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Disinformatico

4 de Setembro de 2012, 21:00 , por profy Giac ;-) - | No one following this article yet.
Blog di "Il Disinformatico"

Il gabbator gabbato: finta “assistenza Microsoft” si fa fregare dalla vittima

9 de Março de 2018, 3:58, por Il Disinformatico

Nella puntata precedente del Disinformatico radiofonico ho parlato del ritorno dei truffatori telefonici che si fingono rappresentanti del servizio di assistenza Microsoft per prendere il controllo dei computer delle vittime. Un lettore/ascoltatore, @acor3, mi ha segnalato questo video di Jim Browning, nel quale succede una cosa meravigliosa. L’aspirante truffatore commette un errore madornale che permette alla vittima di prendere il controllo del computer del truffatore.

Il truffatore inizia con il copione classico: chiede a Jim, la vittima, di eseguire delle istruzioni che fanno comparire sul computer una serie di messaggi di errore in realtà innocui. Questo serve solitamente per far credere alla vittima che il suo computer abbia dei problemi gravi, ma Jim è un informatico e sa che non è vero.

Fatto questo, il truffatore, che si fa chiamare Edward, chiede a Jim di installare il programma di assistenza remota Teamviewer. E qui il truffatore fa uno scivolone epico.

Normalmente il truffatore dovrebbe chiedere alla vittima di dirgli il codice di accesso visualizzato da Teamviewer, in modo da poter prendere il controllo del computer della vittima. Ma stavolta il truffatore chiede alla vittima di digitare in Teamviewer i codici che consentono il controllo remoto del computer del truffatore.

Risultato: Jim, che doveva essere la vittima, prende il controllo del computer del truffatore e comincia a sfogliarne il contenuto intanto che registra quello che compare sullo schermo. Vede i dati delle altre vittime del truffatore e vede il software usato dal truffatore per gestire le chiamate (non dimentichiamo che questo è un crimine organizzato): è Go Autodial.

A questo punto “Edward” capisce cosa sta succedendo e ha una reazione verbale, come dire, colorita. Interrompe la connessione, ma ormai Jim ha raccolto abbastanza dati per rintracciare la località in cui si trova il truffatore (a Noida, in India) e capire che è stato chiamato usando soltanto i dati pubblici presenti nella guida telefonica: la chiamata è stata fatta quindi del tutto a caso.

Incidenti come questo permettono di capire come lavorano questi criminali e di notare che non tutti sono dei geni del male. Vale, come sempre, la raccomandazione di non eseguire mai istruzioni date da qualcuno che vi chiama e di non credere alle sue dichiarazioni di identità: la cosa migliore è semplicemente chiudere la chiamata.


Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.



I miei primi, cauti passi in auto elettrica

5 de Março de 2018, 23:49, por Il Disinformatico

Pochi giorni fa ho comprato un’auto elettrica, una Peugeot iOn usata, e sto cominciando a usarla. Queste sono le mie prime impressioni sparse d’uso concreto.

In sintesi: funziona nel modo in cui serve al mio caso particolare, permettendomi di portare agevolmente la spesa davanti a casa e di sgusciare nel traffico e nei parcheggi, ma ora comincio a capire molto meglio le difficoltà e le esitazioni di chi si affaccia all’auto elettrica e mi rendo conto che questo tipo di veicolo non è soltanto questione di batterie: senza una campagna di alfabetizzazione, e soprattutto senza il contributo dell’informatica, questo tipo di auto non può aspirare a un successo di massa. Questi fattori sono essenziali per la sua diffusione. Ed è per questo che l’idea di Tesla (basata in grandissima parte sul software nell’auto, nell’app e nella rete di ricarica dedicata) ha fatto la differenza rispetto a tutti i tentativi precedenti, anche se per ora è limitata al segmento di prezzo medio-alto.


1. Usare l’elettrica ben entro i suoi limiti per evitare gli stress


La prima cosa che mi sono ripromesso, quando ho acquistato la iOn, è che non mi sarei fatto prendere dall’ansia da autonomia (range anxiety, nel gergo inglese del settore). Avendo comunque un’auto a benzina, ho deciso di usare l’elettrica esclusivamente per viaggi che posso fare tranquillamente andando e tornando senza dovermi fermare a ricaricare in giro. Non ho tempo e non ho voglia di trovarmi a piedi o penalizzato in alcun modo perché la colonnina di ricarica su cui dovrei contare è guasta o occupata da un cretino con un’auto a carburante fossile. Se ho il minimo dubbio che l’elettrica non abbia autonomia sufficiente, vado con l’auto a benzina. La Dama del Maniero mi sta spingendo verso avventure elettriche più spavalde, ma queste ve le racconterò prossimamente.

L’autonomia dichiarata dal computerino di bordo della iOn, basata sul mio attuale stile di guida tutt’altro che ottimizzato, è 80 chilometri (anche se sta migliorando man mano). Quindi faccio solo viaggi a non più di 40 chilometri di distanza, così posso tornare a casa anche senza ricaricare in giro. Questo può sembrare estremamente penalizzante, ma visto che i miei percorsi abituali (andare a fare la spesa, andare alla radio, andare nelle scuole del Canton Ticino) sono solitamente ben al di sotto di questo limite, per me non è affatto un problema. Ho risolto l’ansia da autonomia usando l’auto elettrica in maniera estremamente prudenziale e tenendomi ampi margini.

Lezione numero uno: se volete vivere senza ansie, prendete l’autonomia dichiarata dai costruttori (secondo i generosissimi criteri NEDC, di solito) e dimezzatela. Se è comunque sufficiente, siete a posto. Altrimenti rassegnatevi, perché l’ansia da autonomia sarà vostra compagna.

Con questi criteri prudenziali mi godo serenamente l’auto elettrica: accendo il riscaldamento (elettrico) tutte le volte che mi serve (in questi giorni fa un freddo cane anche intorno al Maniero Digitale), faccio le partenze veloci ai semafori, accelero e sorpasso quando voglio e non mi faccio prendere dall’ansia, ma anzi mi diverto. Arrivo a casa, attacco l’auto alla presa, e l’indomani mattina riparto col “pieno” senza neanche andare al distributore.


2. C’è tanto da (re)imparare. Anche le cose più banali


Cambiare auto richiede sempre un periodo di apprendimento, ma qui è tutto diverso.

  • Il riscaldamento è elettrico (dietro le bocchette di ventilazione c'è una resistenza che scalda l’aria, come un phon, e il sedile è riscaldabile) e consuma moltissima energia, quindi incide pesantemente sull’autonomia. Qui non c’è un motore endotermico che genera quantità esagerate di calore da smaltire. La neve sul cofano non si scioglie, perché il cofano resta freddo. Conviene coprirsi bene in auto.
  • L’auto è totalmente silenziosa quando è accesa e ferma. È disorientante.
  • Togliere il piede dall’acceleratore frena la macchina, perché interviene la rigenerazione che ricarica la batteria.
  • Anche la prima parte della corsa del pedale del freno attiva la rigenerazione. Trovo meravigliosa la consapevolezza che invece di buttare via stupidamente energia sotto forma di calore e consumo dei freni a ogni rallentamento, come avviene con un’auto endotermica, genero un po’ di energia che ricarica la batteria. Una discesa diventa una fonte di energia invece di una causa di consumo dei freni. Mi rendo conto di quanto sia inefficiente un’auto tradizionale.
Il problema di fondo, però, è dove imparare queste cose. C’è una generale mancanza di informazioni pratiche e precise.

  • Non ci sono, che io sappia, corsi di preparazione offerti dai concessionari o dai fabbricanti: tutto è lasciato alla passione e all’iniziativa personale.
  • Il manuale della iOn, per esempio, non spiega affatto che il connettore per la carica domestica in realtà è usabile anche con le colonnine pubbliche di ricarica e dà l’impressione che solo il connettore veloce (CHAdeMO) possa essere usato per caricare in giro.
  • Le informazioni fornite dal manuale sono davvero laconiche per tutta la parte di trazione elettrica e di gestione della batteria.
  • Se non avessi avuto la rete di amici che hanno già un’auto elettrica non avrei avuto modo di scoprire molte delle cose che ho descritto qui sopra e che è indispensabile sapere per usare in modo efficace questo genere di auto.


3. Carica domestica: una pacchia, ma migliorabile


Arrivare a casa con il “serbatoio” quasi vuoto e “riempirlo” semplicemente attaccando una spina a una presa, come se fosse un telefonino, è splendido. Certo, la carica completa sulla presa domestica richiede circa cinque ore, ma tanto avviene di notte, per cui la durata non è un problema. L’indomani mattina avrò il “pieno” senza sprecare neanche un minuto al distributore (foto qui accanto). E avrò speso circa un quarto di quello che mi sarebbe costato un rifornimento equivalente di benzina.

Come un telefonino, l’auto ha un indicatore di carica in corso sul cruscotto e visualizza le tacche di carica anche quando è spenta.

Problema: devi ricordarti di mettere l’auto sotto carica, altrimenti l’indomani mattina sarai appiedato. Idem se per caso scatta il salvavita o s’interrompe la corrente durante la notte. All’inizio questo gesto di collegare l’auto alla presa potrebbe non venire automatico. Cosa peggiore, una volta diventato automatico potresti non ricordare se l‘hai fatto o no, e quindi ti toccherà tornare in garage a vedere se l’auto è sotto carica o no.

Questo è uno dei casi nei quali il software fa una grande differenza: avere un’app che dialoga con l’auto tramite la rete cellulare e ti informa sullo stato di carica è decisamente più rassicurante ed evita di doversi rimettere il cappotto per andare a vedere come sta l’auto. Non solo: un’app di controllo remoto permette di programmare l’orario di inizio della ricarica in modo da sfruttare le tariffe notturne ridotte. Confesso che con questo freddo non ho nessuna intenzione di uscire di casa dopo le 22 per andare ad avviare la carica quando inizia la tariffa ridotta; se potessi farlo dal mio telefonino, cambierebbe tutto. Se si vuole rendere appetibile l’auto elettrica, queste piccole grandi comodità ci devono essere. Sì, le Tesla le hanno.

Venerdì per la prima volta sono andato a lavorare alla Radiotelevisione Svizzera, a Lugano, in auto elettrica. È stato il primo viaggio fatto per ragioni pratiche, di lavoro, e non per prova: venticinque chilometri tra andata e ritorno, senza inquinare e senza fare rumore. Da oggi per le strade svizzere c’è un’auto a benzina in meno. Non ho neanche acceso l’autoradio per godermi il silenzio di bordo.


4. Carica in viaggio: un delirio frustrante


Se riuscite a immaginare un mondo nel quale fra un distributore di carburante e l’altro ci sono duecento chilometri, per rifornirsi è necessario avere fatto in anticipo un abbonamento che varia da catena a catena e ci sono diciassette tipi di carburante differenti, di cui solo due sono compatibili con la vostra specifica auto, avete un’idea di cosa significa oggi usare un’auto elettrica di qualunque marca se si dipende dai punti di ricarica delle varie reti municipali e commerciali, con l’eccezione, ancora una volta, di Tesla, che ha semplificato il tutto.

Per curiosità ho provato a fare una carica presso un punto di ricarica della rete ticinese Emoti. Mi sono documentato prima: sono andato sul sito, ho consultato la cartina delle colonnine di questa rete, cercando quelle compatibili con uno dei miei due connettori (CHAdeMO e Tipo 1). Poi ho installato l‘app di Emoti sul mio smartphone, ho creato un account e vi ho caricato del credito usando la mia carta di credito.

Sono arrivato alla colonnina, che sapevo essere libera grazie all’app, ho collegato il cavo Tipo 1 (l’unico compatibile con la mia auto fra quelli disponibili) e ho tentato di avviare la carica dall’app. Non ha funzionato. Ho ricontrollato tutto, scollegato tutto e riprovato. L’app si è piantata in continuazione. E così sono iniziati i dubbi del principiante.

Sarà che l’auto va spenta completamente? Devo togliere le chiavi dall’avviamento? Devo chiudere a chiave le portiere? Devo prima tentare di avviare la carica dall’app e poi collegare il cavo, come si fa con una pompa di benzina self-service, o viceversa? Sarà che non è vero che posso usare il connettore domestico per caricare in giro (visto che il manuale non dice che si può)? Boh.

Non c’era nessun manuale che me lo dicesse. Non c’era un “benzinaio” che mi facesse assistenza. C’era soltanto un numero di telefono da chiamare.

Indicatore di carica in corso e di livello di carica
presenti anche ad auto spenta.
Solo dopo vari esperimenti e tentativi ho scoperto che il connettore non si era innestato bene perché il cavo sospeso lo tirava leggermente. Ho scollegato il tutto e ho ricominciato. Stavolta ha funzionato e sono riuscito a caricare (lentamente, ma ci sono riuscito).

Ma che fatica: e questo nonostante io mi fossi preparato prima. Immaginate uno che è in giro e sta cercando di caricare: pensate che si metterà a scaricare l’app, creare un account e caricarvi del credito? Ovviamente no.

È esattamente quello che è successo mentre stavo caricando (la carica è lenta: la colonnina eroga 7 kW sul connettore Tipo 1, ma la iOn è in grado di assorbirne solo 3,2, praticamente come a casa). È arrivata una Tesla, il cui proprietario era incuriosito dalla colonnina nuova, ma quando ha saputo quanto era complessa la procedura per usarla ha lasciato perdere. Un cliente perso.

Tutto questo è semplicemente ridicolo.

  • Ci sono almeno cinque connettori differenti sul mercato: Tipo 1, Tipo 2/Mennekes, CHAdeMO, CCS, Tesla. Se non hai i cavi adattatori, che costano un botto e sono ingombrantissimi, o trovi la colonnina compatibile col connettore della tua auto o sei fregato: la colonnina c’è ma non la puoi usare. Decidersi per uno standard unico no?
  • Non c’è un’opzione di pagamento diretto (con carta di credito), come c’è da millenni presso le stazioni di servizio self-service tradizionali: bisogna passare dall’app, e per usare l’app bisogna creare un account e metterci del credito, oppure avere una tessera prepagata. Di nuovo, se non hai tutte queste cose, la colonnina c’è ma non la puoi usare. Perché?
  • Dopo che hai fatto tutta la trafila dell’account e dell’app o ti sei procurato in anticipo la tessera, puoi comunque usare solo le colonnine di quella rete. Tutte le altre ti restano inaccessibili. Il roaming fra questa rete e le altre non c‘è. Geniale.
  • L’app di Emoti, fra l’altro, è instabile e macchinosa, con parti in tedesco frammiste all’italiano. Se crasha mentre stai caricando, come è successo a me, che si fa? La carica si interrompe? Solo a furia di tentativi ho scoperto che non si interrompe e che bisogna rifare login nell‘app riavviata, andare poco intuitivamente sotto Cariche (che sembra un log delle cariche fatte ma include anche la carica in corso) e toccare il pulsante Arrestare. Non oso immaginare cosa sarebbe successo se mi si fosse scaricato lo smartphone.
Se volete che la gente non usi l’auto elettrica, continuate così, state andando benissimo.

Di nuovo, Tesla insegna come si fa a eliminare tutti questi problemi: ha costruito una rete dedicata di punti di ricarica Supercharger o Destination Charger (le cui ubicazioni sono indicate sul navigatore dell’auto). Così inserisci il connettore standard della colonnina e sei a posto. Puoi persino prenotare la colonnina in anticipo. L‘app sul telefonino ti avvisa quando la carica è finita, così sai quanto tempo ti resta da aspettare anche se sei lontano dall’auto. Tutto qui. È questo il segreto del suo successo: la semplificazione di servizi che già esistevano, ma in forma scomoda e macchinosa. In altre parole, Tesla è l'iPhone degli smartphone (anche nel prezzo). Speriamo che i concorrenti imparino da questo esempio.


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Vincenzo Borgomeo su Repubblica critica l’auto elettrica. Con uno studio del 2013

3 de Março de 2018, 4:44, por Il Disinformatico

Mi state segnalando in tanti l’articolo Ma quanto inquina davvero un'auto elettrica? A volte più del diesel (copia su Archive.is per non regalare clic a Repubblica). Mi manca il tempo di scrivere un articolo dettagliato che smonti questa nuova collezione di luoghi comuni falsi sulle auto elettriche, ma segnalo soltanto una cosa.

Vincenzo Borgomeo cita lo studio “Comparative Environmental Life Cycle Assessment of Conventional and Electric Vehicles”. È la base della sua intera argomentazione. Si dimentica un particolare: un dettagliuzzo, una cosina da nulla. Lo studio è datato 2013. Cinque anni fa. Ma lui scrive ora è tutto nero su bianco.

In realtà da allora le cose sono un po’ cambiate nel mondo delle auto elettriche. Già due anni dopo, nel 2015, la Union of Concerned Scientists pubblicava Cleaner Cars from Cradle to Grave, che chiariva che le auto elettriche a batteria, nel loro ciclo di vita complessivo (fabbricazione, uso, smaltimento) generano la metà delle emissioni di un’auto a benzina paragonabile (attenzione ai vari articoli che confrontano una Tesla con una Panda invece che con una berlina di lusso equivalente). Lasciamo stare il confronto con le emissioni complessive di un diesel.

Forse il signor Borgomeo ha difficoltà a distinguere fra impatto ambientale e inquinamento e non coglie la differenza fra inquinare in città con tanti veicoli da controllare uno per uno e inquinare in un luogo centralizzato e ispezionabile (grazie a pgc per la dritta). Lo invito quindi ad andare a proclamare che l’auto elettrica inquina “a volte più del diesel” in centro città nell’ora di punta. Si attacchi al tubo di scappamento di un bel dieselone e mi dica se gli piace quello che respira.


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Sette capitoli pronti del mio libro gratuito di risposte ai lunacomplottismi

2 de Março de 2018, 21:09, por Il Disinformatico

Ho chiuso poco fa anche il settimo capitolo della versione estesamente ampliata e aggiornata di Luna? Sì, ci siamo andati, il mio libro gratuito di risposte alle tesi di complotto intorno agli sbarchi sulla Luna.

Questo capitolo copre e sbufala le presunte anomalie tecnologiche presentate dai lunacomplottisti ed è un’occasione per (ri)scoprire molti dettagli poco conosciuti delle missioni Apollo.

Il libro è stato già sfogliato da circa 134.000 visitatori da dicembre scorso.

Nessuna risposta, da parte dei lunacomplottisti, alla mia proposta di recensire American Moon, il nuovo video che sostiene le loro tesi, se viene fatta una donazione a Medici Senza Frontiere. Si vede che per questa gente la difesa della Verità è meno importante della difesa del portafogli.


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Podcast del Disinformatico del 2018/03/02

2 de Março de 2018, 13:18, por Il Disinformatico

È disponibile per lo scaricamento il podcast della puntata di oggi del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera. Buon ascolto!

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