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Disinformatico

September 4, 2012 21:00 , by profy Giac ;-) - | No one following this article yet.
Blog di "Il Disinformatico"

Podcast RSI - Arriva Threads: come usarlo e come scoprire la sua novità nascosta

January 23, 2024 19:01, by Il Disinformatico
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È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate qui sul sito della RSI (si apre in una finestra/scheda separata) e lo potete scaricare qui.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite iTunes, Google Podcasts, Spotify e feed RSS.

Questa è l’ultima puntata per il 2023: il podcast tornerà il 12 gennaio 2024.

Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.

Ultimo aggiornamento: 2023/12/22 20:05.

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[CLIP: Michelle Hunziker su Threads con un commento colorito]

È la voce di Michelle Hunziker, che in un post vocale su Threads ha brillantemente riassunto la reazione di molti all’arrivo anche in Europa dell’ennesimo social network, legato a doppio filo a Instagram e agli altri servizi di Meta. Threads, presentato come rivale e possibile sostituto di Twitter (o X, come si chiama ora), sta suscitando curiosità, sfinimento e disorientamento, e questi sentimenti hanno fatto passare in secondo piano una sua novità ben più importante: la cosiddetta federazione, che rende possibile partecipare a un social network senza dovervi per forza aprire un account e installare un’app apposita, senza essere bombardati dalla pubblicità o da post indesiderati e senza regalare dati personali. E Threads non è l’unico servizio online che sta abbracciando questo nuovo corso di Internet, in cui una volta tanto siamo noi utenti a ricevere benefici e semplificazioni.

Benvenuti alla puntata del 22 dicembre 2023 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo, e proverò a raccontarvi Threads e questa novità chiamata fediverso.

[SIGLA di apertura]

Miniguida a Threads

Il 14 dicembre scorso è stato reso ufficialmente disponibile anche in Europa Threads, il nuovo social network di Meta [disponibile fuori UE da luglio 2023, come ho raccontato qui], visto da molti addetti ai lavori come l’ammazza-Twitter. In effetti Threads somiglia molto al rivale: serve a pubblicare aggiornamenti e fare conversazioni pubbliche con altri utenti, principalmente sotto forma di testi lunghi fino a 500 caratteri accompagnati da foto, registrazioni audio e video* e link, usando l’app per smartphone oppure l’interfaccia Web di Threads.

* La dimensione massima di default delle foto è 1440 pixel, contro i 1080 di Instagram, e si può aumentare almeno fino a 4080 pixel andando in Impostazioni - Account - Qualità dei contenuti multimediali e scegliendo Carica contenuti multimediali nella qualità più elevata. Il limite di durata dell’audio è 30 secondi; quello dei video è 5 minuti.

Chi è già su Instagram può scaricare l’app di Threads e collegarla al proprio account Instagram, senza doversi inventare e ricordare un nuovo nome utente o una password aggiuntiva.

La schermata di Threads che propone di creare un profilo Threads associato al profilo Instagram.

Questo semplifica molto la creazione di un account rispetto agli altri social network, e infatti le iscrizioni iniziali sono state molto numerose. Prima del rilascio in Europa, il nuovo social network di Meta contava già circa 100 milioni di utenti attivi mensili, sia pure con un certo declino dopo gli entusiasmi iniziali [stando a Quiver Quantitative, gli utenti totali sarebbero circa 160 milioni].

A differenza di Twitter e Instagram, Threads per ora non offre messaggi diretti, ossia indirizzati a specifici utenti e non visibili agli altri. Offre invece la possibilità estremamente utile di pubblicare link cliccabili nei normali post, cosa che Instagram invece non consente. Inoltre i testi dei post sono modificabili anche dopo la pubblicazione, cosa che Twitter consente solo agli utenti paganti; però la modifica su Threads è possibile soltanto entro i primi cinque minuti, che di solito comunque è quanto basta per sistemare gli errori di scrittura più frequenti.

Un’altra particolarità di Threads è il modo in cui usa gli hashtag. Se li scrivete nella maniera normale, ossia digitando il simbolo di cancelletto (#) davanti alla parola che volete usare come tag, il simbolo sparisce e tutto quello che scrivete da quel punto in poi diventa un tag cliccabile, anche se inserite degli spazi. Inoltre si può mettere un solo hashtag per ogni post. Un po’ disorientante, per chi è abituato a riempire i propri post di hashtag e farli diventare una selva puntuta di cancelletti.

C’è anche un’altra differenza importante rispetto a Instagram: Threads funziona benissimo anche su computer, in una scheda del browser, e offre praticamente le stesse funzioni presenti nell’app, a parte in alcuni casi i post vocali, mentre la versione browser di Instagram è estremamente limitata rispetto all’app. Visto che Threads è un social network basato principalmente sul testo, è utile poterlo usare su un computer, che ha una tastiera adatta per scrivere grandi quantità di parole.

Come Instagram e gli altri servizi social di Meta, anche Threads è gratuito nella sua versione base: l’azienda vive di pubblicità e di profilazione degli utenti, e quindi usare Threads comporta riversare negli archivi di Meta grandi quantità di dati personali. In sostanza, adottare Threads al posto di Twitter significa affidarsi comunque agli umori di un altro ultramiliardario, Mark Zuckerberg al posto di Elon Musk, e questo oggi suona un po’ come saltare dalla padella nella brace, visto il caos perdurante su Twitter, dove numerosi personaggi impresentabili (come il complottista statunitense Alex Jones) sono stati riammessi, Musk fa dichiarazioni e prende decisioni dirigenziali sempre più bislacche e imbarazzanti, gli account di numerose testate giornalistiche sono stati silenziati o si sono autosospesi, e gli inserzionisti pubblicitari hanno dimezzato i loro investimenti perché sono preoccupati per gli accostamenti dei loro marchi a post di odio, discriminazione e antisemitismo promossi dallo stesso Elon Musk.

John Oliver elenca i dettagli del caos di Twitter e delle dichiarazioni di Elon Musk.

E se Zuckerberg facesse la stessa cosa? In fin dei conti, ha già dimostrato anche lui in passato di dare precedenza alla propria convenienza rispetto a quella degli utenti.

Se aggiungiamo a tutto questo la fatica di costruire da capo su Threads la rete di amicizie, contatti e account seguiti su Twitter o su altri social network, è comprensibile che l’arrivo di questo nuovo social network sia stato accolto con parecchie espressioni di sfinimento.

Ma nel caso di Threads c’è una differenza importantissima rispetto a tutti i social network commerciali precedenti e a quelli nascenti che tentano di prendere il posto di Twitter, come per esempio Bluesky. Questa differenza si chiama interoperabilità, ed è potenzialmente una rivoluzione nel modo in cui usiamo i social network e tutta Internet.

Threads entra nel fediverso

Da pochi giorni su Threads è possibile fare una cosa che finora sembrava impensabile: scambiare messaggi con chi è su Threads senza dover essere iscritti a Threads.

Siamo ormai abituati all’idea, e ci sembra assolutamente normale e inevitabile, che per comunicare con chi usa WhatsApp ci si debba iscrivere a WhatsApp, per parlare con chi sta su Telegram ci si debba iscrivere a Telegram, per seguire e commentare su Instagram si debba aprire un account su Instagram, e così via. Il risultato è che ci troviamo a dover gestire una caterva di app social, tutte incompatibili tra loro, e abbiamo su ciascun social network tanti contatti, che non possono parlarsi tra loro e sono costretti a restare dove sono perché i loro contatti sono su quel social network.

È come se nella telefonia mobile chi ha uno smartphone Samsung potesse telefonare solo agli altri possessori di telefoni della stessa marca e non potesse assolutamente comunicare con chi ha un iPhone oppure un operatore telefonico differente. Una situazione che sarebbe demenziale per il consumatore, ma vantaggiosissima per le aziende, perché nessun loro cliente oserebbe mai cambiare marca o operatore e passare alla concorrenza, perché perderebbe tutti i propri contatti.

Con Threads non è così. Threads, infatti, sta iniziando a usare lo standard aperto di comunicazione denominato ActivityPub. È uno standard, più propriamente un protocollo, che permette ai social network di diventare compatibili tra loro, ossia interoperabili, e anche di federarsi, ossia consentire lo scambio di messaggi, ed è infatti già usato da molti servizi online, come Pixelfed, Peertube o Mastodon e, da pochi giorni, anche da Flipboard. L’universo dei servizi uniti dal questo protocollo comune si chiama fediverso.

Flipboard annuncia il proprio ingresso nel fediverso.

In sintesi, l’adozione dello standard ActivityPub permetterà di interagire con gli utenti di Threads senza avere un account su Threads, usando semplicemente la propria app social compatibile preferita per seguire e commentare, e quindi senza dare dati personali e senza sorbirsi pubblicità. Con l’interoperabilità tutti possono comunicare con tutti.

Uno dei primi account interoperabili in questo modo è quello di Adam Mosseri, responsabile di Instagram, che può essere seguito da qualunque utente di qualunque social network aderente allo standard ActivityPub. Mosseri ha dichiarato, ovviamente in una serie di post su Threads, che nel corso del 2024 tutti gli account di questo social network potranno essere seguiti stando fuori da Threads e usando qualunque app che aderisca allo standard, mentre chi sarà su Threads potrà seguire anche chi ne sta fuori, per esempio su Mastodon, e potrà comunicare in modo diretto e trasparente con tutti. Cosa ancora più innovativa, un utente potrà abbandonare Threads e portare con sé altrove tutti i propri follower.

Per esempio, io ho un account su Mastodon, che è uno dei social network che aderiscono allo standard ActivityPub. Potrò seguire qualunque utente di Threads, ma anche di Flipboard, Firefish, Pleroma, GoToSocial, Pixelfed, Lemmy, PeerTube, Friendica o BookWyrm, standomene su Mastodon, usando la singola app che preferisco, senza sorbirmi pubblicità e senza pagare per non vederla: mi basterà aggiungere @threads.net dopo il nome dell’account Threads che voglio seguire. Tutto qui.

[CLIP: Gandalf dal Signore degli Anelli: “un anello per domarli tutti, un anello per trovarli, un anello per ghermirli e nell'oscurità incatenarli” (colonna sonora musicale rimossa con Lalal.ai)]

Rischio fagocitazione?

Può sembrare tutto molto complicato, ma se ci pensate un momento noterete che facciamo già tutti la stessa cosa con la mail senza batter ciglio: mandiamo continuamente mail a gente che sta su server di posta diversi dal nostro. Per esempio, chi ha una casella di mail su Gmail scambia messaggi con chi ce l’ha su Hotmail o sul server di posta della propria azienda, e viceversa; quando vogliamo mandare una mail, scriviamo il nome dell’utente destinatario seguito dal nome del server di posta di quel destinatario, che di solito è il nome del suo sito. Per mandare una mail a me presso la RSI, per esempio, scrivete il mio nome utente, che è paolo.attivissimo, seguito dal nome del server, che è rsi.ch. Fra i due mettete una chiocciolina e il gioco è fatto.

La cosa vi sembra normalissima perché Internet è nata proprio per consentire agli utenti di qualunque dispositivo di comunicare tra loro: sono stati i social network a erigere muri e recinti artificiali per impedire agli utenti di andarsene o di comunicare con chi sta fuori.

In altre parole, l’introduzione dell’interoperabilità su Threads significa che questi recinti possono cadere e che non ci deve per forza essere un colosso unico, come Meta, che diventa padrone e arbitro delle comunicazioni di miliardi di persone e milioni di organizzazioni, testate e aziende. Tutti possono comunicare con tutti, appunto, e possono farlo usando l’app che preferiscono, senza dover sottoscrivere le regole di un gestore unico, accettare i suoi algoritmi, i suoi account suggeriti da seguire, la sua moderazione arbitraria e la sua profilazione commerciale. Per miliardi di persone online, questo è un cambiamento enorme.

Threads sta entrando insomma nel fediverso, ma non tutti ne sono entusiasti. Cento milioni di utenti che sbarcano di colpo nell’universo dell’interoperabilità rischiano di sovraccaricare di traffico molti gestori di servizi online abituati finora a numeri ben più modesti. E il traffico ha un costo economico, che può diventare insostenibile per le isole più piccole dell’arcipelago che costituisce il fediverso. Più che entrare nel fediverso, Threads rischia di inglobarlo e fagocitarlo, travolgendo i gestori alternativi con costi di traffico che Meta può sostenere con disinvoltura, grazie agli introiti pubblicitari, ma che i gestori, spesso basati su donazioni e volontariato, non possono sopportare.

Alcuni di questi gestori hanno già alzato barriere di silenziamento preventivo contro Threads; altri si preparano allo tsunami di nuovi utenti, spammer e postatori compulsivi di “buongiornissimo caffè” con video di gattini da dieci megabyte l’uno. Il bello del fediverso è che ogni gestore, ogni istanza per usare il termine tecnico, può scegliere la propria strategia in base alle proprie risorse tecniche ed economiche senza che ne facciano le spese i suoi utenti.

Ma se Meta rischia di essere il proverbiale elefante nella cristalleria, allora non conviene semplicemente usare tutti Threads e lasciar perdere Mastodon e tutti gli altri? Non è così semplice. In Europa, Meta potrebbe entrare in conflitto con le norme contro il cosiddetto self-preferencing, ossia il trattamento preferenziale che una piattaforma offre a un proprio prodotto o servizio a scapito di quelli dei concorrenti [esempio su Agendadigitale.eu]. Threads, in altre parole, ha ricevuto una spinta molto speciale dal fatto di essere legato a Instagram. Mastodon e tutti gli altri servizi del fediverso non hanno questo rischio di conflitto.

Sia come sia, oltre a Threads ci sono tanti altri servizi online che stanno annunciando l’adozione dello standard ActivityPub o l’hanno già adottato, e il 2024 potrebbe essere l’anno in cui fediverso non è più la parola di moda del momento ma diventa un’industria concreta e una trasformazione dalla quale, una volta tanto, abbiamo benefici anche noi utenti.


Fonti aggiuntive: What to know about Threads, Eugen Rochko; 2023 in social media: the case for the fediverse, David Pierce, The Verge; Meta's Threads app launches across EU in blow to competitor X, Kari Paul, The Guardian; Threads is finally available to users in the EU, Ivan Mehta, Techcrunch; Threads launches for nearly half a billion more users in Europe, Jon Porter, The Verge.

Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.


Podcast RSI - Story: Hacker scoprono il Dieselgate dei treni

January 23, 2024 18:56, by Il Disinformatico
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È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate qui sul sito della RSI (si apre in una finestra/scheda separata) e lo potete scaricare qui.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite iTunes, Google Podcasts, Spotify e feed RSS.

Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.

Chicca: durante il montaggio mi sono accorto di aver dimenticato di leggere una parola in una frase. Invece di ritornare in studio a rifare la frase, l’ho fatta dire al mio clone. Riuscite a individuale qual è la frase sintetica?

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[CLIP: rumore di treno in stazione]

Si può hackerare un treno a fin di bene? A quanto pare sì: è successo in Polonia, dove un gruppo di hacker etici ha dichiarato di aver scoperto che i treni di una marca specifica contengono istruzioni nascoste che generano false segnalazioni di guasto e impediscono la libera concorrenza nella manutenzione.

Questa è la storia di come è stata fatta questa scoperta, certamente non facile, visto che per “hackerare” un treno bisogna avere accesso, appunto, a un esemplare di un treno, cosa un po’ più difficile rispetto a procurarsi un esemplare di smartphone da studiare, per esempio. Eppure è successo, e questa vicenda ha ramificazioni che ci toccano molto da vicino.

Benvenuti alla puntata del 12 gennaio 2024 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.

[SIGLA di apertura]

Guasti misteriosamente puntuali

Siamo in Polonia, a primavera del 2022. Sta per scadere il contratto di manutenzione del primo di undici treni modello Impuls 45WE, fabbricati dall’azienda polacca Newag e gestiti dalle Ferrovie della Bassa Slesia. Un evento normalmente noiosissimo e lontanissimo da qualunque interesse informatico, ma è in arrivo una sorpresa.

Un treno Newag Impuls. By Pudelek (Marcin Szala) - Own work, CC BY-SA 4.0, Link.

La manutenzione, che è obbligatoria dopo un milione di chilometri, è svolta da una società indipendente, la SPS (Serwis Pojazdów Szynowych), che ha vinto l’appalto per questo lavoro battendo la Newag. È un’operazione delicata, che richiede lo smontaggio di moltissimi componenti, ciascuno dei quali va spedito al rispettivo fabbricante, verificato e poi riassemblato e collaudato.

La SPS esegue tutto il lavoro seguendo il manuale di ventimila pagine del fabbricante, riassembla il treno, ma non c’è niente da fare: il computer di bordo dice che è tutto a posto e in ordine di marcia, ma gli inverter si rifiutano di fornire tensione ai motori e nessuno riesce a capire perché.

Un secondo treno dello stesso modello viene sottoposto allo stesso procedimento e avviene la stessa cosa: funzionava perfettamente prima dell’intervento, ma ora si rifiuta di muoversi. E in un’altra officina un altro esemplare si guasta dopo un intervento di manutenzione.

Con vari treni fuori uso, iniziano i disagi per gli utenti delle Ferrovie della Bassa Slesia e la vicenda finisce sui giornali locali. La Newag spiega che i treni sono stati bloccati da un “sistema di sicurezza” non meglio precisato, di cui però non c’è traccia in quelle ventimila pagine di manuale.

Alla SPS, la ditta che dovrebbe fare manutenzione e far ripartire quei treni misteriosamente bloccati, si accumulano i ritardi e le relative penali, e la tensione (quella psicologica, non quella elettrica) sale. Avendo esaurito ogni altra strada tecnica, qualcuno ha un’idea: chiedere a un gruppo di hacker etici di esaminare la questione.

Il gruppo si chiama Dragon Sector, e ha esperienza anche nel settore delle macchine industriali informatizzate, ma un treno è un caso decisamente insolito. Con fatica i tre membri di Dragon Sector riescono a scaricare dal treno una copia del software di gestione del computer e iniziano a esaminarlo. Ma è un lavoro lento e difficile.

Dopo un mese e mezzo di tribolazioni degli informatici, con i treni ancora bloccati, le Ferrovie della Bassa Slesia perdono la pazienza e annunciano l’imminente rescissione del contratto, che verrà passato alla Newag. Ma il giorno prima della scadenza gli informatici riescono a trovare una configurazione del computer di bordo che fa ripartire i treni, e quindi le Ferrovie decidono di non rescindere quel contratto.

L’esame svolto dal gruppo di hacker etici rivela che il software di questi treni ha delle caratteristiche molto particolari: per esempio, contiene delle coordinate geografiche che sembrano a prima vista casuali ma sono quelle dei centri di manutenzione ferroviaria polacchi. Il software include anche una serie di istruzioni che impediscono al treno di muoversi se rimane per almeno dieci giorni presso uno di questi centri. E ci sono anche altre istruzioni, che bloccano il treno quando viene sostituito uno dei suoi componenti, grazie a un controllo sui numeri di serie dei vari pezzi, e salta fuori che il blocco può essere annullato premendo una particolare sequenza di tasti nella cabina di guida. Tutte funzioni non documentate dai manuali. Su un altro esemplare dello stesso treno viene trovato del codice che gli ordina di “guastarsi” dopo un milione di chilometri.

Il 21 novembre 2022 succede un altro evento insolito: un ulteriore esemplare che non era in manutenzione rifiuta di partire, dicendo che il compressore è guasto, ma i meccanici lo controllano e dicono che va benissimo. L’analisi del software di bordo fa emergere un’istruzione che dice specificamente che va visualizzata la segnalazione di guasto al compressore dopo una certa data.

Non mancano le sorprese anche a livello hardware: i ricercatori trovano su un altro esemplare di questo treno un dispositivo connesso a un modem GSM che consente al computer di bordo di inviare e ricevere dati.

Le mani nella marmellata

La notizia della riparazione del treno da parte della SPS si diffonde in fretta fra gli addetti ai lavori ed emerge che in giro per il paese ci sono una ventina di esemplari apparentemente guasti presso varie aziende. Tutti, stranamente, riprendono a funzionare quando i ricercatori isolano dal software di bordo i comandi di blocco o applicano i comandi di sblocco corrispondenti.

Il CERT nazionale polacco, una delle principali autorità di sicurezza informatica del paese, viene avvisato della situazione dai ricercatori a dicembre 2022, e i ricercatori presentano i risultati delle proprie scoperte alla conferenza Oh My H@ck un anno dopo, il 5 dicembre 2023. Se vi interessano i dettagli tecnici, li trovate linkati su Disinformatico.info.

In sintesi, secondo questi esperti il software di bordo dei treni della Newag è progettato in modo da generare guasti inesistenti e rendere impossibile la manutenzione da parte di altre aziende concorrenti.

Questa, perlomeno, è la ricostruzione dei fatti presentata [anche su Mastodon] dagli esperti informatici della Dragon Sector. Ma la Newag, la casa produttrice dei treni in questione, non concorda.

Il 6 dicembre 2023, il giorno dopo la presentazione pubblica dei risultati dei ricercatori, la Newag emette un comunicato stampa (PDF, in polacco) negando l’esistenza di queste caratteristiche nel suo software, attribuendo eventuali problemi a ignoti hacker e affermando che si tratta di un caso di diffamazione da parte delle aziende concorrenti. Secondo Newag, questi treni sarebbero ora insicuri, perché il software sarebbe stato alterato e la riparazione dei treni costituirebbe una violazione del copyright. L’azienda ha anche minacciato di avviare un’azione legale contro gli esperti informatici.

Ma Dragon Sector ha rincarato la dose, presentando una relazione documentatissima al congresso informatico Chaos Communications Conference ad Amburgo a fine dicembre 2023 e spiegando che non ha affatto alterato il software presente a bordo dei treni, ma ha solo usato il codice esistente e i meccanismi di sblocco già presenti.

La loro risposta tecnica alle affermazioni di Newag è che è evidente che chi ha inserito quelle istruzioni nel software aveva accesso al suo codice sorgente, e a quanto risulta quel codice ce l’ha solo Newag. Uno degli esperti di Dragon Sector ha precisato inoltre che finora il suo gruppo non ha ancora ricevuto alcuna comunicazione legale da Newag.

La questione è ancora in evoluzione, ma l’ex ministro degli affari digitali della Polonia (Janusz Cieszyński) ha confermato che il governo ne era a conoscenza da tempo e ha dichiarato che secondo lui la Newag non è una vittima in questa vicenda.

Lo scenario che si va delineando, insomma, è quello purtroppo tipico di tanti prodotti elettronici di consumo, dagli smartphone alle stampanti alle macchine per il caffè: il fabbricante usa il software di gestione per inserire delle funzioni nascoste che inventano manutenzioni fittizie, rifiutano riparazioni effettuate da terzi o non accettano cartucce o capsule tecnicamente compatibili offerte da altri produttori. Una pratica anticoncorrenziale illegale in molti paesi, che danneggia i consumatori e arricchisce i fabbricanti che la adottano. È però insolito vedere queste tecniche applicate a un treno, in una sorta di Dieselgate ferroviario.

Trasparenza negata

La vicenda dei treni polacchi non è il primo caso del suo genere: a maggio 2022 era emerso che anche il fabbricante di veicoli agricoli John Deere ha adottato misure analoghe per obbligare i clienti a rivolgersi alla sua rete di assistenza e riparazione.

Questo tipo di pratica è molto difficile da scoprire: un conto è fare un’indagine su uno smartphone acquistandone qualche esemplare, un altro è dover comperare un intero treno o un trattore per poterlo studiare e verificare che non contenga trappole nascoste nel software.

Eppure la soluzione ci sarebbe: obbligare i fabbricanti a rendere disponibile il proprio software almeno agli esperti. Alcuni grandi operatori ferroviari [SNCF], per esempio, esigono dal fornitore l’accesso al codice sorgente del software che gestisce i sistemi di bordo dei treni. Ma i fabbricanti sono riluttanti, sia perché rischiano che eventuali trucchetti vengano scoperti, sia perché il loro software spesso contiene conoscenze industriali che farebbero gola ai concorrenti, e sostengono inoltre che pubblicare il software dei loro prodotti faciliterebbe gli attacchi informatici.

Ma come sanno bene i sostenitori dell’open source, che da decenni chiedono trasparenza nel software, la sicurezza è una scusa: se un programma deve restare segreto per essere sicuro, vuol dire che è scritto male. Un programma scritto bene rimane sicuro anche quando è liberamente consultabile. E finché il programma scritto male è quello di un videogioco o di uno spreadsheet, pazienza; ma se si tratta del software che fa funzionare un treno che trasporta persone, il rischio di un crash diventa molto più serio. Anche perché se il fabbricante introduce intenzionalmente funzioni che gli permettono di paralizzare un treno o una macchina agricola da remoto, quelle funzioni possono essere scoperte e usate anche da malintenzionati, per esempio per estorsioni, oppure in caso di guerra.

E se state pensando che i treni intenzionalmente vulnerabili siano solo un problema polacco, tenete presente che lo stesso fabbricante esporta per esempio anche in Italia [sulla Ferrovia Circumetnea, con qualche difficoltà; anche nella Repubblica Ceca e in Slovacchia].


Fonti aggiuntive:

Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.


Podcast RSI - Topolino fuori copyright, IA negli smartphone, navigazione anonima che non lo è

January 23, 2024 14:45, by Il Disinformatico
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È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate qui sul sito della RSI (si apre in una finestra/scheda separata) e lo potete scaricare qui.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite iTunes, Google Podcasts, Spotify e feed RSS.

Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.

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[CLIP: Topolino che fischietta, da Steamboat Willie]

Non vi preoccupate: sì, questa è la sigla con la quale da anni iniziano i prodotti audiovisivi della Disney, ma questo podcast non è stato comprato dalla casa madre di Topolino. Quella sigla c’entra per un altro motivo: è appena scaduto il suo copyright, dopo ben 95 anni, e quindi oggi è liberamente utilizzabile. Disney non ne ha più l’esclusiva. Ma quella sigla ha una storia molto particolare, che pochi ricordano e che permette di scoprire una chicca di tecnologia di un secolo fa.

Intanto la tecnologia di oggi annuncia l’intelligenza artificiale installata sui nuovi smartphone, ma non è tutto oro quello che luccica, e salta fuori che la cosiddetta modalità di navigazione in incognito di Google Chrome non è affatto in incognito.

Benvenuti alla puntata del 19 gennaio 2024 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.

[SIGLA di apertura]

Ricordiamo Topolino e Steamboat Willie per il motivo sbagliato

[CLIP: Topolino che fischietta, da Steamboat Willie]

Il primo gennaio scorso è scaduto il copyright su Steamboat Willie, il cartone animato della Disney del 1928 che rese celebre Mickey Mouse, o Topolino per usare il suo nome italiano. Se ne è parlato molto (RSI; RSI) perché proprio la Disney, negli scorsi decenni, ha fatto a lungo pressioni per estendere la durata dei diritti d’autore per proprio tornaconto, riuscendo a far cambiare più volte le leggi statunitensi e portando il copyright su certe opere fino a 95 anni dalla loro pubblicazione.

Il fatto che non ci siano state ulteriori estensioni segna una svolta storica nel settore: dal primo gennaio 2024 chiunque può usare liberamente l’immagine di Topolino, anche se va precisato che è liberamente usabile solo quel Topolino mostrato in Steamboat Willie, che ha delle caratteristiche ben differenti da quelle del Topolino moderno, e ci sono anche altre restrizioni.

Ma Steamboat Willie in realtà è un cartone animato importante per un altro motivo, che oggi è quasi dimenticato: fu il primo cortometraggio animato di successo distribuito con il cosiddetto sonoro sincronizzato. Cent’anni fa i film erano muti. Non si sentivano le voci degli attori, non c’erano effetti sonori e la colonna sonora musicale veniva eseguita dal vivo da un’orchestra o da un pianista o un organista. Erano stati fatti vari esperimenti per accoppiare il suono alle immagini, per esempio facendo partire un disco contenente l’audio nel momento in cui iniziava il film, ma si trattava di una sincronizzazione rudimentale che veniva persa facilmente, con risultati comici e imbarazzanti.

Walt Disney, però, era rimasto affascinato dal successo del film Il cantante di jazz, uscito l’anno precedente con una colonna sonora sincronizzata tramite disco, e decise di sonorizzare i propri cartoni animati, usando tuttavia una tecnica molto differente: l’audio veniva registrato sulla pellicola, insieme alle immagini, sotto forma di variazioni di trasparenza di una banda laterale della pellicola stessa, usando un ingegnosissimo sistema elettromeccanico molto steampunk, e quindi non si perdeva mai la sincronizzazione precisa.

Un’altra innovazione di Steamboat Willie fu l’uso di una cosiddetta click track: segni ottici sulla pellicola di lavorazione che davano ai musicisti il tempo esatto. Una sorta di metronomo visivo. Questo permise a Disney di far iniziare e terminare la musica proprio nell’istante desiderato, mentre nei film precedenti l’orchestra spesso finiva comicamente fuori tempo, non solo quando suonava dal vivo ma anche quando veniva preregistrata.

La reazione del pubblico e della critica alle novità tecniche di Steamboat Willie fu entusiasta e contribuì non poco alla fine dell’epoca del cinema muto. La storia che raccontava non era un granché, e i suoi personaggi non avevano molto spessore, ma il progresso tecnico che mostrava era evidente, coinvolgente e innegabile anche per i non esperti, come lo sarà qualche decennio più tardi il passaggio dal bianco e nero al colore, quello al formato 16:9 o IMAX, o quello al 3D. In altre parole, Steamboat Willie è l’Avatar di cento anni fa.

Fonte aggiuntiva: The trick that made Mickey Mouse famous (Phil Edwards, YouTube)

Intelligenza artificiale negli smartphone

Samsung ha appena presentato gli smartphone con intelligenza artificiale integrata o on-device. Probabilmente a questo punto siete un po’ stufi di sentire l’ennesimo annuncio di un prodotto al quale viene aggiunta l’intelligenza artificiale e in effetti molto spesso si tratta di un’aggiunta fatta più che altro per cavalcare la popolarità della IA e spacciare per nuovo qualcosa che tutto sommato non lo è.

Ma in questo caso la novità è importante, anche se a prima vista si tratta di qualcosa che abbiamo già sui nostri smartphone attuali. Per esempio, con i nuovi smartphone con IA integrata si può inquadrare un oggetto, indicarlo disegnandogli intorno un cerchio sullo schermo, e farsi dare informazioni utili su quell’oggetto: una cosa che si può già fare, grosso modo, con app come Google Lens. Si possono elaborare le immagini, per esempio togliendo i riflessi da una foto fatta attraverso una vetrina o un finestrino oppure cambiando lo sfondo di una fotografia, ma anche questo già si fa con i filtri e le app offerte da molti social network. Si può chiedere la trascrizione e la traduzione istantanea di una conversazione, come fanno già le app di trascrizione e traduzione, appunto. E sugli smartphone con IA integrata si può chiedere il riassunto di un testo o la composizione di una mail o di un post per i social network, come si fa già con ChatGPT e simili.

Ma allora dove sta la novità? Sta su due livelli: il primo è l’integrazione di questi servizi direttamente nelle app, per cui per esempio per tradurre non serve aprire l’app apposita e separata, ma si può usare questo nuovo servizio di traduzione restando nell’app che si sta usando. Possiamo usare il servizio di traduzione istantanea durante una telefonata, conversando con una persona che non parla la nostra lingua. Questo rende molto più veloci e fluide le attività da svolgere con lo smartphone. Si può essere più produttivi ed efficienti, per lavoro o per svago.

Il secondo livello, però, è quello più importante: con gli smartphone con intelligenza artificiale integrata, l’elaborazione viene svolta in tutto o in parte sul telefono invece che sui server remoti di qualche grande azienda. Questo vuol dire che i servizi di IA di questi nuovi telefoni funzionano, in alcuni casi, anche senza accesso a Internet.

Per esempio, il servizio di traduzione in tempo reale funziona anche a bordo degli aerei, in galleria o in qualunque altro posto in cui non c’è campo e non c’è il Wi-Fi. L’elaborazione locale, inoltre, elimina i tempi morti dovuti alla necessità di inviare i dati a un server remoto, farglieli elaborare e poi aspettare che vengano ricevuti i risultati. Ma soprattutto questa elaborazione locale significa che i nostri messaggi, le nostre conversazioni, le nostre foto vengono spesso trattate sul nostro dispositivo, senza finire nelle mani di qualche grande azienda che poi può analizzarle e rivenderle.

La IA integrata nei telefoni, insomma, è potenzialmente un enorme vantaggio in termini di privacy. Dico “potenzialmente” perché sfogliando le note scritte in piccolo delle pagine informative di Samsung emerge che almeno per ora molti dei servizi di intelligenza artificiale incorporati nel telefonini richiedono una connessione attiva a Internet e un account Samsung, diversamente da quanto riportato da alcuni articoli di recensione un po’ troppo entusiasti. Bisogna insomma leggere attentamente le avvertenze per capire realmente come stanno le cose caso per caso. E leggendo quelle avvertenze ci si accorge anche che ricorre anche un’altra frase tipica dell’intelligenza artificiale: “l’accuratezza dei risultati non è garantita”. Per cui, insomma, non è il caso di fidarsi troppo delle traduzioni o dei riassunti fatti con questi strumenti.

Chrome, la modalità in incognito non è in incognito

La navigazione privata o modalità di navigazione in incognito delle app per sfogliare il Web è molto usata quando si vuole visitare un sito senza lasciare tracce di averlo fatto, per qualsiasi ragione, ma nel caso di Google Chrome c’è ben poco di incognito nella modalità in incognito.

Google e vari siti gestiti da altre aziende, infatti, raccolgono dati personali anche durante la navigazione in incognito. Lo sappiamo grazie a un’azione legale avviata nel 2020 in California contro Google per violazione della privacy, che ha fatto emergere questa situazione.

Gli utenti esperti sanno già che le modalità private o in incognito dei browser impediscono che alcuni dati vengano conservati sul loro dispositivo, ma non bloccano il tracciamento da parte di siti Web o di fornitori di accesso a Internet. Ma i non esperti non lo sanno, e attualmente quando avviano Chrome in modalità incognito vedono le parole molto categoriche “Ora puoi navigare in privato”, presumono giustamente di navigare in privato e non vengono avvisati che Google raccoglie dati su di loro anche in questa modalità. L’avviso parla solo del fatto che l’attività potrebbe essere comunque visibile “ai siti web visitati, al tuo datore di lavoro o alla tua scuola” oppure “al tuo provider di servizi Internet”, ma non dice nulla sul ruolo di Google.

Le future versioni di Chrome parleranno invece di “navigare in modo più privato”, dichiareranno che i siti web visitati in modalità incognito raccolgono comunque dati, e specificheranno che lo fa anche Google.

Ma allora, la modalità in incognito a cosa serve esattamente? Serve a non lasciare tracce sul dispositivo che si sta usando. Per esempio, se usa il computer o lo smartphone di un amico o di un collega per controllare la propria posta oppure i propri account social, la modalità incognito impedirà che il vostro nome utente e soprattutto le vostre password vengano conservate sul dispositivo del vostro amico o collega. Tutto qui. Se avete usato la modalità incognito per anni pensando di essere invisibili, rassegnatevi: Google e i siti che avete visitato sanno benissimo che cosa avete fatto. Se volete essere realmente invisibili online, servono app apposite e servono comportamenti piuttosto impegnativi. Ma questa è un’altra storia.

Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.


Chi c’è nello spazio? Aggiornamento 2024/01/21: 14 persone

January 21, 2024 19:40, by Il Disinformatico

Pubblicazione iniziale: 2024/02/21 15:53. Ultimo aggiornamento: 2024/01/21 23:40.

Il 18 gennaio scorso è partita dalla Florida la missione privata Axiom-3, che ha portato alla Stazione Spaziale Internazionale quattro astronauti privati: un razzo Falcon 9 di SpaceX ha lanciato la capsula Dragon con a bordo Michael López-Alegría (comandante della missione), l’italiano Walter Villadei (pilota della Dragon), e gli specialisti di missione Marcus Wandt e Alper Gezeravci. L’equipaggio trascorrerà a bordo della Stazione circa due settimane (fino al 3 febbraio), svolgendo ricerche sulla microgravità, attività di comunicazione educational, una trentina di esperimenti scientifici e attività commerciali. 

Si tratta della prima missione commerciale composta interamente da astronauti europei. Questo volo porta il numero complessivo di persone attualmente nello spazio a quattordici.

Ax-3 Mission | In-Flight Update#Ax3 #AxiomSpace #dragon #space #spacemission #spaceflight #astronaut pic.twitter.com/6qPR3ARjeO

— Walter Villadei (@WalterVilladei) January 19, 2024

Yesterday was a big day! @astro_marcus and the Axiom-3 crew arrived to the International Space Station after launching late on Thursday evening. They will stay on board the Space Station for 14 days before returning to Earth in early February. Their stay will be filled with… pic.twitter.com/YZWW51h0Aw

— Andreas Mogensen (@Astro_Andreas) January 21, 2024

L’ufficio stampa dell’Agenzia Spaziale Italiana mi segnala una dichiarazione del presidente dell'Agenzia, Teodoro Valente: "Con il lancio di Ax-3 l’Italia conferma il suo ruolo di protagonista, continuando a promuovere l’impegno verso le attività spaziali di ricerca e sviluppo, ancorché la valorizzazione del made in Italy per lo spazio. La missione rappresenta l'occasione per dimostrare ancora una volta la capacità scientifica e tecnologica del Sistema Paese, contribuendo a rafforzare il rilevante ruolo dell'Italia in tutti i comparti di questo settore fortemente strategico. Un grande lavoro di squadra, che è stato possibile grazie anche all'ampio supporto governativo che ha permesso di raggiungere gli obiettivi prefissati. L’Agenzia Spaziale Italiana vanta un’importante esperienza nel settore del volo umano nello spazio. Alla missione Ax-3 l’ASI, in coordinamento con i principali istituti di ricerca e università italiane, contribuisce con diversi esperimenti scientifici che saranno eseguiti in microgravità sulla Stazione Spaziale Internazionale. I risultati di queste sperimentazioni porteranno a una maggiore conoscenza degli effetti della permanenza nello spazio, con rilevanti ritorni in ambito medico su patologie come Alzheimer o stress ossidativo".

Trovate maggiori informazioni presso questo link dell'ASI.

Stazione Spaziale Internazionale (11)

  1. Jasmin Moghbeli (USA, NASA) (dal 2023/08/26)
  2. Andreas Mogensen (Danimarca, ESA) (dal 2023/08/26, attuale comandante della Stazione dal 2023/09/26)
  3. Satoshi Furukawa (Giappone, JAXA) (dal 2023/08/26)
  4. Konstantin Borisov (Russia, Roscosmos) (dal 2023/08/26)
  5. Loral O’Hara (USA, NASA) (dal 2023/09/15)
  6. Oleg Kononenko (Russia, Roscosmos) (dal 2023/09/15)
  7. Nikolai Chub (Russia, Roscosmos) (dal 2023/09/15)
  8. Michael López-Alegría (USA, Axiom) (dal 2024/01/18)
  9. Walter Villadei (Italia, Axiom) (dal 2024/01/18)
  10. Marcus Wandt (Svezia, Axiom) (dal 2024/01/18)
  11. Alper Gezeravci (Turchia, Axiom) (dal 2024/01/18)

Stazione Nazionale Cinese (3)

  1. Tang Hongbo (dal 2023/10/06)
  2. Tang Shengjie (dal 2023/10/06)
  3. Jiang Xinlin (dal 2023/10/06)


Fonte aggiuntiva: Whoisinspace.com.

Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.


No, le auto elettriche non vanno in tilt per il freddo

January 20, 2024 7:51, by Il Disinformatico
Pubblicazione iniziale: 2024/01/18 11:39. Ultimo aggiornamento: 2024/01/20 11:50.

Sta spopolando la “notizia” delle Tesla in panne a Chicago a causa del freddo intenso di questi giorni, e ovviamente i detrattori della mobilità elettrica non hanno perso l’occasione di esibire la loro ignoranza e compiacere i loro lettori invece di informarli correttamente.

Il fenomeno segnalato a Chicago è legato a un malfunzionamento delle stazioni di ricarica, non alle auto: lo dicono piuttosto chiaramente questo servizio di una TV locale e quest’altro. Lo dice anche ANSA: “In assenza di informazioni da parte di Tesla è logico supporre che si sia trattato delle note conseguenze che il freddo estremo può avere su cavi di ricarica, connettori e altri componenti critici di un Supercharger”. Usare questa storia per criticare le auto elettriche in generale e dire che non reggono il freddo è come dire che le auto a carburante sono un fallimento perché si è gelata la pompa di una stazione di servizio.

Detto questo, è vero che le auto elettriche subiscono un calo di prestazioni (autonomia e capacità e velocità di carica) quando le temperature sono molto basse, perché la batteria lavora bene e può essere ricaricata rapidamente solo se viene mantenuta entro una specifica gamma di temperature. Molti costruttori incorporano nelle proprie auto sistemi di preriscaldamento della batteria proprio per gestire questo requisito.

Fa freddo in questi giorni anche al Maniero Digitale, e quindi il sistema di preriscaldamento della mia Tesla interviene automaticamente per portare la batteria a una temperatura ottimale per la ricarica. Le 11 ore di tempo di ricarica sono un valore temporaneo dovuto appunto alla batteria fredda; dopo che la batteria si è scaldata, la carica è durata molto meno di 11 ore.

Ma questo preriscaldamento usa la corrente della batteria stessa, per cui se l’auto è quasi completamente scarica e arriva il freddo improvviso, può non esserci carica sufficiente a preriscaldarla e quindi i sistemi di protezione della batteria impediscono la ricarica rapida, perché se venisse fatta a freddo danneggerebbe la batteria. 

La soluzione è semplicemente non lasciare che l’auto si scarichi così tanto. Un po’ come la soluzione per non restare a secco con un’auto a carburante è andare a fare rifornimento prima che il serbatoio sia vuoto. Non sembra un concetto difficile, ma a quanto pare molti faticano a capirlo.

Purtroppo molti utenti usano le stazioni di ricarica rapida come se fossero dei distributori di carburante, invece di caricare comodamente e lentamente a casa, senza stressare la batteria, cosa che avrebbe risolto il problema che si sta verificando a Chicago.

Se si può caricare a casa, l’auto elettrica offre oltretutto l’enorme vantaggio di poter scaldare l’abitacolo e sgelare i finestrini standosene comodamente al calduccio: non avendo gas di scarico, l’auto elettrica può essere accesa a distanza, tramite l’app, mentre è in garage, e può essere preriscaldata e sbrinata. Lo faccio spesso, ed è meravigliosamente comodo.

Fra l’altro, i dati indicano che un’auto tradizionale ha problemi col freddo molto più spesso di quanti ne abbia un’elettrica. A parte la questione delle auto diesel, che con il freddo intenso non partono proprio se non sono state rifornite con carburante adatto alle basse temperature, va notato che in Norvegia, dove quasi un quarto (il 23%) di tutte le auto è elettrico e in questi giorni fa freddo come a Chicago, la società di soccorso stradale Viking segnala che su 34.000 richieste di assistenza pervenute nei primi nove giorni del 2024, l’87% ha riguardato l’avviamento di auto a carburante e solo il 13% ha riguardato auto elettriche. In sintesi, le auto a carburante hanno il doppio di problemi di avviamento per il freddo rispetto a quelle elettriche (TV2). Va detto che il parco auto elettrico è mediamente più recente di quello tradizionale, e anche questo probabilmente contribuisce alla situazione.

 

Fonte aggiuntiva: Electrek.

Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.


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