Antibufala mini: la foto del primo telefono portatile degli anni ’20
16 de Janeiro de 2015, 8:08Da tempo circola in Rete un'immagine, quella mostrata qui accanto, che viene presentata (per esempio da Mattino.it) come la dimostrazione dell'“invenzione del primo telefono cellulare nel 1922”.Secondo il testo che solitamente accompagna l'immagine, si tratta di un fotogramma tratto da un cortometraggio muto della casa di produzione cinematografica britannica British Pathé datato 1922 e intitolato “Eve's Wireless”.
In effetti nel filmato si vedono le due signore che passeggiano per strada, collegano a un idrante, tramite un filo, una scatola piuttosto ingombrante e portano all'orecchio un auricolare. Si vede poi che all'altro capo del collegamento c'è una donna che parla, seguita da una canzone riprodotta su un giradischi. Come se non bastasse, la didascalia dice molto chiaramente che si tratta di un wireless ’phone: un telefono senza fili, insomma. Ecco il filmato:
Ma allora come mai i libri di storia della tecnologia dicono che i primi telefoni cellulari risalgono a parecchi decenni più tardi? C'è una parte della nostra storia recente che è stata insabbiata? No: si tratta di una bufala partorita dal Daily Mail, che a settembre del 2012 ha frainteso il significato che aveva all'epoca l'espressione wireless telephone: negli anni Venti la si usava per indicare le radio portatili, come spiega la British Pathé stessa. Anche Smithsonian.com mostra molti esempi d'epoca dell'uso di wireless telephone per indicare la radio negli anni Venti.
I cellulari, insomma, non c'entrano nulla, come del resto si può intuire notando che le donne per strada non parlano nell'apparecchio ma si limitano ad ascoltare. L'equivoco nasce dal fatto che spesso non si considera che le parole cambiano di significato nel corso dei decenni.
Se pubblico una vignetta su Facebook, davvero chiunque può usarla? Alcuni dati per ragionare
15 de Janeiro de 2015, 22:58Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alla gentile donazione di “albertobar*” e “fchion*”. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora.Visto il putiferio scatenato dal Corriere della Sera, che ha preso e pubblicato in edicola le vignette di numerosi disegnatori senza chiedere il loro consenso e senza retribuirli, è un buon momento per prendere qualche appunto sul diritto d'autore nei social network.
Le condizioni di contratto di Facebook recitano attualmente che “L'utente è il proprietario di tutti i contenuti e le informazioni pubblicate su Facebook”. Non c'è alcuna presa di possesso da parte di Facebook e non c'è nessuna rinuncia da parte dell'utente. Inoltre le condizioni contengono due clausole significative:
Per quanto riguarda i contenuti coperti da diritti di proprietà intellettuale, ad esempio foto e video ("Contenuti IP"), l'utente concede a Facebook le seguenti autorizzazioni, soggette alle impostazioni sulla privacy e alle impostazioni delle applicazioni: l'utente concede a Facebook una licenza non esclusiva, trasferibile, che può essere concessa come sottolicenza, libera da royalty e valida in tutto il mondo, per l'utilizzo di qualsiasi Contenuto IP pubblicato su Facebook o in connessione con Facebook ("Licenza IP"). La Licenza IP termina nel momento in cui l'utente elimina il suo account o i Contenuti IP presenti nel suo account, a meno che tali contenuti non siano stati condivisi con terzi e che questi non li abbiano eliminati.
[...]
Quando l'utente pubblica contenuti o informazioni usando l'impostazione "Pubblica", concede a tutti, anche alle persone che non sono iscritte a Facebook, di accedere e usare tali informazioni e di associarle al suo profilo (ovvero al suo nome e alla sua immagine del profilo).
La seconda clausola sembrerebbe dare a chiunque la facoltà di usare quanto postato su Facebook se è postato come “Pubblico”. Se così fosse, chiunque potrebbe “usare” (termine estremamente generico che include, ragionevolmente, anche l'atto di pubblicare su carta a scopo commerciale) una vignetta altrui se la vignetta è stata pubblicata su Facebook in modo visibile a tutti. La proprietà resterebbe dell'autore, ma l'uso sarebbe libero.
Tuttavia fa fede il testo in inglese delle condizioni di contratto (“Il presente accordo è stato redatto in inglese (Stati Uniti). In caso di conflitto tra qualsiasi delle versioni tradotte del presente accordo e la versione in lingua inglese, sarà quest'ultima a prevalere.”), quindi è a quello che ci si deve riferire. Le evidenziazioni sono mie.
For content that is covered by intellectual property rights, like photos and videos (IP content), you specifically give us the following permission, subject to your privacy and application settings: you grant us a non-exclusive, transferable, sub-licensable, royalty-free, worldwide license to use any IP content that you post on or in connection with Facebook (IP License). This IP License ends when you delete your IP content or your account unless your content has been shared with others, and they have not deleted it.
[...]
When you publish content or information using the Public setting, it means that you are allowing everyone, including people off of Facebook, to access and use that information, and to associate it with you (i.e., your name and profile picture).
Notate la distinzione fra “contenuti coperti da diritti di proprietà intellettuale” nella prima clausola e “contenuti o informazioni” nella seconda. Secondo questo parere del WIPO, non tutti i contenuti di un social network godono di diritti di proprietà intellettuale, perché non tutti sono sufficientemente creativi da essere considerati opere dell'intelletto. Il testo di un tweet o di un comune post su Facebook, per esempio, difficilmente sarà sufficientemente creativo e originale da meritarsi una tutela di copyright.
Non sono un avvocato esperto in diritto d'autore, per cui mi limito a segnalare questa distinzione e a formulare un'ipotesi basata su di essa: dato che la seconda clausola (quella che sembra consentire l'uso a chiunque) non parla di contenuti coperti da diritti di proprietà intellettuale, ma solo di “contenuti e informazioni”, è possibile che la facoltà d'uso da parte di chiunque riguardi soltanto ai contenuti non coperti. In tal caso, una vignetta (chiaramente opera dell'intelletto e quindi coperta da diritti di proprietà intellettuale) postata su Facebook in modalità “Pubblica” non sarebbe usabile da parte di chiunque.
Fra l'altro, questa distinzione non c'è per Twitter, che parla solo di “Contenuti” (“L’utente manterrà i propri diritti sui Contenuti che invierà, posterà o renderà disponibili sui Servizi, o mediante gli stessi. Con l’invio, la pubblicazione o visualizzazione di Contenuti sui Servizi, o mediante gli stessi, l’utente concede a Twitter una licenza mondiale, non esclusiva e gratuita (con diritto di sublicenza) per l’utilizzo, copia, riproduzione, elaborazione, adattamento, modifica, pubblicazione, trasmissione, visualizzazione e distribuzione di tali Contenuti con qualsiasi supporto o metodo di distribuzione (attualmente disponibile o sviluppato in seguito).”).
Un altro aspetto interessante è la trasferibilità della licenza d'uso. Chi pubblica una vignetta su Facebook consente a Facebook di trasferire o dare in licenza la vignetta a terzi. In teoria, quindi, chi volesse pubblicare la vignetta potrebbe chiederne il permesso a Facebook invece che all'autore. Lo stesso vale per Twitter.
Adesso chi è il pirata? Il Corriere della Sera pubblica le vignette altrui senza pagare i diritti
15 de Janeiro de 2015, 11:14Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alla gentile donazione di “m.fattic*” e “xxy*”. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora.
Il Corriere della Sera ha pubblicato un libro di vignette realizzate da vari vignettisti in risposta all'attentato a Charlie Hebdo. Solo che l'ha pubblicato e messo in vendita senza pagare i diritti ai disegnatori. Persino un tipo pacato come Leo Ortolani (Rat-Man) s'è incazzato.
Leo_Ortolani Tanto per essere chiari e non confondere libertà di espressione con "brigittebbardò-bardò". http://t.co/ZLrSRbUBxQ 15/01/15 11:06 |
Altri vignettisti piratati dal Corriere hanno risposto ancora più vivacemente, come vedete qui accanto: “Cari ‘amici’ del Corriere... se volete ci mettiamo pure una ramazza in culo e vi puliamo la stanza!” scrive Rrobe qui. Wired.it ha pubblicato un elenco dei vignettisti coinvolti e ha raccolto le loro reazioni di disgusto.
Complimenti al Corriere, che come tanti giornali si erge a paladino del diritto d'autore e minaccia punizioni severe a chi osasse copiare uno dei suoi articoli, ma si sente in diritto di prendere le opere altrui e pubblicarle senza pagarle e senza neppure avere la cortesia di chiedere il permesso.
Giusto per chiarire un equivoco che confonde parecchia gente: il fatto di pubblicare su Facebook o Twitter una vignetta non significa rinunciare ai propri diritti d'autore. Le condizioni di contratto di questi social network concedono una licenza di pubblicazione al social network stesso. Non danno il permesso ad altri di rubare. Citare, sì; fare embedding, anche; ma non di prendere, stampare e vendere come ha fatto il Corriere della Sera.
Come se non bastasse, il Corriere pubblica a scrocco le vignette altrui in un libro “in difesa della libertà di stampa” ma censura le vignette che a suo parere possono offendere perché, dice, ci sono “sensibilità che vanno rispettate”. Fra queste, a quanto pare, non ci sono quelle dei vignettisti. Forse perché i vignettisti non irrompono nelle redazioni con la mitragliatrice in mano.
Non è finita. Il Corriere, di fronte alle proteste per questo suo atto di violazione del diritto d'autore, si difende scrivendo che “Aspettare di avere l’assenso formale di tutti gli autori, a nostro giudizio, avrebbe rallentato in maniera sensibile l’operazione”. Si vede che al Corriere usano ancora i piccioni viaggiatori e ignorano che esistono il telefono e le mail che permettono di contattare subito gli autori, come fanno nelle redazioni degli altri giornali all'estero.
E così viene distribuito nelle edicole d'Italia un libro pirata. Quale sarà la durissima reazione della SIAE di fronte a questo palese e sfrontato atto di violazione del copyright?
Questo blog verrà ora bloccato in Turchia? L’impossibilità di non offendere nessuno
15 de Janeiro de 2015, 11:11![]() |
Credit: Charlie Hebdo |
Pochi giorni fa i rappresentanti del governo turco hanno partecipato in forze alla grande manifestazione per la libertà d'espressione in risposta alla strage nella redazione di Charlie Hebdo, ma quello stesso governo ha bandito la pubblicazione in Turchia della copertina di Charlie che vedete qui accanto. Vengono banditi anche i siti web che la pubblicano.
Tutti i dettagli sono su il Post.
Anzi, non tutti i dettagli: ne manca uno, e non banale, che è quello indicato nelle etichette dell'articolo che state leggendo. Sono sicuro che ci arrivate da soli se guardate bene la copertina di Charlie Hebdo.
E a chi, anima pia, pensasse che si può ancora essere liberi senza offendere nessuno, suggerisco la lettura delle norme editoriali ritenute necessarie per una pubblicazione di portata globale da parte della Oxford University Press, la più grande casa editrice universitaria del mondo, che pubblica circa 6000 libri nuovi ogni anno in oltre 150 paesi. Pensavo fossero l'ennesima bufala del Daily Mail, ma sono confermate dal Guardian e dall'Independent.
È vietato mostrare maiali, carne di maiale, salsicce, pancetta o qualunque altra cosa che alluda al maiale, per non offendere le sensibilità dei musulmani. Peppa Pig è a rischio. Babe maialino coraggioso è tabù. Idem per Piglet (Pimpy in italiano) di Winnie the Pooh. Esiste addirittura un acronimo da usare come promemoria: PARSNIP (pastinaca in italiano), ossia niente riferimenti a “politica, alcool, religione, sesso, narcotici, ismi” (come per esempio il comunismo) e il maiale (pork).
Bisogna fare attenzione a non mostrare ragazzi e ragazze che abitano insieme come studenti, ragazze che vanno a comperare pantaloncini, amici che escono per andare a bere. Non bisogna mostrare relazioni omosessuali, cani (si potrebbero offendere i coreani e i musulmani), l'oroscopo e il gioco d'azzardo. Se si descrive una cosa innocente come una cena al ristorante, non si può menzionare il vino.
E così per non offendere i più permalosi (e fra questi includo i puritani ipocriti di Facebook, terrorizzati dai capezzoli femminili, e chi impazzisce se un ragazzo abbraccia una ragazza) ci troviamo ad essere censurati tutti. L'unico modo per non offendere nessuno è il silenzio totale, che è la morte delle idee.
Quando sento queste idiozie, mi viene voglia di fondare una religione che ha come tabù il color malva, i numeri dispari e le righe diritte. Non ho nessun desiderio di entrare nel postribolo della politica, ma se i politici pensano di mettere le mani su Internet, allora stanno entrando nel mio campo e mi sento in dovere di mettere in chiaro i fatti.
Primo ministro britannico adotta la linea dura contro il terrorismo: bandire WhatsApp
13 de Janeiro de 2015, 5:00Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alla gentile donazione di “pierdimat*” e “fchion*”. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora.
In risposta all'attacco terroristico a Charlie Hebdo, il primo ministro britannico David Cameron vuole abolire ogni forma di comunicazione online non intercettabile dal governo. Lo dice molto chiaramente nel discorso che ha fatto ieri, il cui video è presentato da The Independent.
A prima vista sembra una buona soluzione per impedire ai terroristi di poter comunicare fra loro senza poter essere intercettati. Lo sembra fino al momento in cui a qualcuno (evidentemente non qualcuno dello staff tecnico di Cameron) viene in mente che abolire ogni forma di comunicazione digitale non intercettabile dal governo significa abolire (o indebolire fino a renderla inutile) la crittografia che garantisce la sicurezza delle transazioni bancarie. Significa bandire WhatsApp, iMessage, FaceTime, Telegram, PGP e qualunque altra applicazione che faccia uso di cifratura seria. Significa bandire uno dei protocolli fondamentali di sicurezza di Internet, ossia SSL, come osserva Mikko Hypponen.
“Vogliamo consentire un mezzo di comunicazione fra le persone che noi [...] non possiamo leggere?” si chiede retoricamente Cameron nel proprio discorso.
Sì, signor Cameron, lo vogliamo, perché quel mezzo di comunicazione è, tanto per dirne una, quello che tiene al sicuro i nostri conti correnti. E anche i suoi.
Non era difficile prevedere che la risposta politica, puramente demagogica, alla strage di Charlie Hebdo sarebbe stata una stupidaggine tecnica, come l'altrettanto cameroniano filtro antiporno, rivelatosi un flop totale. I politici non capiscono niente di Internet (le eccezioni si contano sulle dita di Eta Beta) e sono posseduti dal Gastrospasmo del Fare:
In caso di crisi, fai qualcosa. Qualunque cosa, anche una cretinata inutile o controproducente, ma fatti vedere che fai qualcosa. E poi vantati di aver fatto qualcosa e di aver dimostrato decisione e risolutezza. Tanto le conseguenze della tua cretinata le pagherà qualcun altro.
Il Gastrospasmo del Fare ha naturalmente il Corollario del Negare e Aumentare:
Se quello che hai fatto non funziona, esattamente come ti avevano avvisato i tecnici, non ammettere l'errore, ma dichiara con decisione che funzionerebbe benissimo se soltanto lo si facesse in dosi più massicce.
Dicevo, prevedere un nuovo esempio di teatrino della sicurezza non richiedeva poteri di chiaroveggenza. Era però difficile immaginare che la cretinata sarebbe stata di questo calibro colossale. Vedremo se i colleghi di Cameron negli altri paesi sapranno dare dimostrazioni d'inettitudine tecnica altrettanto mirabili. Qualcosa già si sta affacciando qui, e rispetta perfettamente il Gastrospasmo e il suo corollario.