FAQ: Come mai rifiuto nuove collaborazioni con riviste italiane?
февраля 21, 2014 3:27 - no comments yet![]() |
(sì, è Hugh Laurie, meglio noto come House) |
Frequentemente qualcuno mi propone di scrivere per riviste italiane e io, eterno ottimista, accetto. Ma stavolta mi sono rotto. Lo dico qui, chiaro e tondo: niente di personale, ma scordatevelo. Per sempre. Non accetterò nuove proposte da editori o testate italiane. La ragione? La burocrazia di queste testate e del Fisco italiano è talmente ottusa e labirintica che il tempo che spenderei per farmi pagare mi costerebbe di più di quello che mi pagherebbero. Per cui grazie, ma no, grazie.
Oggi mi è capitato l'ennesimo esempio concreto di quest'assurdità. Circa sei mesi fa ho scritto, su invito, un articolo per una Nota Rivista Italiana. Doveva essere l'inizio di una collaborazione. Ma dopo sei mesi la Nota Rivista non solo non mi ha ancora pagato, ma non ha neanche risolto le questioni burocratiche e fiscali di un pagamento dall'Italia alla Svizzera (io abito a Lugano). Sembra che per tante aziende italiane pagare un fornitore fuori dalla penisola sia per definizione una cosa losca e sospetta, mai vista prima, un arcano irrisolvibile che comporta un interminabile rimpallo di modalità, responsabilità, ritardi e modulistica degni di una scena di Brazil. Europa unita? Semplificazione fiscale? Fatemi ridere. E non ditemi che è un problema dovuto al fatto che la Svizzera è in una lista nera e non è nell'Unione Europea: collaboro con clienti australiani che si accontentano di un singolo modulo spedito via fax e fanno il bonifico al volo.
Con grande pazienza mia moglie Elena, che cura la mia amministrazione e per questo (e non solo per questo) ha la mia venerazione incondizionata, ha speso giorni a informarsi presso le autorità fiscali svizzere, che hanno fornito gratuitamente tutto il necessario, prontamente e cortesemente, e a scrivere una mail dopo l'altra per cercare di far capire alla contabilità della Nota Rivista Italiana, con esempi pratici, che c'era una procedura alternativa, più semplice e snella, conforme alle leggi italiane, personalmente verificata e collaudata da anni con un'altra testata italiana (Le Scienze), che oltretutto non comportava per me ritenute a fondo perduto e mi permetteva di pagare le tasse a casa mia invece di affrontare il Balrog della fiscalità italiana. Macché: inamovibile come un fossile, la Nota Rivista Italiana ha voluto a tutti i costi mantenere il proprio iter preso di peso dalle pagine di Kafka e s'è pure lamentata che le stavamo facendo spendere tempo e denaro a disquisire con il suo fiscalista. Oh, scusate se volevamo offrirvi un sistema più efficiente e se non avevamo capito che invece il mio tempo e quello di mia moglie non valgono nulla.
Un semestre più tardi, cioè oggi, io e mia moglie ci siamo guardati in faccia e ci siamo resi conto che la procedura pretesa dalla Nota Rivista Italiana, in termini di ore di lavoro per svolgerla e procurarsi tutte le scartoffie borboniche necessarie, spedirle e poi inseguire il pagamento (a novanta giorni, oltre ai sei mesi già passati), ci era già costata più di quello che avremmo ricevuto come compenso (250 euro lordi). E che andando avanti avremmo speso ancora di più. Oltre ai travasi di bile, difficili da quantificare monetariamente ma assai tangibili. Non è la prima volta che mi capita un pantano fiscal-contabile del genere con testate italiane (un giorno vi racconterò delle proposte demenziali di Note Emittenti Televisive Italiane), ma stavolta è stato superato il limite del ridicolo.
Sicché abbiamo deciso di contenere il danno e di regalare l'articolo. Non vogliamo più spendere un altro nanosecondo a rincorrere, sollecitare, spiegare, descrivere, certificare l'inutile, dimostrare di non essere sporchi evasori fiscali fino a prova contraria. Non per 250 euro lordi. Mi costa meno regalare quel lavoro, con tanti cari saluti alla Nota Rivista Italiana e alla burocrazia e ai burocrati ottusi di un paese che sono sempre più contento di aver dovuto lasciare per poter lavorare onestamente. Pubblico qui queste righe così la prossima volta che qualcuno mi chiederà una collaborazione dall'Italia gli linkerò semplicemente queste righe amare. Scusate lo sfogo.
Per il Corriere, l’astronave di Star Trek si chiama “L’Impresa”
февраля 20, 2014 23:10 - no comments yetQuesto articolo vi arriva grazie alla gentile donazione di “fede.berto” e “luca.berra*” e alla segnalazione di @musicamante.

Come è possibile che qualcuno scriva sul Corriere (non sul blogghettino di un adolescente: sul Corriere della Sera) in modo così caprino, senza chiedersi che diavolo è “L'Impresa” in Star Trek? Come è concepibile che qualcuno al Corriere dia l'incarico di scrivere di spettacolo a qualcuno che non sa che l'astronave protagonista di innumerevoli puntate di Star Trek si chiama Enterprise e non L'Impresa?
Semplice: date un'occhiata al resto dell'articolo (se così lo si può chiamare senza insultare generazioni di bravi giornalisti) e notate un'altra frase da incorniciare: “Paul McCartney et Ringo Starr, Beyoncé e Jay-Z, nomi noti in tutto il mondo, hanno ballato e applaudito i Daft Punk francesi.”
I “Daft Punk francesi”? Per distinguerli da quelli tedeschi? Dai Daft Punk spagnoli? Già questo insospettisce sulla natura dell'articolo, ma la chicca rivelatrice è quell'“et” così dannatamente, stranamente francese, che puzza come un Camembert nascosto nelle mutande di un seminarista in digiuno. Puzza di testo copiato, incollato e tradotto senza neanche pensare a quello che si sta scopiazzando.

Certo, il Corriere dice che Paris-Match ha pubblicato un articolo sui Daft Punk. Ma non dichiara di aver copiato quell'articolo pari pari, traducendolo oltretutto da cani. Così da cani che non solo ci sono le perle che ho già segnalato, ma secondo il Corriere i Daft Punk hanno anche “una casa comune” che sta “in un bosco con piscina”. La frase originale: “une demeure commune, en bois, avec piscine”. Piangete pure. Se non volete farvi sentire, andate in un bosco. Ma mi raccomando, trovatene uno di quelli con piscina.
Confrontate il testo di Paris-Match con quello del Corriere: il giornale italiano non ha neanche fatto lo sforzo di metterci qualcosina di suo (per esempio la grammatica italiana) prima di schiaffarci sopra un bel “RIPRODUZIONE RISERVATA”. Che alle mie orecchie suona molto come un “Noi possiamo copiare il lavoro altrui, compreso quello dei colleghi, tradurlo con i piedi e spacciarlo per nostro; ma tu non ti permettere di copiare il nostro, pezzente”.
Meno male che in Italia c'è l'Ordine dei Giornalisti a vigilare sulla qualità, l'integrità e la correttezza dell'operato delle testate.
Complimenti, Corriere, bell'esempio da mostrare alle giovani generazioni di aspiranti giornalisti che ancora vorrebbero lavorare onestamente e fanno acrobazie per superare gli esami e conquistare l'agognata tessera del club esclusivo. Complimenti vivissimi. Fare i giornalisti seri, anche nelle grandi testate blasonate, sta diventando veramente un'Enterprise.
FAQ: Come mai non collaboro con riviste italiane?
февраля 20, 2014 15:03 - no comments yetFrequentemente qualcuno mi propone di scrivere per riviste italiane e io, eterno ottimista, accetto. Ma stavolta mi sono rotto. Lo dico qui, chiaro e tondo: niente di personale, ma scordatevelo. Per sempre. Non accetterò nuove proposte da editori o testate italiane. La ragione? La burocrazia di queste testate e del Fisco italiano è talmente ottusa e labirintica che il tempo che spenderei per farmi pagare mi costerebbe di più di quello che mi pagherebbero. Per cui grazie, ma no, grazie.Oggi mi è capitato l'ennesimo esempio concreto di quest'assurdità. Circa sei mesi fa ho scritto, su invito, un articolo per una Nota Rivista Italiana. Doveva essere l'inizio di una collaborazione. Ma dopo sei mesi la Nota Rivista non solo non mi ha ancora pagato, ma non ha neanche risolto le questioni burocratiche e fiscali di un pagamento dall'Italia alla Svizzera (io abito a Lugano). Sembra che per tante aziende italiane pagare un fornitore fuori dalla penisola sia una cosa mai vista prima, un arcano irrisolvibile che comporta un interminabile rimpallo di modalità, responsabilità, ritardi e modulistica degni di una scena di Brazil. Europa unita? Semplificazione fiscale? Fatemi ridere. E non ditemi che è un problema dovuto al fatto che la Svizzera non è nell'Unione Europea: collaboro con clienti australiani che si accontentano di un singolo modulo spedito via fax e fanno il bonifico al volo.
Con grande pazienza mia moglie Elena, che cura la mia amministrazione e per questo (e non solo per questo) ha la mia venerazione incondizionata, ha speso giorni a informarsi con le autorità fiscali svizzere, che hanno fornito gratuitamente tutto il necessario, prontamente e cortesemente, e a scrivere una mail dopo l'altra per cercare di far capire alla contabilità della Nota Rivista Italiana, con esempi pratici, che c'era una procedura alternativa, più semplice e snella, conforme alle leggi italiane, personalmente verificata e collaudata da anni, che oltretutto non comportava per me ritenute a fondo perduto. Macché: inamovibile come un fossile, la Nota Rivista Italiana ha voluto a tutti i costi mantenere il proprio iter preso di peso dalle pagine di Kafka e s'è pure lamentata che le stavamo facendo spendere tempo e denaro a disquisire con il suo fiscalista. Oh, scusate se volevamo offrirvi un sistema più efficiente e se non avevamo capito che invece il mio tempo e quello di mia moglie non valgono nulla.
Un semestre più tardi, cioè oggi, io e mia moglie ci siamo guardati in faccia e ci siamo resi conto che la procedura pretesa dalla Nota Rivista Italiana, in termini di ore di lavoro per svolgerla e procurarsi tutte le scartoffie borboniche necessarie, spedirle, inseguire il pagamento (a novanta giorni, oltre ai sei mesi già passati), ci era già costata più di quello che avremmo ricevuto come compenso (250 euro). E che andando avanti avremmo speso ancora di più. Oltre ai travasi di bile, difficili da quantificare monetariamente ma assai tangibili. Non è la prima volta che mi capita un pantano fiscal-contabile del genere con testate italiane (un giorno vi racconterò delle proposte demenziali di Note Emittenti Televisive Italiane), ma stavolta è stato superato il limite del ridicolo.
Sicché abbiamo deciso di contenere il danno e di regalare l'articolo. Non vogliamo più spendere un altro nanosecondo a rincorrere, sollecitare, spiegare, descrivere, certificare l'inutile. Non per 250 euro. Con tanti cari saluti alla Nota Rivista Italiana e alla burocrazia e ai burocrati ottusi di un paese che sono sempre più contento di aver dovuto lasciare per poter lavorare onestamente. Pubblico queste righe così la prossima volta che qualcuno mi chiede una collaborazione gli linkerò semplicemente queste righe amare. Scusate lo sfogo.
Facebook compra WhatsApp. O meglio, compra 450 milioni di rubriche di telefonini
февраля 19, 2014 20:25 - no comments yetPoco fa è esplosa a sorpresa la notizia che Facebook ha acquistato WhatsApp per un totale di 19 miliardi di dollari (di cui 4 in contanti e il resto in azioni).
Così ora Facebook possiede Instagram e anche WhatsApp, due dei suoi principali concorrenti in termini di popolarità (specialmente fra i giovanissimi), e incamera nei propri immensi sistemi di schedatura i dati di 450 milioni di persone. L'impero si espande e l'Internet libera soffoca.
Sto pensando a tutti quelli che erano riluttanti a dare il proprio numero di telefonino a Facebook (per esempio per l'autenticazione a due fattori che ridurrebbe drasticamente i furti di account) perché temevano che ne abusasse, e così avevano scelto di usare WhatsApp. Che ovviamente, quando lo si installa, chiede di leggersi tutta la rubrica dei contatti memorizzati nel telefonino (altrimenti, dice lui, non può funzionare). Ora che WhatsApp è di Facebook, che fine faranno quelle rubriche?
Felice risveglio.
Agende Google condivise in iOS7
февраля 16, 2014 12:42 - no comments yetHo comprato tempo fa un iPad 2 a prezzo stracciato (250 franchi, ossia circa 200 euro, nuovo) e sto verificando quanto la presunta e vantata intuitività d'uso dell'iPad sia puramente superficiale: vera finché fai le cose semplici, ma illusoria appena esci dal sentiero stretto del Pensiero Unico di Apple.L'iPad 2 è un bell'oggetto, intendiamoci, vale certamente quello che l'ho pagato come accessorio per alcuni usi specifici ed è più che adeguato come sostituto del computer per l'utente non informatico, ma per me non vale il suo prezzo normale. A mio avviso, il concetto generale di tablet è troppo limitato come interfaccia (se avete dubbi in proposito, fate tre o quattro copia e incolla di testo con un tablet e poi ne riparliamo) e un dispositivo che non mi espone il suo filesystem, come fanno i tablet Apple, è per me troppo asfissiante. Ma va a gusti e non voglio fare polemica: siccome so che qualcuno mi chiederà che ci faccio io con un iPad e che ne penso, lo scrivo direttamente qui per prevenire la domanda. Fine del pistolotto.
Io sto usando l'iPad principalmente come quarto schermo (ho tre monitor, ma lo spazio su schermo non basta mai), usando la culla Apple che lo tiene quasi verticale, e durante l'uso in questa modalità ho incontrato un problema la cui soluzione non è stata affatto intuitiva per le mie limitate facoltà mentali, per cui la segnalo qui caso mai servisse.
Ciascun membro della Famiglia del Maniero Digitale ha la propria agenda su Google Calendar e la condivide (in sola lettura o in lettura/scrittura) con gli altri. Ma Calendario (l'app di iOS) non vedeva i calendari condivisi. Vedeva subito i miei (ne ho più di uno, oltre a quello pubblico), ma non quelli degli altri. L'interfaccia dell'iPad non mi dava alcuna indicazione di come risolvere il problema. Andare in Calendario - Calendari - Modifica non mi portava a nulla di utile.
Soluzione (trovata qui): andare a https://www.google.com/calendar/syncselect e selezionare i calendari altrui da includere in Calendario. Problema risolto.