Repubblica copia da El País e se ne strafrega delle proteste della giornalista plagiata. Poi corregge silenziosamente
April 21, 2020 8:28Ultimo aggiornamento: 2020/04/21 13:10.La giornalista Catalina Oquendo di El País ha pubblicato questo articolo (copia su Archive.org) il 18 aprile scorso. Daniele Mastrogiacomo, su Repubblica, ha pubblicato lo stesso giorno un articolo pressoché identico (screenshot). Parlano entrambi del dramma della fame nella periferia di Bogotà a causa della pandemia. Usando, stranamente, le stesse cifre e persino le stesse dichiarazioni.
Questo, per esempio, è un brano dell’articolo di Oquendo:
“Somos una familia de nueve personas y no estamos en ningún listado del Gobierno, tengo una mujer embarazada y dos niños más en la casa y no tengo nada para darles de comer. Por eso estoy acá”, decía una mujer mientras sacudía una camisa roja de puntos blancos.
Questo è invece un brano dell’articolo originale di Mastrogiacomo:
“Siamo una famiglia di nove persone e non appariamo in alcuna lista del governo di sostentamento. Ho una moglie incinta e due bambini ma in casa non ho nulla da mangiare”, spiega un uomo con indosso una camicetta rossa e bianca a una cronista attirata sul posto dalle voci che si rincorrono in una città spettrale. “Per questo adesso sono qui”.
Notate qualche somiglianza? Chi sarà mai la “cronista attirata sul posto” che Mastrogiacomo non nomina? E chi saranno mai queste persone che cambiano sesso ma dicono entrambe esattamente la stessa cosa indossando tutt’e due la stessa camicetta rossa e bianca?
Oquendo ha contestato pubblicamente il plagio:
Signori @repubblica, vi chiedo di rimuovere immediatamente il testo firmato da @mas54 poiché si tratta di un plagio di un testo del quale sono io l’autrice, e che é stato pubblicato sabato sul giornale @el_pais. Il suo corrispondente ha copiato e il mio articolo alla lettera: pic.twitter.com/e3zWLcHjtf— Catalina Oquendo (@cataoquendo) April 19, 2020
La risposta di Mastrogiacomo: si è “ispirato”, non capisce il problema.
Ojo a la respuesta de @mas54 que no entiende el problema 🤦🏽♀️ pic.twitter.com/VGAqkMItR8— Catalina Oquendo (@cataoquendo) April 19, 2020
Screenshot:
In traduzione (correggetemi se ho sbagliato qualcosa): “Salve Catalina, [scusami] se mi sono ispirato al tuo articolo, l'ho trovato pieno di dettagli importanti in un momento così difficile che coinvolge tutto il mondo. Non capisco il problema. Come vedi l'ho scritto in italiano basandomi sulle informazioni che tu hai riportato dalla Colombia, dove tu vivi e io no. Succede la stessa cosa con i miei articoli, più volte.”
Da Mastrogiacomo e Repubblica nessuna attribuzione, nessuna citazione della fonte, nessun link all’articolo di Oquendo.
Poi la gente mi chiede perché non faccio il buonino e contatto privatamente giornalisti e redazioni. Mi chiede perché uso etichette come “giornalismo spazzatura”. Ecco perché. Perché chi copia e plagia, e chi risponde così ipocritamente a chi lo rimprovera, e se ne fotte della deontologia, va sputtanato pubblicamente.
Questo è il giornalismo di Repubblica. Questi sono quelli (FIEG) che si lamentano che Telegram ruba gli articoli. Questi sono quelli (Ordine Nazional dei Giornalisti) che vorrebbero mettere i bollini alle notizie.
2020/04/21 13:10
L’articolo su Repubblica, quello del quale Mastrogiacomo non capiva il problema, è stato aggiornato estesamente per citare la fonte. Ecco a confronto la versione originale e la versione attuale, priva di qualunque scusa o indicazione di rettifica, con buona pace della deontologia. Ho evidenziato in grassetto le modifiche principali.
Versione originale | Versione attuale |
Un drappo, una maglietta, una felpa, una federa. Tutti rossi. Punteggiano le facciate dei palazzi di Soacha, periferia povera di Bogotá. Sono i nuovi segnali di soccorso: uomini e donne, giovani coppie, intere famiglie da tre settimane tappate in casa per arginare il coronavirus e che adesso hanno finito i soldi, non possono neanche più comprare da mangiare. Qui vivono 50mila persone, gente costretta a lasciare paesi e campi, fattorie e animali, vittime di un esodo forzato, ex guerriglieri che da tre anni cercano di ricostruirsi una vita, venezuelani fuggiti da una catastrofe sopportati a fatica da un popolo che sopravvive con difficoltà. E che adesso, in piena emergenza Covid 19, costretti a stare a casa, con le strade vuote, senza più possibilità di vendere le cose che hanno sempre venduto, di svolgere quei lavori informali, senza alcuna protezione, assistenza, cure sanitarie, patiscono la fame. Accade nei quartieri popolari della capitale. | Un drappo, una maglietta, una felpa, una federa. Tutti rossi. Punteggiano le facciate dei palazzi di Soacha, periferia povera di Bogotá. Sono i nuovi segnali di soccorso: uomini e donne, giovani coppie, intere famiglie da tre settimane tappate in casa per arginare il coronavirus e che adesso hanno finito i soldi, non possono neanche più comprare da mangiare. Qui vivono 50 mila persone, gente costretta a lasciare paesi e campi, fattorie e animali, vittime di un esodo forzato, ex guerriglieri che da tre anni cercano di ricostruirsi una vita, venezuelani fuggiti da una catastrofe sopportati a fatica da un popolo che sopravvive con difficoltà. E che adesso, in piena emergenza Covid 19, costretti a stare a casa, con le strade vuote, senza più possibilità di vendere le cose che hanno sempre venduto, di svolgere quei lavori informali, senza alcuna protezione, assistenza, cure sanitarie, patiscono la fame. Accade nei quartieri popolari della capitale. |
Ma questo simbolo di una crisi che oltre a essere sanitaria colpisce la parte più debole dei debole dei colombiani, l’esercito degli ambulanti, degli invisibili, gli ultimi degli ultimi, il 45 per cento della popolazione, si sia trasformato in un simbolo di lotta e di protesta. Nelle comunas alte di Medellín, dove dai balconi si battono i mestoli contro pentole e padelle, nelle calde pianure della Magdalena, nord del Paese, nelle lande paludose di Ciudad Bolívar, periferia estrema di Bogotá, nel quartiere di Bosa Porvenir, sempre ai margini della capitale, le stoffe rosse sono il nuovo Sos lanciato da chi cerca di salvarsi dalla pandemia ma rischia di morire di fame. | La giornalista di El País, Catalina Oquendo, ha raccolto questo grido di aiuto e con notevole coraggio visto i rischi del coronavirus, riuscendo a ottenere un permesso per uscire di casa assieme a un fotografo, si è recata sul posto e ha confermato quello che le voci raccontavano in una Bogotà blindata. Nella sua corrispondenza racconta come questo aspetto nascosto di una crisi che oltre a essere sanitaria colpisce la parte più debole dei colombiani, l’esercito degli ambulanti, degli invisibili, gli ultimi degli ultimi, il 45 per cento della popolazione, si sia trasformato in un simbolo di lotta e di protesta. “Nelle comunas alte di Medellín, dove dai balconi si battono i mestoli contro pentole e padelle, nelle calde pianure della Magdalena, nord del Paese, nelle lande paludose di Ciudad Bolívar, periferia estrema di Bogotá, nel quartiere di Bosa Porvenir, sempre ai margini della capitale”, osserva la collega, “le stoffe rosse sono il nuovo Sos lanciato da chi cerca di salvarsi dalla pandemia ma rischia di morire di fame”. |
Perfino i lenzuoli e le federe bianche appese alle finestre ad asciugare sono state macchiate con vernice rossa in un sentimento di solidarietà collettiva che avvolge tutta la Colombia. “Siamo una famiglia di nove persone e non appariamo in alcuna lista del governo di sostentamento. Ho una moglie incinta e due bambini ma in casa non ho nulla da mangiare”, spiega un uomo con indosso una camicetta rossa e bianca a una cronista attirata sul posto dalle voci che si rincorrono in una città spettrale. “Per questo adesso sono qui”. | Perfino le lenzuola e le federe bianche appese alle finestre ad asciugare sono stati macchiati con vernice rossa in un sentimento di solidarietà collettiva che avvolge tutta la Colombia. “Siamo una famiglia di nove persone e non appariamo in alcuna lista del governo di sostentamento. Ho una moglie incinta e due bambini ma in casa non ho nulla da mangiare”, spiega a Catalina Oquendo un uomo con indosso una camicetta rossa e bianca, “per questo adesso sono qui”. |
La chiamano la “strategia del drappo rosso”. È stata adottata anche da alcune amministrazioni. Il municipio di Envigado, il più ricco della Colombia, ha deciso di appendere una bandiera rossa all’ingresso del palazzo comunale. “Abbiamo fatto nostra questa iniziativa popolare”, dice il sindaco Braulio Espinosa, “per chiedere un aiuto più concreto e meno burocratico al governo nazionale e agli imprenditori”. | La chiamano la “strategia del drappo rosso”. È stata adottata anche da alcune amministrazioni. Il municipio di Envigado, il più ricco della Colombia, ha deciso di appendere una bandiera rossa all’ingresso del palazzo comunale. “Abbiamo fatto nostra questa iniziativa popolare”, conferma sempre alla cronista di El País il sindaco Braulio Espinosa, “per chiedere un aiuto più concreto e meno burocratico al governo nazionale e agli imprenditori”. |
Chi non ha più nulla in frigo e nelle dispense alla fine scende per strada. Agita le bandiere rosse, indossa capi rossi, si copre viso e naso con pezzi di stoffa anche questi rossi. Protestano e alzano cartelli. Tutti sanno cosa chiedono. Qualcuno si è organizzato per raccogliere un po’ di cibo. Altri girano per le case e recuperano quello che alcuni sono disposti a offrire. Poi passano davanti alle porte delle case che hanno lanciato la richiesta di aiuto e lasciano sull’uscio qualcosa che li sfamerà. Tutti conoscono questo popolo di lavoratori informali che lo Stato non ha mai registrato. Gente venuta dalle regioni interne, costrette a fuggire per gli scontri tra bande e guerriglia, approdata in una città dove ricchi e poveri, poveri e poverissimi, si mischiano in un circuito fatto di piccoli commerci, lavori saltuari e improvvisati. Una catena infinita che consente di sopravvivere adesso spezzata da un virus che minaccia di ucciderti anche di fame. | Chi non ha più nulla in frigo e nelle dispense alla fine scende per strada. Agita le bandiere rosse, indossa capi rossi, si copre viso e naso con pezzi di stoffa anche questi rossi. Protestano e alzano cartelli. Tutti sanno cosa chiedono. Qualcuno si è organizzato per raccogliere un po’ di cibo. Altri girano per le case e recuperano quello che alcuni sono disposti a offrire. Poi passano davanti alle porte delle case che hanno lanciato la richiesta di aiuto e lasciano sull’uscio qualcosa che li sfamerà. Tutti conoscono questo popolo di lavoratori informali che lo Stato non ha mai registrato. Gente venuta dalle regioni interne, costrette a fuggire per gli scontri tra bande e guerriglia, approdata in una città dove ricchi e poveri, poveri e poverissimi, si mischiano in un circuito fatto di piccoli commerci, lavori saltuari e improvvisati. Una catena infinita che consente di sopravvivere adesso spezzata da un virus che minaccia di ucciderti anche di fame. |
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Truffatori speculano sulle app di tracciamento anti-pandemia
April 21, 2020 4:20Cory Doctorow ha segnalato che i criminali informatici stanno inviando falsi messaggi che fingono di essere allarmi di tracciamento anti-pandemia, dicono alle vittime che sono entrate in contatto con una persona infetta e invitano a cliccare su un link che li porta a del malware:
Phishers are sending out fake contact-tracing messages warning people they've come into contact with infectious individuals and asking them to click a link to a malware dropper.https://t.co/Xd4Rz4FY9q— Covered Dish People (@doctorow) April 20, 2020
1/ pic.twitter.com/y7zhm3bGsM
Le sue osservazioni nel thread sono molto interessanti:
It's both totally predictable and extremely clever. We're primed to expect these messages, we don't know what they're supposed to look like, and finding out what this message says is really urgent. It's an ideal moment to be sending out this kind of thing if you're a scumbag. It's easy to feel invulnerable to phishing, but phishing is so persistent that the moment you are vulnerable, there will almost certainly be a phishing scam waiting to pounce (link al suo articolo Persistence Pays Parasites).
Io ho commentato causticamente ""Un'app per il tracciamento dei contatti? Cosa MAI potrebbe andare storto? Chi MAI vuoi che se ne approfitti?" :-)" ed è nato un equivoco che vorrei chiarire, visto che c’è chi è arrivato a dire che il mio commento è “ingenuo o disonesto”.
Non sto dando colpa alle app di tracciamento in sé, ma al modo in cui vengono proposte e gestite.
Chiunque lavori nella sicurezza (non solo informatica), a contatto con gli utenti, sa che ogni volta che un comportamento nuovo viene imposto tramite l'emotività, qualcuno ne approfitta. Lo schema di (in)sicurezza è classico: si crea un'esigenza nuova fortemente emotiva, con le migliori intenzioni, e poi arriva puntuale chi specula su questa esigenza. Chi crea queste esigenze dovrebbe saperlo e tenerne conto.
Per esempio, chi fa raccolte fondi per beneficenza si trova costretto a mettere in guardia i partecipanti, avvisandoli di diffidare degli impostori. La polizia avverte di non aprire a sconosciuti che dicono di essere la polizia. Quando le banche introducono app di home banking, avvisano gli utenti che nessuno deve chiedere loro codici, password o PIN. Eccetera.
Sapendo che i criminali useranno ogni appiglio emotivo per le loro trappole, una buona prassi di sicurezza è non creare appigli emotivi inutili. Esempio: un'azienda mette un accesso controllato con password ai PC dei dipendenti. "Per sicurezza", l'accesso ha un timer di 30 secondi entro i quali va digitata la password, così non può essere lasciato incustodito. Errore gravissimo, perché il tempo troppo breve crea stress all'utente, che si angoscia e quindi non si accorge se l'accesso è stato sostituito da un malware rubapassword: una schermata molto simile a quella legittima, ma non proprio identica. Lo facevo io (il rubapassword) in un'azienda dove ero aiuto sysadmin, per dimostrare il concetto.
Certo, l'errore è formalmente dell'utente, ma è complice anche di chi ha creato la condizione che incoraggia decisioni basate sull’ansia invece che sulla serena razionalità e valutazione della situazione.
Le app di tracciamento anti-Covid-19 sono un classico esempio di situazione fortemente emotiva. Chi le organizza dovrebbe rendersi conto che questa emotività verrà sfruttata da malintenzionati e predisporre soluzioni che riducano il rischio.
Per esempio, le app andrebbero introdotte con la chiara avvertenza "l'app si scarica solo dal sito ufficiale; l'app NON manderà mai SMS di allarme; diffidate di qualunque avviso di natura differente." Invece questa comunicazione non è stata fatta. Anzi, si è fatto solo un gran casino e non si capisce più niente.
Non solo: le situazioni emotive andrebbero introdotte solo se dimostrabilmente vantaggioso o necessario, e qui manca la dimostrazione che l’app funzioni e quindi sia realmente vantaggiosa e/o necessaria. È come offrire un’app di home banking che poi all’atto pratico ti obbliga comunque ad andare in banca di persona.
Spero di aver chiarito il concetto. Se vi sembra ancora ingenuo o disonesto, vi consiglio di cliccare qui per saperne di più e per avere una demo di cosa intendo per provocare reazioni emotive: non usate Internet Explorer per cliccare sul link.
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Video: sono stato ospite di Giorgio Taverniti per parlare di fake news e non solo
April 20, 2020 18:57Poco fa ho partecipato alla diretta streaming di Giorgio Taverniti sul tema delle notizie false, della disinformazione e del giornalismo e del tracciamento dei contatti tramite app. Se vi interessa, la registrazione è qui:
A circa 14:20 fa un cameo il mio gatto Ombra. La ricerca sulle reali prove (o assenza di prove) di efficacia delle app di tracciamento che ho citato è questa, dell'Ada Lovelace Institute.
Repubblica copia da El País e se ne strafrega delle proteste della giornalista plagiata
April 20, 2020 14:50La giornalista Catalina Oquendo di El País ha pubblicato questo articolo (copia su Archive.org) il 18 aprile scorso. Daniele Mastrogiacomo, su Repubblica, ha pubblicato lo stesso giorno questo articolo. Parlano entrambi del dramma della fame nella periferia di Bogotà a causa della pandemia. Usando, stranamente, le stesse cifre e persino le stesse dichiarazioni.Questo, per esempio, è un brano dell’articolo di Oquendo:
“Somos una familia de nueve personas y no estamos en ningún listado del Gobierno, tengo una mujer embarazada y dos niños más en la casa y no tengo nada para darles de comer. Por eso estoy acá”, decía una mujer mientras sacudía una camisa roja de puntos blancos.
Questo è invece un brano dell’articolo di Mastrogiacomo:
“Siamo una famiglia di nove persone e non appariamo in alcuna lista del governo di sostentamento. Ho una moglie incinta e due bambini ma in casa non ho nulla da mangiare”, spiega un uomo con indosso una camicetta rossa e bianca a una cronista attirata sul posto dalle voci che si rincorrono in una città spettrale. “Per questo adesso sono qui”.
Notate qualche somiglianza? Chi sarà mai la “cronista attirata sul posto” che Mastrogiacomo non nomina? E chi saranno mai queste persone che cambiano sesso ma dicono entrambe esattamente la stessa cosa indossando tutt’e due la stessa camicetta rossa e bianca?
Oquendo ha contestato pubblicamente il plagio:
Signori @repubblica, vi chiedo di rimuovere immediatamente il testo firmato da @mas54 poiché si tratta di un plagio di un testo del quale sono io l’autrice, e che é stato pubblicato sabato sul giornale @el_pais. Il suo corrispondente ha copiato e il mio articolo alla lettera: pic.twitter.com/e3zWLcHjtf— Catalina Oquendo (@cataoquendo) April 19, 2020
La risposta di Mastrogiacomo: si è “ispirato”, non capisce il problema.
Ojo a la respuesta de @mas54 que no entiende el problema 🤦🏽♀️ pic.twitter.com/VGAqkMItR8— Catalina Oquendo (@cataoquendo) April 19, 2020
Screenshot:
In traduzione (correggetemi se ho sbagliato qualcosa): “Salve Catalina, [scusami??] se mi sono ispirato al tuo articolo, l'ho trovato pieno di dettagli importanti in un momento così difficile che coinvolge tutto il mondo. Non capisco il problema. Come vedi l'ho scritto in italiano basandomi sulle informazioni che tu hai riportato dalla Colombia, dove tu vivi e io no. Succede la stessa cosa con i miei articoli, più volte.”
Da Mastrogiacomo e Repubblica nessuna attribuzione, nessuna citazione della fonte, nessun link all’articolo di Oquendo.
Poi la gente mi chiede perché non faccio il buonino e contatto privatamente giornalisti e redazioni. Mi chiede perché uso etichette come “giornalismo spazzatura”. Ecco perché. Perché chi copia e plagia, e chi risponde così ipocritamente a chi lo rimprovera, e se ne fotte della deontologia, va sputtanato pubblicamente.
Questo è il giornalismo di Repubblica. Questi sono quelli (FIEG) che si lamentano che Telegram ruba gli articoli. Questi sono quelli (Ordine Nazional dei Giornalisti) che vorrebbero mettere i bollini alle notizie.
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.
Video: Conferenza sui complottismi lunari a Cadro, ottobre 2019
April 19, 2020 12:31A ottobre scorso ho avuto il piacere di tenere all’Ideatorio di Cadro una conferenza sul complottismo intorno alle missioni lunari, come spunto per parlare di queste avventure rimaste ancora ineguagliate dopo cinquant’anni. Il video è ora disponibile, per cui se vi interessa o se semplicemente volete rivedere qualcosa dai tempi in cui ci si poteva ancora incontrare in gruppo faccia a faccia, buona visione!