetto all’auto tradizionale si sente: è facile perdersi nel labirinto dei vari tipi di connettori e dei vari tipi di corrente con le relative unità di misura, e devi farti installare un “distributore” in casa. Se non siete pratici di kilowatt, kilowattora, volt e ampere, fatevi assistere e consigliare da un elettricista o da una persona che ha già un’auto elettrica. Ringrazio in particolare Paolo P. e Tiziano di Teslari.it per tutti i suggerimenti, che mi hanno fatto risparmiare parecchio.

Parlando di complicazioni, la iOn ha due connettori elettrici: un Tipo 1 (SAE J1772) e un CHAdeMO. Il CHAdeMO serve per la carica rapida (80% in mezz’ora, a 330V CC) presso i punti di ricarica commerciali. Il Tipo 1 è per la carica lenta in corrente alternata, a casa o presso i punti di ricarica commerciali.

Connettore Tipo 1. Notate lo sportello doppio.
Connettore CHAdeMO. Sportello doppio anche qui.


L’auto è fornita con un cavo di carica lenta dotato di regolatore, che si collega al connettore Tipo 1 della iOn e ha una spina standard da 220V all’altro capo: questo cavo permette di caricare la iOn completamente in 9 ore su qualunque presa da 10A assorbendo 2,3 kW: un carico ben gestibile insieme agli altri apparecchi domestici (tanto per dire, il mio bollitore per il tè consuma 2,4 kW). Nove ore possono sembrare un’eternità, ma provate a pensare quanto tempo passa in garage la vostra auto ogni notte. Appunto.

Cavo con regolatore e connettore Tipo 1.

Spina svizzera tripolare.


Ho già chiesto tempo addietro i permessi condominiali e il mio contratto di fornitura regge tranquillamente un’auto sotto carica oltre agli altri elettrodomestici. Dalle 22 alle 6, inoltre, ho una tariffa elettrica agevolata (0,146 CHF/kWh, pari a 0,126 €/kWh, tutto compreso). Calcolando un po’ di margine per le inefficienze di ricarica, un “pieno” da 100 km dovrebbe costarmi 2,7 CHF (2,34 €), pari a 0,027 CHF/km (0,023 €/km) contro i già citati 0,11 CHF/km (0,095 €/km) della mia auto a benzina. Un quarto del costo della benzina sembra troppo bello per essere vero: staremo a vedere.

Voglio adottare un approccio molto prudente, pratico e di minimo disagio, per cui non intendo usare la iOn per allontanarmi dal Maniero Digitale tanto da dovermi fermare a ricaricare. In pratica, con quest’auto andrò a non più di una cinquantina di chilometri da casa (distanza più che sufficiente per quasi tutti i miei spostamenti quotidiani). So che potrei osare qualcosina di più, probabilmente, ma non intendo rischiare o farmi affliggere dalla famosa range anxiety (ansia da autonomia) tipica dei conducenti di auto elettriche pure: per qualunque viaggio troppo lungo posso sempre usare l’auto a benzina. Di conseguenza, praticamente tutte le mie ricariche saranno alla presa di casa, dove mi costano meno. E la carica lenta allunga la vita della batteria.

Per sicurezza e per fare un po’ di esperienza, comunque, mi sono informato sui punti di ricarica veloce locali disponibili (sono parecchi): mi sono procurato la app di Emoti (gestore locale in Canton Ticino), la app Lemnet e la mappa dei punti di ricarica. Ho anche aperto online un account con Swisscharge.ch, che offre 30 CHF di credito ai nuovi iscritti e un’app che permette di trovare i punti di ricarica affiliati e di addebitarne il costo.

A differenza delle auto a motore termico, che hanno distributori ovunque e hanno metodi di pagamento standardizzati (contanti o carta di credito), i punti di ricarica elettrici sono ancora abbastanza rari e i metodi di pagamento sono una giungla (tessere, app e altro ancora); in più bisogna sperare che abbiano il connettore giusto e che siano liberi. Le Tesla semplificano tutto questo grazie alla loro lunga autonomia, al connettore unico e a una propria rete di punti di ricarica veloce (i Supercharger, da 120 kW); ma questa semplicità si paga. Vi racconterò le mie esperienze di ricarica man mano che mi capiteranno.


Seconda cosa: come la guido?


La iOn non è recente, ma supporta comunque il one-pedal driving, ossia la guida a pedale singolo: è facile e divertente come guidare la macchinina dell’autopista, specialmente per chi (come me) si è abituato al cambio automatico sulle auto a motore termico.

La frizione non c’è, ovviamente (non c’è neanche il cambio, perché i motori elettrici non ne hanno bisogno), e inoltre se si rilascia l’acceleratore l’auto rallenta rapidamente (anzi, piuttosto drasticamente) perché entra in funzione la rigenerazione: il motore agisce come una dinamo e converte l’energia di movimento in energia elettrica, ricaricando le batterie e aumentando l’autonomia. In pratica il pedale del freno (tradizionale) non si tocca quasi mai, specialmente se si impara ad anticipare i momenti in cui sarà necessario rallentare. Così si evita di buttare via energia e di inquinare disperdendo le particelle delle pastiglie dei freni (come avviene nelle auto a motore termico).

A parte questo, la iOn si guida come qualunque auto col cambio automatico: ha un selettore a leva per la marcia avanti (D), la retromarcia (R), il folle (N) e il parcheggio (P).



Per il resto, la sensazione di guida è abbastanza normale, a parte il silenzio totale quando si è fermi, per esempio al semaforo, che può creare inquietudine finché non ci si abitua. Bisogna inoltre tenere conto che l’auto praticamente non fa rumore a bassa velocità e quindi è importante assicurarsi che pedoni e ciclisti siano consapevoli della presenza dell’auto.

Le salite, anche lunghe, vengono affrontate senza alcuna difficoltà e le discese offrono la possibilità di ricaricare parzialmente le batterie invece di consumare i freni.

In autostrada si raggiunge senza problemi la velocità massima consentita in Svizzera (120 km/h) e si ha un’accelerazione molto godibile e rassicurante, anche se siamo lontani (ovviamente) dai valori brucianti di una Tesla. L’importante è ricordarsi di premere a fondo subito l’acceleratore, in modo che l’auto “capisca” che si vuole accelerare rapidamente, e tenere conto che queste accelerate costano molto in termini di autonomia.

Questo, per ora, è tutto. Mi ero ripromesso che quella attuale sarebbe stata la mia ultima auto fossile e così è stato. Ora sono proprietario di un’auto elettrica: piccola, semplice, con autonomia limitata, ma elettrica. Inquino meno da subito.

Certo, non pretendo assolutamente che sia un’auto adatta a tutti o che tutti la debbano comperare, ma a me funziona. Nei prossimi articoli vi racconterò gioie e dolori di questo modo nuovo di pensare la mobilità sostenibile.


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Podcast del Disinformatico del 2018/02/23

February 23, 2018 14:23, von Il Disinformatico

È disponibile per lo scaricamento il podcast della puntata di oggi del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera. Buon ascolto!

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