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Disinformatico

September 4, 2012 21:00 , by profy Giac ;-) - | No one following this article yet.
Blog di "Il Disinformatico"

Musica personalizzata infinita con l’intelligenza artificiale

June 4, 2019 4:06, by Il Disinformatico

Credit: Endel.
Questo articolo è il testo, leggermente ampliato, del mio podcast settimanale La Rete in tre minuti su @RadioInblu, in onda ogni martedì alle 9:03 e alle 17:03.

Si parla tanto di intelligenza artificiale, ultimamente, e spesso si immagina che si tratti di qualche supercalcolatore capace di chissà quali prodezze intellettuali sovrumane. Ma in realtà l’intelligenza artificiale di oggi è tutt’altra cosa: non richiede necessariamente supercomputer e spesso si occupa di compiti intellettualmente molto modesti ma indubbiamente utili.

Prendete la musica, per esempio: quella che usiamo come sottofondo per tante nostre attività quotidiane. Di solito si usa un approccio piuttosto meccanico, ossia si lascia che un programma semplice scelga più o meno a caso dei brani musicali pescati da una collezione. All’estremo opposto ci sono i DJ, che mixano brani o li campionano per creare un tappeto sonoro continuo che non è mai uguale. Un po’ come quello che stiamo ascoltando adesso in sottofondo [per chi ascolta il podcast].

Solo che questo brano l’ha creato Mubert, che non è un DJ o un musicista, ma è un’intelligenza artificiale che risiede in un’app omonima installata su un comune smartphone. Mubert crea quella che si chiama musica generativa, per usare un termine coniato dal celebre musicista e compositore Brian Eno: parte da una serie di regole e compone musica in tempo reale, improvvisando continuamente, come se fosse un musicista che fa jazz.

Mubert non è l’unica app del suo genere: ce ne sono altre, come Endel, che attingono a dati personali, come per esempio la localizzazione, l’ora, le condizioni meteo e le vostre pulsazioni, rilevate dal vostro smartwatch, e creano solo per voi una musica che segue esattamente il ritmo del vostro cuore o dei vostri passi.

Non si tratta di pura sperimentazione: queste app hanno applicazioni molto concrete. Viene facile immaginare che possano sostituire la musica per ambienti, perché per ora creano composizioni poco memorabili e si tratta di musica puramente strumentale, concepita per rilassare o per facilitare la concentrazione o il sonno.

È meno intuitiva, ma molto appetibile, un’altra applicazione: quella nei videogiochi. Invece di dover pagare musicisti per creare tutta la musica di accompagnamento di un gioco, da rimescolare a seconda delle situazioni, le intelligenze artificiali di musica generativa possono creare un sottofondo musicale continuo che si adegua costantemente alle situazioni di gioco. Cosa molto importante, lo fanno senza fare capricci e soprattutto senza chiedere diritti d’autore.

Non è un caso, quindi, che Endel sia diventata la prima intelligenza artificiale a firmare un contratto con una delle principali case discografiche, la Warner, a marzo 2019.

È la fine della musica creata da esseri umani? Decisamente no. Ma è un’avvisaglia del futuro prossimo che ci attende, in cui la musica non è necessariamente una registrazione fissa e uguale per tutti ma si adatta a ciascuno di noi. Un futuro che forse non entusiasma tutti in quanto a stile a gusto. Per citare lo scienziato e grande autore di fantascienza Arthur Clarke, ora che i computer hanno imparato a comporre musica elettronica, aspettiamo con fiducia che entro breve alcuni di essi imparino anche ad apprezzarla, risparmiandoci così la fatica di farlo noi.


Fonte aggiuntiva: Wired.com. Citazione originale di Clarke: “The prospect for modern music is a little more favourable; now that electronic computers have been taught to compose it, we may confidently expect that before long some of them will learn to enjoy it, thus saving us the trouble.”







Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.



Virgolettati inventati, una piaga perfettamente evitabile del giornalismo italiano

June 2, 2019 8:01, by Il Disinformatico

A scuola mi hanno insegnato che le virgolette riportano le esatte parole dette. Ma questa regola, semplice e chiara, per i giornalisti italiani non vale. Mentre il resto del mondo giornalistico fa estrema attenzione a citare esattamente le parole dette o scritte, i giornalisti e titolisti italiani se ne strafregano e inventano.

L’ultimo caso di questo virgolettato inventato ha colpito l’astronauta Luca Parmitano. Elvira Serra twitta: “Le figlie, il mare della Sicilia, la felicità come scelta. E poi la paura (che non ha) e i sogni (uno, in particolare, che riguarda @BarackObama). Il "mio" Luca Parmitano, prima della nuova partenza nello Spazio @Corriere @astro_luca #italiani”, linkando la propria intervista a Parmitano. E il titolista ribadisce: “Luca Parmitano: «Nello Spazio non ho paura e da lì parlerei con Obama»“. Una frase che Parmitano non ha mai pronunciato. Screenshot:


Non solo: la frase non rispecchia neanche quello che ha detto l’astronauta, che infatti pubblica questo chiarimento: “Un altro caso di ‘virgolettato selvaggio’: non ho mai detto di non aver paura - solo gli stolti non ne hanno. Anche il @Corriere cade nella trappola del sensazionalismo: io preferirei un’informazione noiosa, ma vera, a una clamorosa, ma falsa. Grazie @elvira_serra per le domande!”

Un altro caso di ‘virgolettato selvaggio’: non ho mai detto di non aver paura - solo gli stolti non ne hanno. Anche il @Corriere cade nella trappola del sensazionalismo: io preferirei un’informazione noiosa, ma vera, a una clamorosa, ma falsa. Grazie @elvira_serra per le domande! https://t.co/luhYYEP5QR
— Luca Parmitano (@astro_luca) June 1, 2019


Il Corriere ha cambiato il titolo, che ora è “Parmitano torna nello Spazio: «Lassù mi manca solo il mare»”.

Capisco che il giornalismo è alle prese con la crisi dell’editoria e che i soldi da spendere siano pochi, ma in questo caso cambiare il malvezzo menzognero dei virgolettati inventati non costa nulla. Basta volerlo fare.


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Davvero il successo delle auto elettriche è un problema in Gran Bretagna? Solo se si bara sui numeri

June 1, 2019 16:52, by Il Disinformatico

AGI ha pubblicato un articolo, Il successo dell'auto elettrica in Gran Bretagna è diventato un bel problema (copia su Archive.org), a firma di Gabriele Fazio. L’articolo dice che la creazione di punti di ricarica pubblici non riesce a stare al passo con le vendite di auto elettriche e ibride e quindi tanti utenti di questi veicoli usano metodi insicuri per caricare le proprie auto.

...su 1.500 proprietari di veicoli elettrici intervistati, compresi i padroni di veicoli ibridi, il 74% ha dichiarato che la carenza di punti di ricarica pubblici vicino alla propria abitazione li ha portati a utilizzare prolunghe domestiche non adatte per uso esterno collegate alla rete elettrica della loro casa, e di essere anche perfettamente consapevoli del pericolo.

Fazio cita un’indagine di Electrical Safety First, fornendo un link generico (quello all’indagine è questo; copia su Archive.org). Apprezzo la correttezza e la trasparenza di linkare le fonti, ma bisogna anche analizzarle e riportarle correttamente, altrimenti si incappa in errori di comunicazione importanti.

Infatti se non ci si ferma alla dichiarazione un po’ sensazionalista di ESF (“74% of EV users admit they have charged dangerously due to absence of local public charging points”) e si cercano e leggono le domande del sondaggio condotto da ESF (copia su Archive.org), salta fuori che non è il 74% dei proprietari di veicoli elettrici/ibridi intervistati ad avere questa condotta pericolosa, ma è il 74% dei proprietari esclusi quelli che usano solo colonnine pubbliche (“73.7% of respondents excluding those who charge exclusively using public charging points”). Un modo un po’ bizzarro di scartare una bella fetta della popolazione, in modo da far diventare più drammatica la percentuale dei comportamenti ritenuti pericolosi.

Non solo: la domanda esatta rivolta agli interpellati è stata se avevano mai, almeno una volta, usato una prolunga domestica con prese multiple all’aperto per caricare (“have you ever used a domestic multi-socket extension lead outside to charge your vehicle from the mains of a residential property (whether your own or someone else’s) solely or partly because you couldn’t locate an available, convenient public charging point close by?”).

Ma se la domanda è posta così, allora sono colpevole anch’io, perché anch’io, una volta, ho caricato la mia auto elettrica usando una prolunga all’aperto. Era all’asciutto, sotto una tettoia, e la mia auto assorbe pochi kW (2,3 su una presa standard a 220 V), per cui una presa elettrica normale con prolunga è più che adeguata.

Insomma, prima di dire che questo comportamento è diffusissimo ed è “diventato un bel problema”, è meglio ragionare bene sui numeri e su come si formulano le domande per i sondaggi.

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NOTA: Sia ben chiaro: usare all’aperto, magari sotto la pioggia, una prolunga a presa multipla per interni è pericoloso sempre e comunque, non solo quando si carica un’auto elettrica. Lo è anche se vi si collegano le lucine di Natale. Ma il sondaggio fa sembrare che sia un pericolo solo per chi ha un’auto elettrica. 


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Ci vediamo domani pomeriggio (31/5) a Pisa per parlare di Luna e complotti?

May 30, 2019 17:40, by Il Disinformatico

Foto AS11-40-5927. Buzz Aldrin lavora vicino al Modulo Lunare di Apollo 11 sulla Luna.

Come preannunciato nel calendario pubblico, domani 31 maggio alle 17 sarò a Pisa, a Palazzo Blu, per un incontro pubblico dedicato al cinquantenario delle missioni lunari con equipaggio e alle tesi di complotto che li riguardano. Come sempre, il complottismo è un’occasione per chiarire i dubbi ma anche per rievocare l’epopea della corsa alla Luna con immagini rare e di altissima qualità.

L’incontro sarà condotto da Marco Cattaneo, direttore di National Geographic e Le Scienze e curatore della mostra ‘Explore. Sulla Luna e oltre’, in corso fino al 21 luglio.

L’ingresso è libero nell’auditorium fino a esaurimento dei posti: tutti i dettagli sono su Palazzoblu.it.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.



5G, miti da smontare e paure pilotate

May 29, 2019 2:43, by Il Disinformatico

La propaganda di Russia Today.
Questo articolo è il testo, leggermente ampliato, del mio podcast settimanale La Rete in tre minuti su @RadioInblu, in onda ogni martedì alle 9:03 e alle 17:03.

Siete preoccupati per il 5G, la nuova tecnologia cellulare di cui si parla tanto? Non c’è nessun motivo concreto per esserlo: i dati accumulati nel corso di decenni e gli stessi principi fisici di base che consentono alle radio e alle televisioni di funzionare dicono che il 5G non è diverso dalla tecnologia cellulare attuale in termini di esposizione a campi elettromagnetici. Anzi, in molti casi il 5G riduce questa esposizione perché usa meno energia e adotta frequenze che penetrano molto meno nel corpo rispetto alla telefonia mobile attuale.

Eppure, stando agli allarmi che circolano su Internet ma anche su alcune testate giornalistiche, il 5G sarebbe colpevole di ogni sorta di pericolo: obbligherebbe ad abbattere gli alberi e causerebbe varie malattie, avendo il solo scopo di dare un vantaggio economico a un piccolo gruppo di ultraricchi e di multinazionali. È nata un’industria vera e propria, molto redditizia, di dispositivi e indumenti atti a proteggere dai suoi presunti effetti: si va dai cappellini alle mutande.

Ma soprattutto in questi allarmi viene usata la parola “radiazioni”, che crea un equivoco fondamentale, associando nella mente di molti la telefonia cellulare alla radioattività. Le radiazioni emesse dalle sostanze radioattive, però, non c’entrano nulla con i segnali radio emanati da qualunque apparecchio trasmittente, dal telecomando della TV allo smartphone. Anche la luce solare, per esempio, è una radiazione, ma non per questo è consigliabile bandirla.

C’è chi invoca il principio di prudenza, sostenendo che prima di introdurre una nuova tecnologia si dovrebbe fare una sperimentazione accurata. Ma in realtà il 5G non è una tecnologia nuova: è in sostanza una versione aggiornata e più efficiente di tecnologie che già usiamo da tempo. Applicare il principio di prudenza in questo caso sarebbe come boicottare il salumiere perché ha cambiato affettatrice e pretendere che dimostri che quella nuova non è nociva per il prosciutto.

Un altro equivoco frequente intorno al 5G è la credenza che siccome è più veloce, allora debba essere più potente e quindi più pericoloso. In realtà il 5G utilizza meglio le risorse: invece di diffondere in tutte le direzioni, concentra attivamente il segnale dove serve in un dato momento, e usa frequenze di trasmissione più alte, che per loro natura permettono di far passare più dati usando la stessa potenza o, viceversa, di usare meno potenza per far transitare la stessa quantità di dati.

Sembra inoltre che la paura del 5G, lungi dall’essere un fenomeno spontaneo, sia accuratamente alimentata da chi fa disinformazione per mestiere e per tornaconto: il New York Times ha tracciato la campagna anti-5G di RT America (che è il nuovo nome della filiale americana del canale Russia Today, organo di propaganda del governo russo): fuori dalla Russia, diffonde allarmi catastrofici di sedicenti “esperti”; in Russia, invece, le onde millimetriche vengono addirittura consigliate come terapia e il 5G viene incoraggiato dall’ambasciatore russo Alexander Yakovenko. Lo scopo della campagna russa sarebbe ostacolare l’introduzione del 5G (e i relativi miglioramenti di efficienza, con nuove opportunità di lavoro e commercio) nei paesi concorrenti, in modo da trarne un vantaggio strategico.

L’attenzione intorno al 5G è comunque utile, perché spinge a informarsi su alcuni aspetti poco noti di queste tecnologie, per esempio consultando app, come ElectroSmart per Android, che permettono di usare lo smartphone come misuratore di campi elettromagnetici.

Si scopre così che la fonte più intensa spesso non è l’antenna di telefonia mobile, ma il Wi-Fi domestico o il Bluetooth del televisore smart o degli auricolari senza fili che ci mettiamo direttamente dentro le orecchie, vicinissimi al cervello. E si scopre anche che la distanza dalle fonti conta tantissimo: se cambia da un centimetro a un metro, l’intensità scende di diecimila volte. Se dormite con lo smartphone acceso sul comodino, fateci un pensiero.


Fonti aggiuntive: Sciences et avenir, Open, Wired, Ars Technica, Swisscom, The Register.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.



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