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Disinformatico

septiembre 4, 2012 21:00 , por profy Giac ;-) - | No one following this article yet.
Blog di "Il Disinformatico"

Non mandate ai debunker presunte bufale sul coronavirus da indagare: cestinatele e basta

febrero 28, 2020 3:34, por Il Disinformatico

Avrete forse notato che a parte qualche tweet, finora non ho scritto nulla a proposito dei tanti video e audio, circolanti soprattutto su WhatsApp, che parlano di allarmi e catastrofi per il coronavirus. No, non mi paga Big Pharma o l’industria dei fabbricanti di mascherine per stare zitto: la ragione è molto più semplice.

Prima di tutto, i colleghi antibufala stanno già facendo un lavoro egregio nello sbufalare questo materiale, e io ho ben poco da aggiungere. Ma anche loro sono sovraccarichi, perché l’industria delle fake news, dei mitomani, della propaganda e degli sciacalli sta lavorando a pieno ritmo per ottenere visibilità o fare soldi sulle paure. In particolare, i mitomani sono in fregola.

La seconda ragione del mio relativo silenzio è che in moltissime segnalazioni non ci sono fonti, non ci sono nomi, non ci sono riferimenti: in altre parole, non c’è nulla che si possa usare per indagare. Un audio WhatsApp in cui una persona senza nome dice che un tizio che lavora in un ministero imprecisato gli ha detto qualcosa non è indagabile da un debunker. Lo possono fare soltanto le autorità che hanno accesso al tracciamento di quell’audio, e anche così è una faticaccia.

Ma anche se ci fossero appigli per un’indagine, cosa ne ricaveremmo, se non un blando appagamento intellettuale? Se scopriamo che le immagini di presunte sepolture di massa in Cina sono in realtà tratte da un film catastrofico, cosa abbiamo ottenuto? I mercanti del nulla partoriranno un’altra notizia falsa, e si dovrà ricominciare da capo.

Per cui è inutile mandare a me, o ai miei colleghi debunker, l’ennesima segnalazione di allarmi sul coronavirus. Se lo fate pubblicamente, è peggio che inutile: è dannoso. Regalate visibilità a queste cialtronate e a questi sciacallaggi.

Per battere questa piaga delle fake news non dobbiamo diffonderle, neanche per denunciarle. Dobbiamo usare contro le fake news gli stessi metodi che usiamo per bloccare le infezioni: non corriamo dal medico a dire “Dottore, guardi, che cos’ho, sarà il coronavirus?” spandendo così il contagio. Serve la quarantena volontaria. Serve la prevenzione.

Ho quindi un solo consiglio: scegliete il silenzio. Scegliete di non diffondere notizie incontrollate. Scegliete di non farvi fregare dai ciarlatani, dai seminatori di panico, dai complottisti e dagli imbecilli. Non fatevi ingannare dalle foto di articoli di testate giornalistiche: ne circolano parecchie falsificate intenzionalmente. Ascoltate gli esperti e cestinate qualunque “notizia” che non provenga da una fonte esperta e attendibile.

E per chi dice “ma questo video anonimo che ho trovato chissà dove su Internet potrebbe rivelare qualcosa di importante”, ricordate la regola di fondo del buon giornalismo: tutto quello che viene affermato senza prove può essere liquidato senza indagine. Non sta a noi debunker smentire: spetta a chi fa l’affermazione portarne le prove. Niente prove? niente fonti? Allora niente clic, niente inoltri, niente condivisioni, niente commenti.

Il coronavirus muore se lo isoli. Allo stesso modo, le fake news muoiono se le isoliamo. Postate gattini, non cazzate.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.



Stalking con Telegram, come rimediare

febrero 27, 2020 20:36, por Il Disinformatico

Un video di Matteo Flora segnala una funzione di Telegram che permetterebbe di fare stalking usando, paradossalmente, proprio quest’app che viene presentata come più rispettosa della privacy rispetto a tante altre.

La funzione esiste da giugno 2019 (versione 5.8) e si trova nella sezione Contatti: si chiama Trova persone vicine. Se avete attiva la geolocalizzazione, o se decidete di attivarla quando Telegram ve lo chiede, comparirà una lista di persone con l’indicazione della loro distanza approssimativa da voi.

Sono persone sconosciute: non sono vostri contatti. C’è anche una sezione Gruppi, composta appunto da gruppi a tema di persone che si trovano geograficamente vicino a voi. Come nota Matteo Flora, potete sfogliare le immagini, i video e anche la musica condivisa (si presume illegalmente) dagli utenti.

Questa funzione è molto comoda per aggiungere rapidamente tanti amici ad una festa oppure tanti contatti di lavoro durante una conferenza o un incontro professionale: basta che i partecipanti entrino in questa funzione e facciano un clic sui nomi per scambiarsi tutte le informazioni di contatto.

Però si presta allo stalking: se vedo che la mia distanza da una persona diminuisce o aumenta quando mi sposto, posso facilmente dedurre in che direzione si trova e da lì capire la sua posizione esatta.

Voi potete localizzare gli altri, ma gli altri possono localizzare voi? Dipende. Se avete attivato la geolocalizzazione in Telegram, potreste esserlo. Se vedete un’opzione Rendimi visibile e non la cliccate, dovreste restare invisibili. Ma nella mia versione di Telegram (Android) l’opzione non c’è e divento automaticamente visibile se ho abilitato la geolocalizzazione.

Se non volete essere tracciabili e rintracciabili da sconosciuti, insomma, scoprite come disattivare la geolocalizzazione in Telegram. Per i dispositivi Android recenti, per esempio, andate in Impostazioni - Applicazioni - Telegram - Autorizzazioni - Geolocalizzazione.

Fonti aggiuntive: GSM Arena, XDA Developers.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.



Coronavirus: la luce alla fine del tunnel l’accende la scienza

febrero 27, 2020 5:01, por Il Disinformatico

Siamo tutti un po’ fermi, tappati in casa, inquietati dalla pioggia di disdette di eventi e incontri (a proposito: la mia conferenza a Bologna del 7 marzo è stata annullata), incerti su cosa fare per questo coronavirus. L’unico beneficio di questa situazione è che gli antivaccinisti stanno spettacolarmente zitti. Ma che strano: così baldanzosi nel negare la scienza eppure così rapidi nel rifugiarsi sotto le sue sottane al primo allarme.

Per fortuna ci sono persone che usano la scienza, non la pancia, per ragionare sul problema.

Nino Cartabellotta, medico chirurgo specializzato in gastroenterologia e in medicina interna della Fondazione GIMBE (Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze), sta monitorando la situazione sulla base dei dati disponibili e ha pubblicato questo modello predittivo che sembra dare una speranza e una scadenza. Se stiamo tranquilli e fermi il più possibile, potremmo rallentare la diffusione e trovarci presto liberi da quest’inquietudine.

#coronavirus: i dati invitano a stare tranquilli e avere pazienza.
Modello predittivo @GIMBE per #Cina sembra funzionare: tra 15 e 20 marzo stop incremento casi. Presto quello per #Italia @petergomezblog@RiccardoLuna@claudiocerasa@SalernoSal@smenichini @fabiochiusi pic.twitter.com/e5n6XFd5WS
— Nino Cartabellotta (@Cartabellotta) February 26, 2020


Pubblicherò gli aggiornamenti man mano che verranno rilasciati.


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Iniziativa internazionale di 1300 giornalisti in favore di Julian Assange: no all’estradizione in USA

febrero 25, 2020 19:51, por Il Disinformatico



Ultimo aggiornamento: 2020/02/25 14:15.


Oggi, 24 febbraio, sono iniziate nel Regno Unito le udienze del processo per l’estradizione di Julian Assange, accusato di aver reso pubblici documenti militari statunitensi sulle guerre in Afghanistan e Iraq che hanno fatto conoscere al mondo la realtà di come gli Stati Uniti operano nel mondo. Questi documenti sono stati utilizzati dalle redazioni giornalistiche di mezzo mondo.

Il fine politico di punire Julian Assange con isolamento e diffamazione per aver fatto giornalismo è evidente: è un monito e un precedente pericoloso per chiunque faccia giornalismo. Il messaggio è “Pubblica qualcosa che non ci piace e farai la fine di Assange”. Se Assange verrà estradato, ogni giornalista sarà meno libero; si autocensurerà per non fare la stessa fine.

Oltre 1300 giornalisti hanno aderito a un’iniziativa internazionale per un appello in difesa di Julian Assange. L’ho sottoscritto anch’io. Il testo dell’appello è questo:

Julian Assange, fondatore ed editore di WikiLeaks, è attualmente detenuto nel carcere di alta sicurezza di Belmarsh, nel Regno Unito, in attesa di essere estradato e poi processato negli Stati Uniti in base all’Espionage Act. Assange rischia una condanna a 175 anni di prigione per avere contribuito a rendere pubblici documenti militari statunitensi relativi alle guerre in Afghanistan e Iraq e una raccolta di cablogrammi del Dipartimento di Stato USA. I ‘War Diaries’ hanno provato che il governo statunitense ha ingannato l’opinione pubblica sulle proprie attività in Afghanistan e Iraq e lì vi ha commesso crimini di guerra. WikiLeaks ha collaborato con un grande numero di media in tutto il mondo, media che hanno pubblicato a loro volta i ‘War Diaries’ e i cablogrammi del Dipartimento di Stato americano. L’azione legale promossa contro Assange, dunque, rappresenta un precedente estremamente pericoloso per giornalisti, per i mezzi di informazione e per la libertà di stampa.

Noi, giornalisti e associazioni giornalistiche di tutto il mondo, esprimiamo la nostra profonda preoccupazione per la sorte di Assange, per la sua detenzione e le pesantissime accuse di spionaggio che gli vengono mosse.

Il suo caso è centrale per la difesa del principio della libertà di espressione. Se il governo statunitense può perseguire Assange per avere pubblicato documenti segreti, in futuro i governi potranno perseguire ogni giornalista: si tratta di un precedente pericoloso per la libertà di stampa a livello planetario. Inoltre, l’accusa di spionaggio contro chi pubblichi documenti forniti da whistleblower è una prima assoluta che dovrebbe inquietare ogni giornalista e ogni editore.

In una democrazia, i giornalisti devono poter rivelare crimini di guerra e casi di tortura senza il rischio di finire in prigione. Questo è il ruolo dei mass media in una democrazia. L’utilizzo da parte di governi contro giornalisti e editori di leggi che perseguono lo spionaggio, li privano del loro più importante argomento di difesa – l’avere agito nel pubblico interesse – un argomento non previsto dalle leggi contro lo spionaggio.

Prima di essere imprigionato nel carcere di Belmarsh, Assange ha trascorso oltre un anno agli arresti domiciliari e sette anni all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove gli era stato riconosciuto l’asilo politico. In questo tempo, sono stati violati i suoi più essenziali diritti: basti pensare che è stato spiato durante conversazioni confidenziali con i suoi legali da organizzazioni alle dirette dipendenze dei servizi USA. I giornalisti che, in questi anni, si sono recati a visitarlo sono stati sottoposti a una sorveglianza invasiva. Assange ha subito restrizioni nell’accesso all’assistenza legale e alle cure mediche, è stato privato dell’esercizio fisico e dell’esposizione alla luce del sole. Nell’aprile del 2019, il governo Moreno ha permesso alla polizia britannica di entrare nell’ambasciata per arrestarlo. Da allora, Assange è detenuto in regime di isolamento per 23 ore al giorno e, secondo la testimonianza di chi lo ha potuto incontrare, è “fortemente sedato”. Le sue condizioni fisiche e psichiche nel tempo sono nettamente peggiorate.

Già nel 2015 il Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria delle Nazioni Unite (GLDA) ha stabilito che Assange era detenuto e privato della liberta in modo arbitrario, ha chiesto che fosse liberato e gli fosse versato un risarcimento. Nel maggio del 2019 il GLDA ha ribadito le sue preoccupazioni e la richiesta che Assange sia rimesso in libertà. Riteniamo i governi di Stati Uniti, Regno Unito, Ecuador e Svezia responsabili delle violazioni dei diritti umani di cui Julian Assange è vittima.

Julian Assange ha dato un contributo straordinario al giornalismo, alla trasparenza e ha permesso di richiamare i governi alle loro responsabilità. È stato preso di mira e perseguitato per avere diffuso informazioni che non avrebbero mai dovuto essere celate all’opinione pubblica. Il suo lavoro gli è valso riconoscimenti come: Walkley Award per il più straordinario contributo al giornalismo nel 2011, premio Martha Gellhorn per il giornalismo, premio dell’Index on Censorship, New Media Award dell’Economist, Amnesty International e nel 2019 il premio Gavin MacFadyen. WikiLeaks è stata, inoltre, nominata per il Premio Mandela delle Nazioni Unite nel 2015 e sette volte per il Premio Nobel della Pace (2010-2015, 2019).

Le informazioni fornite da Assange sulle violazioni dei diritti umani e sui crimini di guerra sono di importanza storica, al pari delle rivelazioni dei whistleblower Edward Snowden, Chelsea Manning e Reality Winner, che oggi sono in esilio o in prigione. Contro tutti loro sono state lanciate campagne diffamatorie che spesso si sono tradotte sui media in informazioni errate e in un’attenzione insufficiente alle difficili condizioni in cui si trovano. L’abuso sistematico dei diritti di Julian Assange negli ultimi nove anni è stato sottolineato dal Committee to Protect Journalists, dalla Federazione Internazionale dei giornalisti e dalle più importanti organizzazioni di difesa dei diritti umani. Eppure nei media c’è stata una pericolosa tendenza a considerare normale il modo in cui è stato trattato.

L’inviato speciale delle Nazioni Unite contro la tortura Nils Melzer dopo avere indagato il caso ha scritto:

per finire mi sono reso conto che ero stato accecato dalla propaganda e che Assange è stato sistematicamente denigrato per distogliere l’attenzione dai crimini che ha denunciato. Una volta spogliato della sua umanità tramite l’isolamento, la diffamazione e la derisione, come si faceva con le streghe bruciate sui roghi, è stato facile privarlo dei suoi diritti più fondamentali senza suscitare l’indignazione dell’opinione pubblica mondiale. In questo modo, grazie alla nostra stessa compiacenza, si sta stabilendo un precedente che in futuro potrà e sarà applicato anche dinanzi a rivelazioni pubblicate dal Guardian, dal New York Times e da ABC News. (..) Mostrando un atteggiamento di compiacenza nel migliore dei casi, di complicità nel peggiore, Svezia, Ecuador, Regno Unito e Stati Uniti hanno creato un’atmosfera di impunità, incoraggiando calunnie e soprusi nei confronti di Julian Assange. In vent’anni di attività a contatto con vittime di guerra, violenza e persecuzione politica non ho mai visto un gruppo di Paesi democratici in combutta per deliberatamente isolare, demonizzare e violare i diritti di un singolo individuo così a lungo e con così poca considerazione per la dignità umana e lo Stato di diritto”.

Nel novembre del 2019, Melzer ha raccomandato di impedire l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti e di rimetterlo al più presto in libertà: “Continua a essere detenuto in condizioni opprimenti di isolamento e sorveglianza che non si giustificano per il suo stato di detenzione (…) La prolungata esposizione all’arbitrio e agli abusi potrebbe presto finire per costargli la vita”.

Nel 1898 lo scrittore francese Emile Zola scrisse la lettera aperta J’accuse…! (Io accuso) per denunciare l’ingiusta condanna all’ergastolo per spionaggio dell’ufficiale Alfred Dreyfus. La presa di posizione di Zola è entrata nella storia e ancora oggi simboleggia il dovere di battersi contro gli errori giudiziari e di mettere i potenti dinanzi alle loro responsabilità. Questo dovere vale ancora oggi, mentre Julian Assange è preso di mira dai governi e deve fare fronte a 17 capi di imputazione1 in base all’Espionage Act statunitense, una legge vecchia più di cento anni.

Come giornalisti e associazioni giornalistiche che credono nei diritti umani, nella libertà di informazione e nel diritto della pubblica opinione di conoscere la verità, chiediamo l’immediata liberazione di Julian Assange. Esortiamo i nostri governi, tutte le agenzie nazionali e internazionali e i nostri colleghi giornalisti a chiedere la fine della campagna scatenata contro di lui per avere rivelato dei crimini di guerra. Esortiamo i nostri colleghi giornalisti ad informare il pubblico in modo accurato sugli abusi dei diritti umani da lui subìti.

In questi frangenti decisivi, esortiamo tutti i giornalisti a prendere posizione in difesa di Julian Assange. Tempi pericolosi richiedono un giornalismo senza paura.

1 Vi è un altro capo di imputazione in base a un’altra legge, portando il totale a 18 capi di imputazione.

C‘è anche un video:



La posizione di Amnesty International:

The potential chilling effect on journalists & others who expose official wrongdoing by publishing information disclosed to them by credible sources could have a profound impact on the public's right to know what their government is up to. https://t.co/AbpdTTaSDd
— Amnesty International (@amnesty) February 24, 2020


Quella della Electronic Frontier Foundation:

Today's extradition hearing reminds us that the indictment of Julian Assange will inevitably have a chilling effect on critical national security journalism—and is a threat to all journalism. Learn more: https://t.co/8gVKr1TnMd https://t.co/AoZrSGuDRy
— EFF (@EFF) February 24, 2020



C’è chi obietterà che Julian Assange non è un giornalista o non ha fatto giornalismo. Al di fuori dell’Italia, dove esiste un Ordine dei Giornalisti (peraltro del tutto inefficace, come ho documentato tante volte), chiunque faccia giornalismo è automaticamente giornalista. Non ci sono esami o tesserini.

Ma soprattutto, oggi la pubblica accusa ha affermato che quello che ha fatto Assange verrebbe punito anche se venisse fatto da una testata giornalistica tradizionale invece che da Wikileaks:

Judge asks James Lewis QC if offense of publishing this info would apply to newspapers. He replied 1989 Official Secrets Act would cover.

“If journalist of newspaper publishes secret information likely to cause harm in the categories, it commits an offense.” #AssangeCase
— Kevin Gosztola (@kgosztola) February 24, 2020


Ma la pubblica accusa non sa indicare chi sarebbero le persone messe in pericolo da Assange:

« The prosecutor's opening argument repeated many times that Assange put in danger political dissidents, journalists, and human rights defenders, but he was not capable of naming any victims. » @cdeloire pic.twitter.com/Zod1pOQzbu
— RSF (@RSF_inter) February 24, 2020


Secondo Le Monde, estradare Assange equivarrebbe ad assimilare allo spionaggio qualunque pubblicazione di documenti segreti provenienti dallo Stato americano e questo sarebbe un terribile passo indietro per la democrazia:

Editorial | « Extrader Julian Assange reviendrait à assimiler à une activité d’espionnage toute publication de documents secrets émanant de l’Etat américain. Ce serait une terrible régression pour la démocratie. » https://t.co/d8RuyxVn5d
— Le Monde (@lemondefr) February 25, 2020



Se volete capire meglio questa intricata vicenda, potete seguire online la Courage Foundation, Stefania Maurizi, Il Post e l’hashtag #JournalistsSpeakUpForAssange. Di Assange ho scritto qui e qui; su Repubblica trovate questa sintesi video di Stefania Maurizi; su Defend.wikileaks.org trovate il resoconto del processo in corso; e se avete il coraggio di guardare i crimini di guerra denunciati da Assange, guardate Collateral Murder. Poi ditemi se è giusto perseguitare chi rivela questi crimini. Ossia i giornalisti che lavorano bene. Ce ne sono.


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Due anni di auto elettrica: un bilancio

febrero 25, 2020 6:12, por Il Disinformatico

Ieri (23 febbraio) ho festeggiato insieme alla Dama del Maniero i primi due anni d’uso della mia prima auto elettrica, ELSA, una Peugeot iOn del 2011 acquistata di seconda mano.

Quello che era nato come un cauto esperimento di mobilità elettrica, ispirato dalla necessità di risolvere un problema molto specifico e personale come il trasporto della spesa e degli oggetti ingombranti fino alla porta di casa per compensare un mio acciacco di salute,* è diventato un divertimento che va ben oltre la semplice mobilità locale che io e la Dama avevamo immaginato inizialmente. Trovate i dettagli delle nostre avventurette in auto elettrica sia nel blog che state leggendo sia, in forma più estesa, nei Capitoli 3 e 4 del mio libro-blog gratuito Fuori di Tesla.

* Se ci tenete a saperlo: qualche anno fa ho perso temporaneamente l’uso di una gamba a causa della compressione di un nervo fra due vertebre. Normalmente sto benissimo e cammino senza problemi, ma ogni tanto, a caso, quel simpatico nervetto si risveglia, e son dolori. Da allora devo stare attentissimo a non portare pesi, soprattutto se sbilanciati. Da qui l’esigenza di portare la spesa e ogni altro peso fino alla porta di casa invece di fare le scale e attraversare il prato della residenza.


Abbiamo superato da poco i 16.000 km di percorrenza e ormai usiamo l’auto a benzina (una Opel Mokka) sempre meno, e solo per i viaggi lunghi: negli ultimi 180 giorni abbiamo viaggiato a carburante solo 28 volte (4 a luglio 2019, 2 ad agosto, 3 a settembre, 5 a ottobre, 7 a novembre, 5 a dicembre e 2 a gennaio 2020). Niente male, per un’auto elettrica di nove anni fa, che ha ancora la sua batteria originale, con buona pace di chi pensa che le batterie non durino.

Usiamo talmente di rado l’auto a benzina che paradossalmente abbiamo dovuto acquistare un dispositivo per mantenere carica la sua batteria: non quella dell’auto elettrica, ma quella d’avviamento della Mokka, che ci ha infatti lasciato a piedi in occasione di un viaggio (siamo riusciti a ripartire grazie alla cortesia di un gestore di una stazione di servizio). L’ironia di essere un automobilista elettrico e trovarmi appiedato dalla batteria di un’auto tradizionale è stata sublime.

In termini di chilometraggio, l’autonomia molto limitata della iOn (100 km se guidata bene) comporta il fatto che il 73% dei 59.900 chilometri percorsi complessivamente in auto negli ultimi due anni è ancora a benzina, anche se non sono mancati mesi nei quali la percentuale di chilometri elettrici è stata ben più alta (anche il 67%, a gennaio 2020).



In termini di risparmio, abbiamo speso circa 1360 CHF (1282 €) in meno di quello che avremmo speso per percorrere a benzina quei 16.000 elettrici. La riduzione di costi, insomma, è significativa. Soprattutto abbiamo calcolato che se avessimo potuto percorrere tutti quei 59.900 chilometri con un’auto elettrica, avremmo risparmiato circa 5100 CHF (4807 €) solo di carburante, senza contare la minor spesa di manutenzione, imposta di circolazione e assicurazione.

Ed è per questo che tra poco sostituiremo l’auto a benzina con un’elettrica a lunga autonomia. Quale? Ancora non è deciso, ma la rosa delle candidate si sta riducendo man mano, a volte in modo inaspettato. Ma questa è un’altra storia, che vi racconterò prossimamente.


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