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Disinformatico

September 4, 2012 21:00 , par profy Giac ;-) - | No one following this article yet.
Blog di "Il Disinformatico"

Cory Doctorow: Zuckerberg e l’incoscienza morale

July 4, 2018 16:57, par Il Disinformatico

Cory Doctorow è consulente speciale della Electronic Frontier Foundation, visiting professor di informatica alla Open University e un Research Affiliate dell’MIT Media Lab; ha scritto vari libri, fra cui Walkaway, Little Brothere e Information Doesn’t Want to Be Free.

Ho già tradotto tempo fa un suo saggio sulla guerra in atto contro il computer generico, che a distanza di quattro anni si sta avverando in modo preoccupante. Pochi giorni fa Doctorow ha pubblicato sulla rivista Locus l’articolo Zuck’s Empire of Oily Rags (“Zuckerberg e il suo impero di stracci imbevuti di petrolio”), che traduco qui sotto perché credo che sia altrettanto importante, illuminante e lungimirante.

This translation is free to use. No infringement on Cory Doctorow’s rights is intended. He has been asked for permission and notified of its publishing.


Per vent’anni i difensori della privacy hanno suonato l’allarme a proposito della sorveglianza online commerciale e del modo in cui le aziende accumulano dossier dettagliatissimi su di noi per aiutare quelli del marketing a mandarci pubblicità mirate. Questo allarme è rimasto inascoltato: la maggior parte della gente era poco convinta che la pubblicità mirata fosse efficace, perché le pubblicità che ricevevamo erano raramente convincenti e quando funzionavano era di solito perché i pubblicitari avevano capito cosa volevamo e si offrivano di vendercelo. La gente che aveva cercato divani vedeva pubblicità di divani, e se comprava un divano le pubblicità continuavano per un po’, perché i sistemi di personalizzazione pubblicitaria non erano abbastanza intelligenti da capire che i loro servizi non erano più richiesti, quindi che male c’era? Il caso peggiore era che i pubblicitari avrebbero sprecato il proprio denaro in pubblicità inefficaci; il caso migliore era che fare acquisti sarebbe diventato più conveniente, perché gli algoritmi predittivi ci avrebbero reso più facile trovare le cose che stavamo per cercare.

I difensori della privacy hanno cercato di spiegare che la persuasione era solo la punta dell’iceberg. I database commerciali erano bersagli ghiotti per le spie e per i ladri d’identità, per non parlare dei ricatti alle persone la cui scia di dati rivelava comportamenti sessuali, credenze religiose od opinioni politiche socialmente rischiose.

Ora stiamo vivendo il contraccolpo tecnologico e finalmente la gente sta tornando dai difensori della privacy a dire che avevamo ragione da sempre. Data una sorveglianza sufficiente, le aziende sono in grado di venderci qualunque cosa: Brexit, Trump, la pulizia etnica in Myanmar e le candidature elettorali di successo di bastardi assoluti come Erdogan in Turchia e Orban in Ungheria.

È molto bello che il messaggio che la privacy è importante stia finalmente raggiungendo un pubblico più ampio, ed è emozionante pensare che ci stiamo avvicinando a un punto di svolta per l’indifferenza verso la privacy e la sorveglianza.

Ma anche se il riconoscimento del problema della Big Tech è benvenuto, temo che la diagnosi sia sbagliata.

Il guaio è che stiamo confondendo la persuasione automatizzata con il targeting automatizzato. Le bugie risibili su Brexit, stupratori messicani e leggi della Sharia striscianti non hanno convinto persone altrimenti ragionevoli che l’alto sta in basso e che il cielo è verde. Semmai i sofisticati sistemi di targeting disponibili tramite Facebook, Google, Twitter e le altre piattaforme pubblicitarie della Big Tech hanno reso facile trovare le persone razziste, xenofobe, spaventate, arrabbiate che volevano credere che gli stranieri stavano distruggendo il loro paese mentre venivano finanziati da George Soros.

Ricordiamoci che le elezioni di solito si decidono sul filo di lana, anche per i politici che hanno mantenuto le proprie cariche per decenni con margini esigui. il 60% dei votanti è una vittoria eccellente. Ricordiamoci, inoltre, che il vincitore nella maggior parte delle elezioni è il partito degli astenuti, perché moltissimi elettori non votano. Se si riesce a motivare anche solo una piccola quantità di questi non votanti in modo che vadano a votare, anche elezioni sicure possono diventare incerte. Se i margini sono stretti, avere un modo economico per raggiungere tutti i membri latenti del Ku Klux Klan di un distretto e informarli con discrezione che Donald J. Trump è l’uomo che fa per loro stravolge tutto.

Cambridge Analytica è come un mentalista da palcoscenico: fa qualcosa che richiede molto lavoro e finge che sia qualcosa di soprannaturale. Un mentalista da palcoscenico si addestra per anni a memorizzare rapidamente un mazzo di carte e poi dice che può indovinare la tua carta grazie ai suoi poteri da sensitivo. Non assisterai mai ai suoi esercizi preparatori di memorizzazione, tediosi e per nulla affascinanti. Cambridge Analytica usa Facebook per trovare i cretini razzisti e per dire loro di votare per Trump, e poi dichiara di aver scoperto una tecnica mistica per convincere persone altrimenti ragionevoli a votare per dei maniaci.

Non voglio dire che la persuasione sia impossibile. Le campagne automatizzate di disinformazione possono inondare il canale di resoconti contraddittori e apparentemente plausibili della situazione attuale, rendendo difficile per un osservatore comune dare un senso agli eventi. La ripetizione a lungo termine di una narrativa coerente, anche una palesemente insensata, può creare dubbi e trovare seguaci: pensate ai negazionisti dei cambiamenti climatici o ai complottismi su George Soros o al movimento antivaccinista.

Ma questi sono processi lunghi e lenti, che producono piccoli cambiamenti nell’opinione pubblica nel corso di anni, e funzionano meglio quando ci sono altre condizioni che li sostengono: per esempio i movimenti fascisti, xenofobi e nativisti che sono le ancelle dell’austerità e delle privazioni. Quando sei a corto di tutto da tanto tempo, sei pronto a recepire i messaggi che incolpano i tuoi vicini per averti privato delle tue legittime spettanze.

Ma non abbiamo bisogno della sorveglianza commerciale per creare le folle inferocite: Goebbels e Mao ci sono riusciti benissimo usando tecniche analogiche.

Facebook non è un raggio per il controllo mentale. È uno strumento per trovare gente che ha caratteristiche insolite, difficili da localizzare, non importa se queste caratteristiche sono “persona che sta pensando di comprare un frigorifero nuovo”, “persona che ha la stessa malattia rara che hai tu” o “persona che potrebbe partecipare a un pogrom genocida”, e per poi offrire a queste persone un bel frigo doppio o delle fiaccole [tiki torches usate come simbolo dai razzisti americani] mentre si mostra loro una conferma sociale della desiderabilità di questo loro comportamento, sotto forma di altra gente (o bot) che sta facendo la stessa cosa, così si sentono parte di una folla.

Anche se i raggi per il controllo mentale restano fantascienza, Facebook e le altre piattaforme di sorveglianza commerciale sono comunque preoccupanti, e non solo perché consentono a persone con visioni del mondo estreme di trovare i propri simili. Raccogliere enormi dossier su ogni persona al mondo fa paura già di per sé. In Cambogia, il governo autocratico usa Facebook per identificare i dissidenti, arrestarli e torturarli; la US Customs and Border Protection [ente di protezione delle frontiere statunitensi] usa i social media per considerare colpevoli per prossimità coloro che visitano gli Stati Uniti e impedisce a questi visitatori di entrare nel paese sulla base delle loro amicizie, delle loro affiliazioni e dei loro interessi. Poi ci sono i ladri d’identità, i ricattatori e i truffatori, che usano i dati degli enti di valutazione del credito, i dati degli utenti che sono stati trafugati e disseminati e i social media per rovinare la vita della gente. E infine ci sono gli hacker, che potenziano i propri attacchi di “social engineering” rastrellando informazioni personali per creare impostori convincenti che ingannano i loro bersagli e li inducono a rivelare informazioni che consentono loro di penetrare nelle reti sensibili.

Va di moda trattare le disfunzioni dei social media come il risultato dell’ingenuità dei primi tecnologi, che non sono stati capaci di prevedere questi esiti. La verità è che la capacità di costruire servizi simili a Facebook è piuttosto comune. Quella che è rara è l’incoscienza morale necessaria per farlo.

Il fatto è che è sempre stato evidente che spiando gli utenti di Internet si poteva migliorare l’efficacia delle pubblicità. Non tanto perché spiare ti offre intuizioni fantastiche di nuovi modi per convincere la gente a comprare prodotti, ma perché attesta quanto sia inefficace il marketing. Quando il tasso di successo atteso di una pubblicità è ben al di sotto dell’uno per cento, raddoppiare o triplicare la sua efficacia ti lascia comunque con un tasso di conversione inferiore all’un per cento.

Ma è stato altrettanto evidente fin dall’inizio che ammassare immensi dossier su chiunque usi Internet avrebbe potuto causare problemi reali a tutta la società; problemi infinitamente più grandi di quei minuscoli vantaggi che quei dossier avrebbero prodotto per i pubblicitari.

È come se Mark Zuckerberg si fosse svegliato una mattina e si fosse reso conto che gli stracci imbevuti di petrolio che stava accumulando nel suo garage si potevano raffinare per estrarne un greggio di bassissima qualità e di infimo valore. Nessuno sarebbe stato disposto a pagare granché per quel petrolio, ma gli stracci erano tanti, e finché nessuno gli chiedeva di risarcire gli inevitabili roghi che sarebbero avvenuti per il fatto di aver riempito i garage del mondo di stracci imbevuti di petrolio, Zuckerberg avrebbe potuto incassare un bel guadagno.

Dieci anni dopo il mondo è in fiamme e stiamo cercando di dire a Zuckerberg e ai suoi amici che dovranno risarcire i danni e installare gli impianti antincendio che chiunque si fosse messo ad immagazzinare stracci impregnati di petrolio avrebbe dovuto pagare sin dall’inizio, e l’industria della sorveglianza commerciale non ha assolutamente intenzione di considerare nulla del genere.

Il motivo è che i dossieri riguardanti miliardi di persone hanno il potere di causare danni quasi inimmaginabili, eppure ogni singolo dossier fa incassare solo qualche dollaro l’anno. Affinché la sorveglianza commerciale sia remunerativa, deve scaricare sulla società tutti i rischi legati alla sorveglianza di massa e privatizzare tutti i guadagni.

C’è una parola antica per questa cosa:. corruzione. Nei sistemi corrotti, pochi malfattori costano miliardi a tutti gli altri per incassare milioni. Il risparmio che può avere una fabbrica scaricando inquinanti nei bacini acquiferi è molto più piccolo dei costi che subiamo tutti per il fatto di essere avvelenati dagli scarichi. Ma i costi sono ampiamente distribuiti, mentre i guadagni sono fortemente concentrati, per cui chi trae beneficio dalla corruzione può sempre spendere più delle proprie vittime per rimanere impunito.

Facebook non ha un problema di controllo mentale: ha un problema di corruzione. Cambridge Analytica non ha convinto della gente di buon senso a diventare razzista: ha convinto i razzisti a diventare elettori.


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Repubblica e i lupi mutanti

July 4, 2018 4:43, par Il Disinformatico

"NON preoccupatevi, non sono fluorescenti. Hanno una coda, due occhi e due zampe come tutti gli altri". Micheal Byrne, ricercatore dell'Università del Missouri (Columbia), descrive così il branco dei lupi "mutanti".

Due zampe?


Su Livescience si trova la frase in inglese di Byrne: "No wolves there were glowing — they all have four legs, two eyes and one tail," Byrne said. FOUR LEGS
.
Credo che sia stato il traduttore, a tagliare due zampe al lupo.
— Hermes (@HermesAgostini) July 4, 2018
Link intenzionalmente alterato all’originale su Repubblica; copia su Archive.is.


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Per Davide Lizzani di Focus.it “mice” in inglese vuol dire “gatti”

July 4, 2018 4:02, par Il Disinformatico

“L'ultimo volo del Falcon 9 Block 4: ha portato sulla ISS un'AI e due gatti” è il titolo dell’articolo di Davide Lizzani su Focus.it (copia su Archive.is; link alterato all’originale):


Gatti? Andando a controllare le notizie sul recente lancio di rifornimento della Stazione Spaziale Internazionale salta fuori che a bordo c’erano due topi. In inglese “topi” si dice “mice”. Sarà mica che...? No, dai.


Lo svarione di Focus.it non è un errore del titolista: Davide Lizzani insiste a rifarlo nell’articolo, parlando di “una coppia di gatti geneticamente identici” e dicendo che ci sarà “una coppia di gatti a fare da (in)volontarie cavie per studiare i batteri intestinali in microgravità“. Anzi, Lizzani ci ricama pure sopra, facendo cenni storici ai gatti che hanno volato nello spazio: “Non è la prima volta che un gatto sperimenta l'assenza di peso: per i felini, la prima volta nello Spazio è stata nel 1963, in un test missilistico francese finito bene (per la gatta Félicette)”.


Astronauticast ha una spiegazione più misericordiosa per questo bislacco scambio fra felini e roditori:

@Focus_it davvero ci sono due gatti sulla ISS per far compagnia agli astronauti? 😯
Non è che vi riferite al Cloud Aerosol Transport System? Qui il cargo manifest di CRS-15 in caso di bisogno. https://t.co/lZLJL7RtVS
Oppure chiedete. @disinformatico @AstroSamantha https://t.co/8OmRFSLqY7
— AstronautiCAST (@AstronautiCAST) July 4, 2018


Per la scoperta dei “gatti” spaziali di Focus ringrazio @ruggio81.


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Mac, se un disco rigido rifiuta di farsi formattare

July 3, 2018 17:47, par Il Disinformatico

Scrivo qui questi appunti veloci perché potrebbero tornarmi utili e magari sono utili anche a voi se usate un Mac e stranamente non riuscite a formattare un disco rigido tramite Utility Disco.

Qualche giorno fa mi è capitato un caso curioso: un collega mi ha portato un disco da 1 TB formattato per Mac (HFS), che però i miei Mac si rifiutavano di leggere (compariva la finestra di notifica The disk you inserted was not readable by this computer) e persino di formattare (cliccando su Initialize nella suddetta finestra di notifica).



Il mio collega l’aveva formattato sotto Windows con un’utility di formattazione di cui non ricordo il nome. Ma l’Utility Disco del Mac non lo riconosceva affatto.

Ho risolto il problema usando la riga di comando, specificamente il comando diskutil.

Per prima cosa ho verificato i nomi assegnati ai dischi connessi al Mac, per evitare di formattare quello sbagliato (sarebbe stato sgradevole):

Orion:~ Paolo$ diskutil list
/dev/disk0 (internal, physical):
#: TYPE NAME SIZE IDENTIFIER
0: GUID_partition_scheme *121.3 GB disk0
1: EFI EFI 209.7 MB disk0s1
2: Apple_APFS Container disk1 121.1 GB disk0s2

/dev/disk1 (synthesized):
#: TYPE NAME SIZE IDENTIFIER
0: APFS Container Scheme - +121.1 GB disk1
Physical Store disk0s2
1: APFS Volume Macintosh HD 102.8 GB disk1s1
2: APFS Volume Preboot 23.2 MB disk1s2
3: APFS Volume Recovery 518.1 MB disk1s3
4: APFS Volume VM 3.2 GB disk1s4

/dev/disk2 (external, physical):
#: TYPE NAME SIZE IDENTIFIER
0: FDisk_partition_scheme *1.0 TB disk2
1: Windows_NTFS 1.0 TB disk2s1

/dev/disk3 (external, physical):
#: TYPE NAME SIZE IDENTIFIER
0: GUID_partition_scheme *3.0 TB disk3
1: EFI EFI 314.6 MB disk3s1
2: Apple_HFS G 3TB STARTREK 3.0 TB disk3s2

Il disco da 1 TB era quindi /dev/disk2. Notate che diskutil lo identificava come FDisk_partition_scheme (partizione) e Windows_NTFS (volume) nonostante fosse stato teoricamente formattato Mac, mentre Utility Disco non lo riconosceva affatto (eppure i Mac leggono gli NTFS).

A questo punto ho potuto dare con attenzione il comando di formattazione, scegliendo il formato HFS+ journaled e dando il nome Mac al disco rigido:

Orion:~ Paolo$ diskutil eraseDisk JHFS+ Mac /dev/disk2

Il Mac ha risposto così:

Started erase on disk2
Unmounting disk
Creating the partition map
Waiting for partitions to activate
Formatting disk2s2 as Mac OS Extended (Journaled) with name Mac
Initialized /dev/rdisk2s2 as a 931 GB case-insensitive HFS Plus volume with a 81920k journal
Mounting disk
Finished erase on disk2

Il disco è diventato perfettamente leggibile e scrivibile dal Mac.


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Presto, date a Enrico Franceschini di Repubblica una calcolatrice e un mappamondo

July 2, 2018 10:15, par Il Disinformatico

Oggi Repubblica ha pubblicato un articolo intitolato Volare tra Londra e New York in meno di un'ora: Airbus e Boeing si sfidano sull'aereo ipersonico, a firma di Enrico Franceschini, che colleziona una serie di bestialità fisiche, aeronautiche e geografiche davvero imbarazzanti.

Ne ho salvata una copia qui su Archive.is, così che possiate divertirvi a contare quante imbecillità sono state infilate nell’articolo senza regalare clic pubblicitari a Repubblica. Non è questione di opinioni, ma di semplice aritmetica e geografia.

Cominciamo subito bene: Attraversare l'Atlantico in 2 ore. Andare da Londra a New York in 60 minuti. Come si chiama l’oceano fra Londra e New York?

Poi c‘è questa: “cinque volte più veloce del suono (che è di 700 chilometri l'ora)”.

Queste sono quelle facili: divertitevi a trovare le altre. Io ne ho trovate altre due relativamente semplici, più un paio un po’ più concettuali.

Francamente non capisco che senso abbia leggere una testata giornalistica che pubblica notizie scritte con i piedi come questa e fa lavorare giornalisti che partoriscono articoli che paiono scritti nel sonno. Far scrivere un articolo di aeronautica a qualcuno che ne capisca qualcosa pare che non si usi più; figuriamoci gli altri argomenti.

Ringrazio Alberto Sottile che ha scovato questo allevamento di perle.


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