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Disinformatico

September 4, 2012 21:00 , by profy Giac ;-) - | No one following this article yet.
Blog di "Il Disinformatico"

Allarme-bufala per Corte Europea che vieta i battesimi, giornalisti incompetenti abboccano

April 22, 2014 10:35, by Unknown - 0no comments yet

Questo articolo vi arriva grazie alla gentile donazione di “b.ingravalle” e “valentinagamm*” ed è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

“La Corte europea ci vieta di battezzare i nostri figli”, ha titolato Libero domenica scorsa in un articolo che riempiva oltre metà pagina e aveva anche gli onori della prima pagina (è anche online qui). La Corte Europea dei Diritti Umani, spiega Libero, ha deliberato che il battesimo “lede la libertà di coscienza del neonato e si configura come una vera e propria violenza nei suoi confronti”.

Notizia drammatica, che ha spinto Libero a dedicare anche un approfondimento alla questione. Peccato che sia una colossale bufala, inventata dal sito satirico Corriere del Mattino/Giornale del Corriere e alla quale la giornalista di Libero Caterina Maniaci e i suoi responsabili di redazione hanno abboccato in pieno, ingannando i lettori del giornale. E peccato che l'“approfondimento” sia copiato parola per parola dalla tanto disdegnata Wikipedia.

Pazienza per i tanti internauti ingenui che hanno visto la “notizia”, inviata loro da qualche amico che non sa che il Corriere del Mattino/Giornale del Corriere è un sito satirico, e si sono sentiti in dovere di diffonderla ovunque tramite Facebook. L'utente medio non conosce i meccanismi di propagazione delle informazioni e delle bufale, perché non gliele ha spiegate nessuno. Non macina notizie per lavoro. Non pazienza, ma ilarità e imbarazzo, invece, per i “siti d'informazione” come IlNord o Articolotre, che dimostrano un'incompetenza tanto spettacolare quanto bigotta. E commiserazione per quelli, come Voxnews, che si vantano di aver corretto la notizia, però nel frattempo l'hanno pubblicata senza controllarla, con tanto di strali retorici d'indignazione.

Ma che ci caschi un giornale, dove in teoria le persone lavorano tutto il giorno con le notizie e per questo prendono uno stipendio, è una vergogna totale. Vuol dire che in quel giornale non si fa nessun controllo e si pubblica qualunque balla trovata su Internet, senza cercare conferme: infatti non c'è nessuna traccia della sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani sul sito della Corte stessa e nessun giornale estero ne parla (come fa notare WakeupNews). Invece c'erano già, a portata di clic, la sbufalata pubblicata cinque giorni prima da Giornalettismo e quella di Bufale un Tanto al Chilo di sette giorni prima. Niente: la notizia-bufala si conforma alla linea editoriale (o ideologica) del giornale, e allora la si manda in stampa.

In una redazione degna di questo nome, chi venisse beccato a scopiazzare da Wikipedia e a pubblicare panzane senza controllarle e spendere almeno un nanosecondo su Internet a cercare e verificare l'origine della notizia verrebbe mandato a casa a calci nel sedere, per aver tradito la fiducia dei lettori e per aver rubato lo stipendio. Una testata giornalistica seria chiederebbe pubblicamente scusa ai lettori e si farebbe delle domande su come sia stato possibile un fallimento epico del genere. Un Ordine dei Giornalisti serio bastonerebbe chi rovina così la reputazione della categoria. Dei colleghi seri chiederebbero a Caterina Maniaci delle giustificazioni e i danni per aver gettato letame sul loro mestiere. Dei lettori seri inonderebbero la redazione di mail, telefonate e lettere di protesta e smetterebbero di comprare quel giornale.

E invece si va avanti così. Complimenti a tutti.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.



I conti in tasca al missile orbitale riutilizzabile di SpaceX

April 19, 2014 16:45, by Unknown - 0no comments yet

di Paolo G. Calisse

Paolo G. Calisse è una vecchia conoscenza di questo blog. Di professione fa l'astronomo ed ha collaborato con vari progetti internazionali, incluso ALMA, l'Atacama Large Millimeter Array. Tra le cose curiose che ha fatto durante la sua carriera, è anche stato il primo italiano a trascorrere un anno intero al Polo Sud, sempre lavorando come astronomo al locale osservatorio.

La sua passione – a suo dire “un po' infantile” – per aerei e missioni spaziali lo ha portato a scrivere questo breve articolo in cui fa i conti in tasca ai piani di Elon Musk di creare un sistema di vettori riutilizzabile. Ospito questo articolo sul mio blog in occasione del primo tentativo di ammaraggio controllato di un primo stadio di un vettore orbitale, avvenuto ieri nell'ambito della missione Dragon/CRS-3.

Paolo Attivissimo


Credit: SpaceX.
Tutto lascia credere che ieri sia avvenuto qualcosa di radicalmente nuovo nel settore aerospaziale: il primo stadio di un razzo, dopo aver inserito il proprio carico verso l'orbita, è ammarato intatto a est della Florida. Senza l'aiuto di paracadute o di ali, ma soltanto con l'aiuto dei propri propulsori per rallentare la caduta. SpaceX ha dimostrato la fattibilità del progetto di realizzare un primo stadio leggero e potenzialmente riutilizzabile, al contrario dello Space Shuttle e di altri progetti, dotati di appendici aerodinamiche. In questo articolo cercheremo di capire come tutto questo sia possibile. 

Il sogno di realizzare vettori riutilizzabili è nato insieme alle stesse imprese spaziali e prima ancora in tanti racconti e film di fantascienza. Il primo tentativo concreto di realizzarne uno, lo Space Shuttle, si è concluso tuttavia con risultati insoddisfacenti, costi ingenti e due terribili sciagure che hanno causato la morte di ben quattordici astronauti statunitensi.

Dopo una breve introduzione allo stato attuale della tecnologia, apprenderemo la semplice algebra necessaria per questa valutazione, per poi passare ad applicarla al caso specifico di un vettore come il Falcon 9R impiegato per il volo di ieri. L'articolo richiede solo una certa attenzione per seguire e comprendere tutti i passaggi necessari.


Aria o propellente?


Da quando Elon Musk, nel 2002, fondò SpaceX con l'obiettivo di realizzare un sistema di vettori orbitali riutilizzabili e per questo a basso costo, molti si chiedono se non si sia trattato di una mossa avventata. Perché infatti non utilizzare, come lo Space Shuttle, l'attrito atmosferico per frenare un oggetto al rientro dall'orbita, invece di sofisticati motori avidi di carburante ed esposti al calore e allo stress del rientro?


Lo Space Shuttle: bello e dannato


Lo Shuttle Endeavour nel 2001.
Credit: NASA.
Nonostante fosse un progetto iconico, ineguagliato per complessità e sofisticazione, lo Space Transportation System, come venne chiamato all'inizio, ha assorbito per decenni gran parte delle risorse economiche disponibili per il settore spaziale negli USA, impedendo lo sviluppo di nuovi e più efficienti vettori. Non poteva raggiungere orbite più elevate di qualche centinaio di km (contro i quasi 400.000 delle capsule Apollo lanciate dal Saturn V), né ha mai eguagliato le specifiche di progetto. Infine era solo parzialmente riutilizzabile: mentre l'Orbiter (la navetta stessa) e i due Solid Rocket Booster (i due razzi ai lati del vettore al momento del lancio) venivano recuperati, il sofisticato serbatoio principale del propellente, che costava 55 milioni di dollari di allora, andava distrutto al rientro nell'atmosfera.

Due sono le ragioni generalmente indicate come causa di questo sostanziale fallimento: (1) la richiesta dei militari di disporre di un oggetto capace di rientrare dopo una sola orbita, il che richiedeva, per le orbite polari, una notevole capacità di planata, e (2) la volontà di portare a bordo ben 7 astronauti per volta oltre ad un carico pagante di più di 22 tonnellate per le orbite basse. Queste richieste influirono pesantemente sul progetto, portando la massa del veicolo da iniettare in orbita ad oltre 90 tonnellate, contro le 6 di una capsula Apollo, e di conseguenza ad una moltiplicazione esponenziale delle difficoltà ingegneristiche da affrontare.

I problemi che queste scelte originarono furono tanti. Poiché, al contrario della navetta russa Buran, lo Space Shuttle non poteva operare missioni senza equipaggio e non vi era alcuna possibilità di fuga per gli astronauti nel caso di guasti gravi in alcune fasi critiche del volo, due incidenti diversi provocarono la perdita di due navette e la morte di ben 14 astronauti: di gran lunga più di qualsiasi altra navicella spaziale.

Infatti alcuni componenti come la schiuma usata per isolare termicamente l'enorme Main External Tank non sono mai stati completamente “commissionati”. La manutenzione, a causa dell'enorme potenza dei tre motori principali e della sofisticazione estrema dell'intero sistema, era costosissima e delicatissima, penalizzando i tempi di riciclo, aumentando a dismisura i costi di gestione e causando, nel tempo, un'affanosa ricerca di scorciatoie. Invece dei pochi giorni previsti, ogni volta occorrevano mesi e un'immenso dispendio di risorse e personale. È quindi in un certo senso sorprendente che si sia comunque riusciti a compiere 133 missioni con successo, nonostante il progetto sia di fatto diventato lettera morta.


Ricominciamo daccapo


Elon Musk, CEO e fondatore di SpaceX, ha seguito un approccio differente, ma per un motivo preciso: quello di sviluppare una tecnologia in grado non solo di consentire il riutilizzo di tutte le componenti, consentendo un abbattimento consistente dei costi, ma anche di programmare una missione su Marte utilizzando componenti simili e quindi sperimentate a fondo. Un sistema, quindi, in grado di consolidarsi per gradi e scalabile con un notevole interscambio di conoscenze e componenti tra i vettori previsti per le diverse funzioni.

Illustrazione del Delta Clipper.
Credit: NASA.
Questo approccio innovativo è sembrato a molti, specie all'inizio, un azzardo: perché fare atterrare un oggetto di forma insolita, in equilibrio sulle zampe, invece di usare la tecnologia sperimentata dagli aerei di tutto il mondo? Pochi ci avevano provato prima di lui, e con risultati discutibili. McDonnell-Douglas negli anni '90 aveva realizzato un sistema simile, il Delta Clipper, con l'idea di sviluppare un sistema in grado di entrare in orbita con un solo stadio (single-stage-to-orbit, o SSTO), ma dopo un grave incidente aveva abbandonato il progetto.

Elon Musk, dopo un'accurata analisi di tutte le variabili in gioco (velocità alla separazione del primo stadio, disegno e numero dei motori, tecnologia impiegata, numero di stadi, ecc.), ha preferito puntare su un sistema a due stadi, entrambi recuperabili. Qui non ci occuperemo del secondo stadio e della navicella, ma nei piani di Musk anche queste due componenti saranno infatti in grado di rientrare indipendentemente e di essere riutilizzate più volte, con l'obiettivo di ridurre di almeno un fattore 10 i costi dei viaggi spaziali rispetto a quelli attuali.

Ma come si può valutare la sua affermazione che è possibile progettare un primo stadio in grado di compiere autonomamente la frenata necessaria per atterrare dopo un lancio? Il propellente necessario per il rientro non appesantisce inutilmente il carico?


È tutta una questione di delta-v!


La tecnologia spaziale è complessa oltre ogni dire, ma la dinamica su cui si basa è più semplice di quel che si creda, proprio perché nello spazio le forze in gioco sono conservative e gli attriti in genere trascurabili.

Per rispondere alle due domande precedenti basta partire dall'Equazione di Tsiolkovsky (EdT nel seguito), o Equazione del Razzo, ideata al principio del ventesimo secolo da diversi ricercatori, che valuta quanto propellente è necessario per ottenere una differenza di velocità delta-v durante una manovra “orbitale”.

Per cominciare bisogna innanzitutto comprendere che l'ostacolo principale alla messa in orbita di un oggetto non è tanto la quota di almeno 2-300 km necessaria ad abbandonare completamente l'atmosfera, che può essere raggiunta abbastanza agevolmente anche con tecnologie abbastanza semplici, quanto la necessità di raggiungere la velocità orbitale, che è circa 25 volte quella del suono (detta Mach 1 in gergo) ed è superiore a quella di tutto ciò cui siamo abituati sulla Terra, proiettili e caccia supersonici compresi.

L'EdT può essere espressa come:

DV = Vexh * ln (m0/m1)

dove:

DV è la differenza di velocità tra "prima" e "dopo" una qualsiasi manovra
m0 è la massa iniziale del razzo
m1 è la massa residua del razzo dopo aver bruciato il carburante necessario
Vexh è la velocità del gas espulso dal motore (exhaust in inglese)
ln è il logaritmo naturale

Senza entrare nei dettagli della sua derivazione, basti sapere che usando la conservazione della quantità di moto è possibile calcolare com'è variata la velocità del veicolo dopo avere espulso una data quantità di propellente m0-m1 alla velocità Vexh.

La formula si applica a qualsiasi motore a razzo in azione nel vuoto e dove non ci sono grandi variazioni di quota (torneremo più tardi su questo punto). È indipendente dal tipo di propellente usato, dalla potenza, dal numero di motori o da altri parametri. Anzi, può essere usata per casi molto diversi...


Ispettore Callaghan, il caso è suo


Supponiamo per esempio che l'ispettore Callaghan spari un colpo in orizzontale con l'immancabile 44 Magnum mentre staziona su una pista di pattinaggio (attrito trascurabile): il rinculo lo farà partire in direzione opposta, ma a quale velocità? L'EdT consente di calcolarla facilmente. Il proiettile di una 44 Magnum viene espulso a circa 450 m/s ed ha una massa di circa 20 g. Se Clint Eastwood pesa 80 kg (ovvero 80.000 g), pistola e proiettili inclusi:

DV = 450 m/s * ln ((80.000/(80.000-20))
= 0.112514 m/s

ovvero comincerà a spostarsi nella direzione opposta, a causa del rinculo, ad una velocità di circa 11 cm al secondo (circa 0.4 km/h).

Ma quando Callaghan sparerà il suo secondo proiettile le cose cambieranno, sebbene di poco, in quanto la massa residua sarà diminuita di quella del primo proiettile sparato, e l'incremento di velocità, da aggiungere a quella precedente, diverrà:

DV = 450 m/s * ln ((80.000-20)(80.000-40))
= 0.112542 m/s

Come prevedibile, il cambio di velocità fornito dal rinculo è aumentato rispetto a prima, sebbene di soli 0.112542 m/s - 0.112514 m/s = 0.0028 cm/s.

Ma nel caso di un motore a razzo come il Falcon 9R la quantità di propellente espulsa ogni secondo è letteralmente un fiume (oltre 2 tonnellate/s). Di conseguenza, la massa del carburante ancora a bordo diminuisce rapidamente, e questo rende l'accelerazione del razzo sempre maggiore, al punto che ad una certa quota i motori devono ridurre la loro spinta per evitare stress eccessivi alla struttura stessa del razzo.

Tornando quindi al caso dei lanci spaziali, risolvendo la EdT per m1, si può ricavare quanto propellente resta dopo avere operato un certo delta-v partendo da una massa iniziale del razzo m0:

m1 = m0 * exp(-DV / Vexh)

Per una manovra nello spazio vuoto questa relazione è corretta. Durante un lancio da Terra, però, parte dell'energia viene spesa per contrastare la forza gravitazionale e l'attrito aerodinamico. La formula consente di trattare questi due fattori valutando il delta-v aggiuntivo (o sottrattivo) che deriva da entrambi:

delta-v = Vorb + Vgrav + Vaero

dove:
  • Vorb è la velocità orbitale da raggiungere, pari, per un orbita bassa, a circa 7.8 km/s
  • Vgrav è la velocità “persa” durante l'ascesa da Terra, calcolata in base a simulazioni o da precedenti lanci o da un'accurata analisi della traiettoria percorsa durante l'ascensione
  • Vaero e la velocità dissipata per combattere l'attrito aerodinamico
Tutte le velocità sono relative al riferimento a Terra. Per questo non viene qui considerato l'"aiutino" (0.4 km/s) dato dalla rotazione terrestre (Vorb), almeno quando si lancia verso Est come in questo caso. 

Consideriamo ora un vettore Falcon 9R v1.1 come quello lanciato ieri da Cape Canaveral per tentare un ammaraggio controllato. Per fare i conti numerici servono alcuni dati che riassumiamo nel seguito.


Parametri relativi all'intero vettore


  • Massa totale al lancio: 482.500 kg. ȏ il peso totale approssimato del Falcon 9R al momento del lancio, incluse le "zampe" e tutto l'hardware addizionale necessario per l'atterraggio morbido.
Credit: SpaceX.


Parametri relativi al solo Primo Stadio:


  • Massa totale al lancio: 392.500 kg. Peso dichiarato del primo stadio al lancio, propellente e "zampe" incluse.
  • Massa inerte: 20.500 kg. È il peso del primo stadio quando si esclude il propellente. Questo valore rappresenta, a pensarci bene, anche la massa minima da riportare intatta a terra, assumendo che il propellente sia stato consumato completamente nel volo.
  • Massa del propellente: 372.000 kg. Si ottiene sottraendo la massa inerte dalla massa totale al lancio: 392.500 kg - 20.500 kg. Notare come oltre i tre quarti (372.000 kg / 482.500 kg) dell'intera massa del razzo sia costituito dal propellente del primo stadio.


Motore Merlin 1D


Il primo stadio del Falcon 9R (la R sta per riutilizzabile) è spinto da 9 motori identici, potenti e leggeri, chiamati Merlin 1D, disposti in una configurazione detta octaweb: otto motori in cerchio e uno al centro. Questi motori consumano un particolare tipo di kerosene detto RP-1 e ossigeno liquido, LOX in gergo, fornendo una velocità di emissione dei gas di scarico Vexh pari a 2765 m/s. Useremo come ipotesi pessimistica questo valore, anche se in realtà nel vuoto i gas raggiungono una velocità circa il 10% superiore (3050 m/s), incrementando di conseguenza la spinta fornita.


Profilo di volo


La separazione del primo stadio dal secondo dopo il lancio avviene ad una velocità di Mach 6, corrispondenti a 2,052 km/s, e ad una quota di circa 90 km. Nel caso dello Space Shuttle invece il serbatoio del propellente (il Main External Tank, o ET) veniva rilasciato già a velocità orbitale (Mach 25), rendendo necessario accelerare una massa ancora più grande di quella dell'Orbiter stesso. La bassa velocità alla separazione del primo stadio è una delle chiavi del possibile successo dei piani di SpaceX.

Dopo la separazione, il singolo motore presente nel secondo stadio del Falcon 9, quasi identico agli altri nove del primo stadio, si accende e inietta in orbita la navicella Dragon con il suo carico per la Stazione Spaziale Internazionale. Il primo stadio invece si riorienta "motori avanti" per mezzo di una prima accensione di tre dei nove propulsori. Lo stadio scende quindi in caduta libera fino a pochi secondi dall'ammaraggio, quando una seconda accensione rallenta di nuovo il vettore, già frenato dalla crescente pressione aerodinamica. Le 4 zampe si estendono e il Falcon 9 compie il proprio ammaraggio controllato.


Perdite gravitazionali ed aerodinamiche


Oltre a dover acquistare la velocità orbitale, un vettore deve anche guadagnare una quota tale da uscire completamente dall'atmosfera e contrastare l'attrito dovuto alla pressione aerodinamica. Nel primo caso si parla di perdita gravitazionale, una forza che tende a frenare il vettore in ascesa e ad accelerarlo durante la discesa, e che quindi lavora sempre contro la spinta esercitata dai propulsori. Il suo valore per il Falcon 9 può essere stimato a partire da quelli ottenuti da vettori analoghi, sebbene per un calcolo più accurato si possa procedere analiticamente in base alla traiettoria prevista. Il volume Space Propulsion Analysis and Design, di R. Humble, considerato la bibbia della propulsione a razzo, fornisce alcuni valori di confronto:

 Vettore
 Delta-V gravitazionale
 Delta-V aerodinamico
Ariane A-44L 
1576 m/s
135 m/s
Atlas I 
1395 m/s
110 m/s 
Delta 7925 
 1150 m/s 
136 m/s 
Space Shuttle 
 1222 m/s 
 107 m/s 
Saturn V 
 1534 m/s 
 40 m/s
Titan IV/Centaur 
 1442 m/s 
 156 m/s 

Il valore straordinariamente basso del delta-v aerodinamico (Vaero) del Saturn V non è un errore di stampa, ma è dovuto al basso rapporto tra la spinta generata dai 5 giganteschi motori F-1 di cui disponeva, veri e ineguagliati capolavori della tecnologia, e la massa del mastodontico vettore subito dopo il decollo, quando il razzo era ancora carico del propellente e di tutta l'infrastruttura necessaria alla sua lunga missione. Ciò riduceva la velocità negli strati più densi dell'atmosfera e di conseguenza la pressione aerodinamica, ma una volta alleggerito di gran parte del carburante l'accelerazione cresceva a valori elevatissimi. Per tutti gli altri vettori, Falcon 9 incluso, il rapporto tra spinta e peso del veicolo al decollo è molto più elevato, rendendo più efficiente l'ascesa nel primo minuto, ma generando velocità elevate quando la densità dell'aria è ancora elevata e quindi un carico aerodinamico nettamente superiore.

Assumeremo quindi una perdita per attrito aerodinamico di 130 m/s durante l'ascensione, come si vede trascurabile rispetto agli altri fattori. Al rientro, alcune simulazioni disponibili forniscono un valore di 280 m/s. Per inciso, il momento in cui la pressione aerodinamica è massima, il cosiddetto Max Q, avviene in genere poco oltre il primo minuto dal lancio.

Il valore del delta-v gravitazionale (Vgrav) per razzi come il Titan, simile al Falcon 9R, è di circa 1200 m/s. Poiché il distacco del primo stadio con il Falcon 9R avviene a meno di 100 km di quota, e non alla quota orbitale, superiore a 200 km, useremo la metà di questo valore, ovvero un delta-v gravitazionale pari a 600 m/s.

In conclusione
  • durante l'ascensione abbiamo un delta-v totale di 2052 + 600 + 130 m/s = 2780 m/s
  • durante il rientro, invece, il delta-v aggiuntivo è di soli 2052 + 600 - 280 m/s = 2372 m/s in quanto l'attrito aerodinamico questa volta aiuta la frenata, collaborando con la spinta esercitata dai retrorazzi


E adesso un po' di semplici calcoli


Inserendo tali valori nell'equazione di Tsiolkovsky si ottiene la massa del razzo al momento del distacco del primo stadio:

m1 = m0 * exp (- DV / Vexh )
= 482.500 * exp (-2782 / 2765)
= 176.444 kg

Sottraendo la massa al lancio si ottengono la quantità di propellente già utilizzato e quella residua, ancora disponibile per attuare la frenata controllata durante il rientro:
  • Quantità di carburante utilizzato fino alla separazione: 482.500 kg - 176.444 kg = 306.056 kg
  • Quantità di carburante disponibile per il rientro: 372.000 kg - 306.056 kg = 65.944 kg
  • Massa del primo stadio DOPO la separazione: 20.500 kg + 65.944 kg = 86.444 kg
Come prevedibile, l'ascensione ha utilizzato gran parte del propellente necessario, visto che in ascensione al peso del primo stadio si aggiungono quello del secondo, del carico utile ma soprattutto del propellente stesso, da accelerare a Mach 6.

Sottraiamo da questo quantitativo residuo di propellente un ulteriore 5%, ovvero 306.056 kg * 0.05 = 15.303 kg, per tenere conto dei controlli di assetto e come margine di sicurezza. Il valore del combustibile disponibile per il rientro controllato diventa adesso 65.944 kg - 15.303 kg = 50.642 kg (tutti i valori sono stati ottenuti con calcoli in virgola mobile, donde le piccole discrepanze sulle unità dopo gli arrotondamenti).

Siamo arrivati alla domanda cruciale: è possibile compiere un rientro ed un atterraggio morbido con tale quantità di carburante?

Il peso del primo stadio immediatamente dopo la separazione è pari alla sua massa inerte più la quantità ancora disponibile di carburante appena calcolata: 20.500 kg + 50.642 kg = 71.142 kg.

Applichiamo finalmente l'EdT una seconda volta, per simulare la discesa:

m1 = m0 * exp( - DV / Vexh )
= 71.142 kg * exp ( -2372 / 2765 )
= 30.173 kg

Questa sarà la massa totale del primo stadio all'atterraggio. Ciò significa che durante la discesa sono stati usati almeno 71.142 kg - 30.173 kg = 40.968 kg di propellente. Il propellente residuo nel primo stadio si può calcolare sottraendo al propellente disponibile alla separazione il valore appena trovato:

50.642 kg - 40.968 kg = 9.673 kg

Questa quantità, circa 9 tonnellate metriche, rappresenta quasi il 20% (9.673 / 50.642) del propellente usato per la discesa, garantendo un notevole margine aggiuntivo per le correzioni eventualmente necessarie. Siamo quindi giunti alla conclusione che un primo stadio come quello del Falcon 9R è in grado, almeno sulla carta, di rientrare a terra! Possiamo immaginare che Elon Musk abbia svolto questi calcoli back-of-the-envelope (come si dice in inglese, ovvero su un pezzo di carta qualsiasi) prima di investire i propri "risparmi" in questa affascinante avventura.

Quel 20% di carburante residuo sembra anche sufficiente a garantire il controllo d'assetto durante la discesa e anche per effettuare un atterraggio direttamente al sito di lancio (Return to Launch Site, o RTLS), come nel programma a lungo termine di Musk. Le nostre stime grossolane dimostrano insomma che si può fare, che l'idea non è affatto peregrina. Va notato anche che la quantità di carburante necessaria all'ascensione, 306 tonnellate metriche, è nettamente superiore a quella necessaria per la discesa, 41 t.

Questa apparente magia è proprio dovuta al fatto che la massa inerte del primo stadio è una frazione marginale del peso dell'intero vettore al decollo: circa il 4%, come una lattina di birra da 330 ml. Provate a prendere in mano una lattina vuota: vi chiederete, considerando la massa dei nove motori Merlin e la rigidità necessaria ad un razzo, come sia possibile costruire un vettore così leggero in grado di portare a bordo tutto quel propellente, ma è proprio questa straordinaria leggerezza del primo stadio a ridurre la quantità di propellente necessaria per la discesa controllata rispetto a quella necessaria per l'ascensione.

Senza contare che un rientro ad alta velocità negli strati densi dell'atmosfera, come previsto da Musk, che prevede una prima accensione dei retrorazzi in alta quota e una in finale, poco prima dell'atterraggio, permetterebbe di sfruttare al meglio il freno aerodinamico, che va, almeno in prima approssimazione, con il quadrato della velocità. Quindi: più tardi si rallenta – compatibilmente con i problemi termici legati al surriscaldamento – meno propellente è necessario per la frenata finale.

Non resta quindi che augurarsi che SpaceX sia in grado di risolvere i molteplici problemi tecnici che si troverà ad affrontare prima di poter affrontare un RTLS, non ultimi lo stress aerodinamico cui i motori e le parti più sensibili del vettore saranno sottoposti durante il rientro in atmosfera, o il preciso controllo dell'assetto durante la discesa.


Marte, prossima frontiera


In realtà Musk ha nel cassetto un obiettivo ancora più intrigante: lo sviluppo di vettori in grado di compiere una missione su Marte con equipaggio con ritorno a Terra. Fino ad oggi nessuna navicella è stata in grado di tornare in orbita dopo un atterraggio su Marte. Una missione umana avrebbe bisogno di questa funzionalità, sebbene Musk contempli anche piani per una colonizzazione senza ritorno, una specie di Mayflower alla scoperta di una nuova "America".

Gli stessi calcoli possono quindi essere applicati per esercizio per verificare se il primo stadio di un Falcon 9R sarebbe in grado di atterrare e tornare in orbita marziana. Il campo gravitazionale marziano è assai più debole di quello terrestre (Marte ha una massa che è solo il 10% circa di quella del nostro pianeta), la velocità orbitale è di “soli” 13.000 km/h. Perché non dovrebbe essere possibile?

Immaginiamo che un Falcon 9R, identico a quello usato per il rientro a Terra, venga inserito in orbita marziana. Non ci occuperemo di come questo possa avvenire. Supponiamo anche di rimuovere del tutto il secondo stadio e di avere a disposizione un carico utile pari a quello nominale per la missione terrestre. Su Marte possiamo utilizzare come velocità dei gas di scarico Vexh quella valida nel vuoto. Supponiamo inoltre, piuttosto ottimisticamente, che la perdita per gravità e quella per attrito atmosferico siano un decimo di quella terrestre, come la massa del pianeta.

Sorprendentemente, eseguendo i calcoli come sopra, ci accorgeremmo che il carburante disponibile non basterebbe. Come mai, visto che la gravità marziana è una frazione di quella terrestre? Perché, primo, atterrare e tornare in orbita richiede molto più carburante che andare in orbita e poi atterrare, e secondo, il primo stadio dovrebbe questa volta raggiungere la velocità orbitale, superiore a quella della separazione prevista nel caso di lancio dalla Terra.

Il piano di Elon Musk è tuttavia diverso da questa banale semplificazione e prevede lo sviluppo di un sistema più potente, con nuovi motori più performanti. Ci sono inoltre diverse differenze rispetto ad una missione sulla Terra. Parte del vettore, per esempio, potrebbe essere abbandonata sul suolo di Marte per un'immissione in orbita più leggera.


Conclusioni


L'X-37B.
Credit: USAF.
Lo spazio vuoto è l'ambiente controintuitivo per antonomasia. Il motivo ultimo per cui la strategia dello Space Shuttle – utilizzare l'attrito aerodinamico per permettere il rientro controllato e quindi il riciclo del vettore – si è dimostrata più inefficiente e complessa del previsto è che ogni kg in più da mettere in orbita, a causa delle grandi superfici aerodinamiche necessarie per la frenata, richiede un incremento esponenziale della potenza dei vettori e della complessità del sistema.

Sistemi che utilizzano lo stesso principio, ma più piccoli e meno performanti, come il Dream Chaser, sorta di piccolo Space Shuttle adibito al solo trasporto di passeggeri, o l'X-37B, navicella automatica già utilizzata più volte e al momento in orbita terrestre, potrebbero ovviare a questo problema. Nessuno è ancora in grado di dire se l'alternativa proposta da Musk sia migliore o meno dell'uso dell'attrito aerodinamico per frenare.

Quello che abbiamo appena dimostrato è soltanto che quella di Musk è una scelta saggia e fattibile. Anche sul piano tecnico la potenza di calcolo e la sensoristica attuali permettono un controllo accurato dell'assetto di un oggetto come un razzo, nonostante sembri difficile come tenere una penna in equilibrio in verticale sul palmo della mano.


Bibliografia ragionata


[1] SpaceX, Video Captures SpaceX's Re-Lightable Engine. Nel video si vede, per la prima volta, un motore a razzo durante una fase di rientro nell'atmosfera di un vettore (a marcia indietro). Il video consente anche di verificare la quota alla quale il primo stadio si separa (100 km) e la massima quota raggiunta in volo balistico dal vettore (140 Km)).
[2] http://forum.nasaspaceflight.com/index.php?topic=9959.0, una discussione che spiega come valutare l'effetto dell'atmosfera e della gravità.
[3] http://aldaylongmusings.blogspot.com/2011/04/spacex-sanity-check.html, un esercizio simile svolto per il più pesante SpaceX Falcon Heavy.
[4] Space Propulsion Analysis and Design, R. Humble, 1996, per una discussione approfondita sulla propulsione a razzo.
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Il missile con le zampe di SpaceX ce l’ha fatta: consegna cargo in orbita e ammaraggio “morbido”

April 18, 2014 22:23, by Unknown - 0no comments yet

Questo articolo vi arriva grazie alla gentile donazione di “ulricog”.

Credit: ScriptunasImages.com
Il vettore Falcon 9R di SpaceX partito poche ore fa da Cape Canaveral è riuscito a inserire correttamente in orbita il proprio carico, la capsula Dragon, carica di provviste ed esperimenti per la Stazione Spaziale Internazionale.

Sembra inoltre riuscito il tentativo, unico nella storia della missilistica, di far scendere in maniera controllata il primo stadio del missile, che stando alle prime segnalazioni di Elon Musk avrebbe effettuato correttamente un ammaraggio dolce nell'Oceano Atlantico, come previsto dal suo piano di volo.

Questo primo tentativo fa parte del piano a lungo termine di SpaceX di riutilizzare i vettori facendone rientrare a terra i singoli stadi, che atterrerebbero verticalmente su zampe come quelle già installate sul vettore partito oggi e visibili nella foto qui accanto in posizione ripiegata alla base del missile.

Per questo lancio è stato scelto di far scendere il primo stadio nell'oceano per questioni di sicurezza. Se volete un'anteprima dell'aspetto che avrebbe un atterraggio controllato, date un'occhiata a questo video a partire da circa 43 secondi: mostra il primo volo di prova del Falcon 9R (dove R sta per Reusable, ossia “riutilizzabile”).


Fra l'altro, il bravissimo astrofotografo Thierry Legault è riuscito a fotografare da Terra, specificamente dalla Francia, la capsula Dragon in orbita poco meno di mezz'ora dopo il lancio.
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Heartbleed, alcuni milioni di cellulari e tablet Android sono vulnerabili; tutto OK per Apple

April 18, 2014 21:06, by Unknown - 0no comments yet

Heartbleed non è soltanto un problema per i gestori di siti: riguarda anche gli smartphone Android. Infatti secondo Google la versione 4.1.1 di Android, nota come Jelly Bean, è vulnerabile a questa falla di sicurezza di cui tanto si parla da qualche giorno.

Sempre Google indica che sono attivi circa un miliardo di dispositivi Android e che circa un terzo di essi ha la versione 4.1.x di Android, per cui si può stimare ragionevolmente che i dispositivi vulnerabili siano alcuni milioni.

Google, responsabile di Android, ha già distribuito ai produttori di smartphone la correzione: spetta ora a loro distribuirla agli utenti. Nel frattempo potete verificare facilmente se siete vulnerabili a Heartbleed usando l'app Heartbleed Detector/ Security Scanner (in italiano Heartbleed Sicurezza Scanner). Controllate bene il nome e l'icona prima di installarla (la vedete qui sotto), perché ci sono parecchie imitazioni fasulle.


L'app comunica soltanto in inglese, ma è comunque abbastanza chiara: se dice “Everything is OK”, va tutto bene, anche se dice che il dispositivo è “affected”. La versione vulnerabile di OpenSSL può infatti essere presente ma con la funzione difettosa disattivata, e in questo caso non comporta rischi.

Per quanto riguarda i Mac, gli iPhone, gli iPod touch e gli iPad, invece, tutto a posto: Apple ha dichiarato che iOS e OS X non hanno mai usato la libreria OpenSSL che è al centro della falla Heartbleed.
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Samsung Galaxy S5, già scavalcato il lettore d’impronte digitali

April 18, 2014 6:46, by Unknown - 0no comments yet

Uno dei punti di forza del nuovo smartphone di Samsung, il Galaxy S5, almeno stando alla sua campagna pubblicitaria, è il suo sensore d'impronte digitali, che consente di fare a meno del PIN di blocco, come già fa Apple con l'iPhone 5S. Ma gli esperti sono già riusciti a scavalcare questa forma di protezione e non solo accedere al contenuto di un telefonino bloccato dall'impronta digitale ma anche avere accesso al conto Paypal protetto da questa funzione.

Il problema di fondo dell'uso delle impronte digitali come sistema di controllo degli accessi è che l'impronta digitale non è una password: al massimo è un identificativo d'utente. Infatti le password non si lasciano in giro dappertutto (gli esperti del Security Research Labs hanno sconfitto il Galaxy S5 usando proprio un'impronta raccolta e duplicata) e soprattutto si possono cambiare se vengono rubate. Cambiare le proprie impronte digitali è perlomeno disagevole.

Intendiamoci: in condizioni normali, un sensore d'impronte è sicuro tanto quanto un PIN a quattro cifre, nel senso che è un deterrente ragionevole e sufficiente a scoraggiare i ficcanaso occasionali, ma non sarà un ostacolo serio per un aggressore deciso. Mentre costringervi a rivelare un PIN memorizzato può richiedere un certo impegno, un'impronta digitale si ottiene facilmente: basta agguantare una vostra mano con la forza. Ma questi sono scenari che normalmente, si spera, non capitano.

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