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Disinformatico

Settembre 4, 2012 21:00 , by profy Giac ;-) - | No one following this article yet.
Blog di "Il Disinformatico"

Hitler faceva già le “scie chimiche”?

Ottobre 13, 2014 6:05, by Unknown - 0no comments yet

Guardate l'immagine qui accanto, tratta dalla rivista Popular Science di marzo del 1943 e segnalata da vespamayer e su Contrail Science. Mostra un aereo nazista che lascia due scie. L'articolo spiega che le scie sono persistenti. I dettagli, se vi interessano, sono nel blog La bufala delle scie chimiche.

Gli sciachimisti credono che le scie degli aerei, in particolare quelle persistenti, siano un fenomeno recente. Se hanno ragione, questo ritaglio di giornale dimostra che allora già ai tempi di Hitler c'erano le irrorazioni clandestine, e le facevano addirittura con gli aerei a elica, senza neanche scomodare i jet (che erano ancora sperimentali).

Chissà dove mettevano, in aerei così piccoli, tutta la “roba” chimica da irrorare. E chissà come mai il complotto va avanti dal 1943 e ancora non siamo tutti morti o psicocontrollati.

Per farla molto breve: se credete alle “scie chimiche”, nel migliore dei casi siete troppo pigri per ragionare e per informarvi; nel peggiore siete degli imbecilli. Come quello sciachimista che insinua che i disastrosi allagamenti di Genova sono colpa delle “scie chimiche”. Invece di scendere dal terrazzino della sua paranoia e imbracciare il badile per aiutare, preferisce spandere altro fango. Cogito Ergo Sum si è preso la briga di fare due conticini per dimostrare con i fatti che generare una nube che copra una provincia come quella di Genova sia semplicemente inconcepibile per una questione di pura quantità. Non c'è tecnologia che possa neppure lontanamente portare in quota diciassette milioni di tonnellate d'acqua.

Quindi, sciachimisti dei miei stivali, piantatela e dedicatevi ai problemi reali.



Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.



No, l'amministratore della NASA non ha dichiarato che c’era vita su Marte

Ottobre 11, 2014 20:06, by Unknown - 0no comments yet

C'è un video che sta avendo successo fra i fufologi dai facili entusiasmi: mostra Charlie Bolden, Administrator (in pratica, direttore) della NASA che dice – perlomeno secondo i fufologi – che Marte era abitato da forme di vita extraterrestri.

Sentite come annuncia la “notizia” il sito di fufologia Segnidalcielo.it:

L’amministratore della NASA Charles Bolden, intervistato dalla TV inglese ITV, dichiara: “Marte in passato è stato un pianeta, sotto certi aspetti, simile alla Terra. Esso era abitato da forme di vita extraterrestri…ripeto.. un tempo … Adesso può ancora esserci vita”... Bolden ha dichiarato che una volta, in passato, su Marte esisteva una forma di vita extraterrestre! Questa è una vittoria enorme per astrobiologi e ufologi di tutto il mondo. Bolden ammette che la NASA sa che Marte una volta era abitato... Questo è un annuncio di tale importanza storica, che dovrebbe essere posto nei libri di storia di tutto il mondo. La vita extraterrestre su Marte esiste e viene annunciata dalla NASA il 9 Ottobre 2014.

Eh già, perché se la NASA deve annunciare di aver scoperto vita extraterrestre su Marte, non indice una conferenza stampa in mondovisione; lo dice così, tanto per far chiacchiera, nel mezzo di un'intervista qualsiasi e poi passa ad altro. Siamo seri.

Il video della dichiarazione di Bolden è questo: non lo includo come embed per non regalargli troppe visualizzazioni, dato che è su un account monetizzato che guadagna appunto dalle visualizzazioni.

Cosa dice Bolden, esattamente? Cominciamo con una trascrizione esatta:

Mars is very Earth-like, or at least used to be very Earth-like. It is a planet... sister planet to Earth. It is the most likely planet in our solar system that had life at one time, may have life now, and we feel definitely can sustain life. So... so that's the reason we chose it...

Se masticate almeno un briciolo d'inglese, avrete notato subito che i fufologi hanno tradotto “It is the most likely planet in our solar system that had life at one time” come “Esso era abitato da forme di vita extraterrestri”. Quel “most likely” iniziale? Meglio ignorarlo, tanto che differenza vuoi che faccia, si saran detti.

Questa è la mia traduzione esatta (sono madrelingua inglese, traduttore con quasi trent'anni di esperienza, ma se non vi fidate di me, fate controllare da un vostro esperto di fiducia qualificato):

Marte è molto simile alla Terra, o perlomeno era molto simile alla Terra. È un pianeta... fratello della Terra. È il pianeta del nostro sistema solare che più probabilmente ha ospitato vita in passato, potrebbe ospitare vita adesso, e pensiamo possa certamente sostenere la vita... Per cui... per cui questa è la ragione per la quale l'abbiamo scelto

Ai fufologi sfugge, a quanto pare la differenza tra

Esso era abitato da forme di vita extraterrestri

e

È il pianeta del nostro sistema solare che più probabilmente ha ospitato vita in passato

Quando dico che l'ufologia viene resa ridicola dall'ingenuità e dall'incompetenza di molti suoi seguaci creduloni (che chiamo fufologi per distinguerli da chi si occupa seriamente di ufologia e di ricerca della vita extraterrestre), questo è esattamente quello che intendo. Non solo non sanno un'acca d'inglese ma pretendono di tradurlo lo stesso: non sanno un'acca del mondo reale, se credono che il direttore della NASA annuncerebbe l'esistenza di vita su Marte mentre parla del più e del meno.

Con svarioni d'inettitudine come questo, siti come Segnidalcielo.it screditano un tema importante e affascinante come la vita al di fuori della Terra. Per quest'asineria d'inglese e per la manifesta ingenuità, Segnidalcielo.it dovrebbe probabilmente ribattezzarsi Scendidalpero.it.
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Ci vediamo a Volandia oggi per il libro italiano su Apollo-Soyuz?

Ottobre 11, 2014 5:21, by Unknown - 0no comments yet

Oggi pomeriggio alle 16:30 al Museo del volo Volandia verrà presentato il libro Apollo-Sojuz: una collaborazione di facciata, di Daniele Vassalli.  Io vado a scoprirlo, diluvio permettendo: ci si vede là? Tutti i dettagli sono qui.

Immaginate due superpotenze militari che si puntano addosso a vicenda missili nucleari pronti a devastare le città l'una dell'altra. Ora immaginate che queste due superpotenze, attraverso una serie di accordi diplomatici e di bizzarre coincidenze e circostanze, concordino di effettuare la prima missione congiunta nello spazio. Un veicolo americano incontrerà un veicolo russo. Nemici acerrimi sulla Terra, amici (almeno di facciata) nel cosmo.

I tecnici e gli astronauti delle due superpotenze dovranno collaborare, superando le barriere della lingua, delle tecnologie e del segreto militare. Nessuna vuole rivelare troppo all'altra e ciascuna sa che l'altra tenterà di tutto per rubare segreti, eppure devono riuscire a volare insieme nello spazio, in un balletto ipertecnologico condotto a 28.000 chilometri l'ora, in un ambiente che non perdona, dove i margini per le indecisioni e le cortesie della diplomazia non esistono.

Tutto questo, e molto altro, fu Apollo-Soyuz. Oggi probabilmente non avremmo una Stazione Spaziale Internazionale, assemblata insieme da russi e americani con il contributo europeo e canadese, se non ci fosse stata quella missione.




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Podcast della puntata di oggi del Disinformatico

Ottobre 10, 2014 14:37, by Unknown - 0no comments yet

È già pronta da scaricare qui la puntata di stamattina del Disinformatico che ho condotto per la Rete Tre della Radiotelevisione Svizzera. Questi sono gli articoli di supporto:

BadUSB: davvero i dispositivi USB modificati sono un’“arma informatica senza precedenti”?

Adobe, i sistemi antipirateria spiano i lettori dei libri digitali

Antibufala: Ebola e le bare preparate in anticipo dal governo USA

Nuovi smartphone “inviolabili”, governi e polizie indignate: ma è una pantomima

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BadUSB: davvero i dispositivi USB modificati sono un’“arma informatica senza precedenti”?

Ottobre 9, 2014 23:33, by Unknown - 0no comments yet

Credit: Tasha Chawner
C'è un difetto di sicurezza fondamentale in ogni dispositivo USB: il suo controller, ossia il piccolo chip che gestisce lo scambio di dati con il computer al quale è collegato, è riprogrammabile. Una volta riprogrammato, può iniettare nel computer istruzioni ostili di qualunque tipo in una maniera sostanzialmente invisibile ai normali antivirus, che non controllano il firmware, ossia il software essenziale che viene eseguito da questi chip.

In pratica, qualunque chiavetta, disco rigido, stampante, tastiera, mouse che usi lo standard USB può diventare il portatore di un'infezione informatica. A sua volta, un computer infettato può contaminare un dispositivo USB. Al momento non c'è nessun rimedio pratico, perché il difetto nasce da una caratteristica intenzionale dello standard. Dato che il firmware dei dispositivi USB non è firmato (non ha nessun codice di garanzia d'integrità), non c'è modo di sapere se è stato alterato. Brutta storia. C'è chi l'ha definita “un'arma informatica senza precedenti”. Si sospetta che l'NSA statunitense sfrutti già questa tecnica con un dispositivo chiamato Cottonmouth.

Il problema è stato segnalato a luglio scorso dai ricercatori di sicurezza Karsten Nohl e Jakob Lell, che hanno creato un malware dimostrativo, denominato BadUSB, che s'installa su un dispositivo USB e da lì è capace di prendere il controllo completo di un PC, alterare in modo invisibile i file presenti sul dispositivo USB, simulare di essere una tastiera e digitare comandi o deviare il traffico Internet della vittima. Adesso due altri ricercatori, Adam Caudill e Brandon Wilson, hanno pubblicato un software per effettuare questi attacchi, con l'intento di spronare i costruttori di dispositivi USB a trovare una soluzione, ma con il risultato collaterale inevitabile di aver aperto il vaso di Pandora.

Per evitare questo tipo di attacco ci sono poche strade percorribili. La prima, drastica, è evitare del tutto l'uso di dispositivi USB e sigillare le porte USB dei computer (se gli ambienti di polizia nei quali c'è da tempo il divieto di collegare dispositivi USB vi sembravano eccessivamente paranoici, ora sapete che avevano visto giusto). Quasi impraticabile.

La seconda è evitare l'uso promiscuo di dispositivi USB. Significa che una chiavetta USB non può più essere usata come comodo strumento di scambio di grandi file: se entra in contatto con un computer non sicuro, può infettarsi e diffondere l'infezione. Lo stesso vale per tastiere, stampanti e altre periferiche. Non solo: bisogna acquistare dispositivi di provenienza certa, perché in mancanza di un buon controllo qualità (o in presenza di un fabbricante o di un governo ostile) non c'è modo di sapere se i dispositivi vengono preinfettati direttamente durante la fabbricazione.

Caudill e Wilson hanno sviluppato un software libero che ostacola la modifica del firmware e quindi i tentativi d'infezione, ma funziona soltanto con i controller USB 3.0 di una specifica marca (Phison). Anche così, un aggressore sufficientemente motivato può aprire il dispositivo USB e riprogrammarlo mettendo in corto dei pin, ma è un'operazione molto più complessa di un semplice inserimento e può essere ostacolata anch'essa iniettando colla epossidica dentro il dispositivo USB.

A lungo termine, la soluzione sarà probabilmente l'introduzione del firmware firmato (code signing) che rivelerà eventuali alterazioni, ma ci vorranno anni per togliere dalla circolazione i dispositivi USB attuali. Nel frattempo conviene ridurre l'uso promiscuo: mai inserire un dispositivo USB in un computer non fidato e non inserire nei propri computer un dispositivo non fidato, e sostituire per esempio le chiavette USB con il trasferimento di file via Wi-Fi o Bluetooth o su supporti come CD e DVD.


Fonti aggiuntive: Wired, Siamo Geek, ExtremeTech.
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