Il cerchio nel grano di stanotte a Marocchi l’ho fatto io con gli amici circlemaker
June 21, 2014 12:19 - Pas de commentaireForse vi siete chiesti cosa volevano dire questi miei tweet criptici di ieri e di stanotte:
disinformatico Se avete sentito il jingle pochi minuti fa su @ReteTre, tenetelo bene presente. Per ora non posso dire altro. 20/06/14 11:22 |
disinformatico sono in una località segreta per un'operazione segreta con persone segrete. non ditelo a nessuno. 20/06/14 21:14 |
disinformatico 14 30 22.5 dettagli domani 20/06/14 22:56 |
disinformatico 4am. missione compiuta. 21/06/14 04:01 |
Ora posso cominciare a spiegarli. Il jingle di Rete Tre parlava di cerchi nel grano. Francesco Grassi, autore del libro Cerchi nel grano, tracce d'intelligenza, ha pubblicato quanto segue su Twitter:
francescograssi Il mistero notturno di @disinformatico è in queste immagini e gli autori sono citati qui! https://t.co/aC67AChVdG http://t.co/ZMpTwmsqZL 21/06/14 09:09 |
Il tweet di Francesco è accompagnato da questa foto, scattata stamattina:

Questo è tutto quello che posso dire per ora:
– Confermo che c'ero e ho partecipato alla creazione del cerchio stanotte fra le 22 e le 4.
– Nessun alieno è stato maltrattato per la realizzazione di quest'opera.
– Sono rimasto sorpreso dalla rapidità con la quale l'abbiamo realizzata.
– Il proprietario del campo ha dato il permesso.
– I numeri 14 30 22.5 che ho tweetato sono alcune dimensioni dell'opera.
– Le coordinate esatte del campo sono queste.
Maggiori dettagli e immagini arriveranno nelle prossime ore. Per ogni dubbio, domanda o richiesta di contatto, sentite direttamente l'autore, Francesco Grassi.
Reazioni
Del cerchio si parla già in giro:
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La Stampa 2014/06/21 |
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Quotidiano Piemontese 2014/06/21 |
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BoingBoing 2014/06/21 |
Ma quale sicurezza? Basta un dollaro per convincere gli utenti a installare software ignoto
June 20, 2014 6:45 - Pas de commentaireUno studio condotto presso la Carnegie Mellon University sembra confermare uno dei luoghi comuni più diffusi fra gli informatici: gli utenti sono l'anello più debole della catena di sicurezza. Così debole che spesso basta offrire loro un dollaro per convincerli a installare software di provenienza sconosciuta e potenzialmente ostile, in barba a ogni buona norma di sicurezza.I ricercatori della CMU hanno offerto anonimamente, sul sito Mechanical Turk di Amazon, un software per Windows dicendo vagamente che si trattava di un software di calcolo distribuito per una ricerca e offrendo a chi lo installava ed eseguiva sul proprio computer per un'ora un importo variabile da un centesimo a un dollaro. Il nome dell'università non veniva indicato.
Una delle regole fondamentali della sicurezza è che non si scarica e non si installa software di provenienza sconosciuta, eppure il 22% degli utenti che hanno visto l'offerta (64 su 291) ha violato questa regola in cambio di un centesimo. Quando il compenso è salito a 50 centesimi, la percentuale è salita al 36% (294 su 823). Per un dollaro, il 42% degli utenti (474 su 1105) è risultato disponibile a compromettere la propria sicurezza informatica.
Alcune versioni del software facevano comparire la finestra d'allarme dello User Account Control, che chiedeva esplicitamente all'utente se davvero voleva consentire al software di modificare le impostazioni del suo computer; l'avviso non ha fatto alcuna differenza significativa. Gli utenti erano disposti a eseguire un programma di origine sconosciuta che chiedeva permessi a livello di amministratore.
È vero che il software dei ricercatori non attivava gli antivirus, ma è comunque imprudente installare applicazioni sconosciute, perché solitamente gli antivirus riconoscono uno specifico malware soltanto se è già stato segnalato: per quel che ne sapevano gli utenti, in cambio di pochi soldi stavano installando un virus sconosciuto.
La ricerca fornisce molti altri spunti, come per esempio l'osservazione poco intuitiva che gli utenti che avevano un antivirus erano quelli maggiormente disposti a rischiare installando il software di test: l'uso di un antivirus dava loro un falso senso di sicurezza che li spingeva a rischiare più degli altri.
I risultati non mancheranno di suscitare polemiche, perché dicono fondamentalmente che gli utenti sono stupidi e che gli amministratori di sistema fanno bene a impedire l'installazione di applicazioni da parte degli utenti stessi e danno ragione al modello chiuso e monopolistico del “giardino cintato” proposto per esempio da Apple con l'App Store: non avrai altra fonte di software al di fuori di me, perché io sarò il garante della tua sicurezza. L'esatto contrario della libertà che era stata promessa agli utenti dal PC. Per questo, appunto, un tempo si chiamava “personal computer”.
Nuove forme di parodia online: videoclip musicali senza musica
June 20, 2014 6:36 - Pas de commentaireC'è una forma d'intrattenimento (esito a chiamarla “arte”) che è possibile soltanto grazie a Internet e alle tecnologie digitali: la risonorizzazione dei videoclip musicali. In pratica, si prende un video di una canzone, con buona pace del copyright, si toglie la colonna sonora,e si ricreano gli effetti sonori e le voci dei cantanti e si pubblica il tutto su Youtube.
L'effetto è ridicolo ed è un ottimo promemoria per non prendere troppo sul serio gli atteggiamenti da diva delle popstar del momento. Ecco un paio di esempi tratti dal catalogo di Mario Wienerroither, che s'intitola appunto Musicless Musicvideo. Vi sfido a restare seri nel vedere David Bowie e Mick Jagger sbracciarsi in Dancing in the Street in versione risonorizzata o Shakira e Rihanna contorcersi senza musica sul letto che cigola o sbattere contro le pareti in Can't Remember to Forget. E che dire di Freddy Mercury che passa l'aspirapolvere senza il sottofondo di I Want to Break Free?
La strana storia del videotelefono che compie... cinquant’anni?
June 20, 2014 6:28 - Pas de commentaireAvreste mai detto che il primo videotelefono risale al 1964? Bill Hammack di Engineerguy.com propone un bel video che ripercorre la storia bizzarra della videochiamata che oggi diamo assolutamente per scontata nei nostri smartphone e computer.Il Bell PicturePhone, nella foto qui accanto, è targato 1964 (e si vede dal design): doveva essere una rivoluzione della comunicazione, ma fu un flop che costò all'azienda produttrice mezzo miliardo di dollari.
Tecnicamente era geniale: riusciva a trasmettere sulle normali linee telefoniche in rame (non c'era l'ADSL o la fibra ottica, allora) un'immagine video in bianco e nero insieme all'audio della chiamata. Non c'erano schermi piatti, per cui usava un piccolo tubo catodico televisivo. Aveva già incorporata una videocamera CCD per riprendere gli interlocutori. La Bell installò cabine per le videochiamate in vari luoghi pubblici di grande traffico negli Stati Uniti per promuovere il servizio. Si aspettava che entro il 2000 avrebbe avuto una dozzina di milioni di abbonati al videotelefono.
Ma le cose andarono malissimo. La Bell chiedeva circa 160 dollari di allora (mille di oggi) di canone mensile e le chiamate costavano 20 dollari al minuto (circa 150 di oggi). E così nel 1964 c'erano in tutti gli Stati Uniti solo una settantina di utenti; sei anni dopo non ce n'era più neanche uno. Nel 1978 la Bell ritirò il prodotto dal mercato dopo aver speso circa 500 milioni di dollari in ricerca. Nessuno voleva videochiamare, specialmente non a questi prezzi.
Alla Bell non erano stupidi: i prezzi furono imposti dalle norme antimonopolio dell'epoca, che le impedirono di immettere il PicturePhone sul mercato offrendolo sottocosto per stimolarne la diffusione, come si fa spesso con le tecnologie innovative. Peccato, perché il videotelefono doveva essere il primo di una serie di servizi telematici che sarebbero stati veicolati tramite la rete telefonica, rendendo economicamente conveniente la modernizzazione dell'infrastruttura per offrire servizi in banda larga.
In altre parole, c'era chi concepiva e costruiva Skype e Internet già negli anni Sessanta. È per questo che chi ha qualche anno sulle spalle si lamenta che il futuro non è più quello di una volta.
Leggere su uno schermo ci rende stupidi?
June 20, 2014 6:18 - Pas de commentaireAvete notato anche voi che quello che leggete su uno schermo (di computer o tablet o telefonino) vi rimane meno impresso di quello che leggete su carta? Non è una vostra impressione: secondo molte ricerche, leggere su uno schermo ci rende in un certo senso inevitabilmente stupidi.Non date la colpa al fatto che non siete “nativi digitali” e siete stati abituati da bambini a usare la carta, mentre lo schermo è arrivato dopo e quindi è meno naturale: la stessa differenza è stata notata anche fra i giovani.
È stato osservato ripetutamente, a livello di ricerca, che su uno schermo la velocità di lettura e la profondità di comprensione del testo sono inferiori rispetto alla carta: un dato che impensierirà chi vede il tablet sostituire il libro di testo nelle scuole. Nel corso degli anni, con il miglioramento della qualità e leggibilità degli schermi, la differenza si è ridotta, ma il problema rimane.
Una possibile spiegazione, riassunta su Discover, è che la lettura non è un processo astratto di semplice ingestione di parole: il suo contorno influisce sui processi cognitivi. Per esempio, si è visto che un font poco leggibile paradossalmente migliora la comprensione del testo. È come se il cervello, facendo fatica a leggere le lettere, si attivasse maggiormente per capire meglio anche il senso di quelle lettere. Invece un testo scritto in un font ad alta leggibilità viene analizzato più superficialmente.
Inoltre si sostiene che un libro cartaceo offre stimoli sensoriali che mancano quando si usa uno schermo: il suo peso lo rende subliminalmente più importante rispetto a una pagina eterea sullo schermo di un tablet, il suo spessore ci dice a che punto siamo del testo e la sua suddivisione in pagine fisiche ci offre una chiara mappa spaziale delle informazioni. Sappiamo tutti come si sfoglia un libro, perché c'è uno standard unico: per contro, manipolare uno schermo, con i suoi comandi non sempre intuitivi e differenti da un dispositivo all'altro, è una distrazione che ostacola la comprensione. L'interfaccia standardizzata e intuitiva, insomma, è fondamentale.
Non è sempre così, tuttavia: si è visto che i dislessici si trovano meglio con un e-reader che con la carta, probabilmente perché il dispositivo consente di impaginare il testo in righe corte che facilitano la scansione delle frasi.
Queste ricerche offrono insomma spunti importanti per chiunque progetti una pubblicazione su qualunque supporto e sono un monito a non abbracciare ciecamente la tecnologia pensando che il passaggio allo schermo sia inevitabile e che la vecchia carta vada buttata via. Perlomeno non prima di averne catturato tutti i trucchi cognitivi che ci può offrire.
Fonti aggiuntive: Sciencedirect (1), Wired, Utexas.edu, Princeton.edu, Sciencedirect (2), Kau.se.