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Disinformatico

4 de Setembro de 2012, 21:00 , por profy Giac ;-) - | No one following this article yet.
Blog di "Il Disinformatico"

Torna l’allarme-bufala per il piombo nei rossetti

6 de Abril de 2013, 21:00, por Desconhecido - 0sem comentários ainda

Questo articolo vi arriva grazie alla gentile donazione di “distegi” e “valerauso”.

Screenshot dell'appello (2013)
Ha ripreso a circolare, grazie a pagine Facebook incaute come questa, un appello-bufala che ha già più di dieci anni sulle spalle (l'originale risale al 2003):

Ho fatto la prova del piombo contenuto su 3 rossetti e una matita,
Risultato impressionante i rossetti piu persistenti KIKO e DIOR sono diventati neri mentre quello meno persistente DEBORAH e la matita non contiengono piombo. Ora Dior e Kiko si trovano nel bidone dei rifiuti farmaceutici.

Maggiore è il contenuto di piombo, maggiore è il rischio di provocare il cancro. Dopo aver fatto un test su rossetti, le labbra hanno presentato il livelo massimo di piombo sul prodotto AVON. I rossetti che presentano queste caratteristiche nocive sono quelli "persistenti". Se il vostro rossetto è persistente, è dovuto ad alti livelli di piombo.
Fate questa prova:
1. Mettete un poco di rossetto sulla mano;
2. Passate un anello d'oro su questo rossetto;
3. Se il colore del rossetto tende al nero, contiene piombo.
Si prega di inviare queste informazioni a tutti i vostri amici.

PROTEGGIAMO LE NOSTRE AMATE DONNE... CONDIVIDETE!

L'indagine dettagliata è su Antibufala.info dal 2008, ma la riassumo qui per chi ha fretta:

  • il piombo non causa il cancro;
  • il piombo non è l'ingrediente che produce la persistenza dei rossetti;
  • il “test” proposto non rivela affatto l'eventuale presenza di piombo.



48 ore di sfide aperte NASA/ESA a Roma il 20-21 aprile. Siateci: potreste fare la differenza

6 de Abril de 2013, 21:00, por Desconhecido - 0sem comentários ainda

L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

C'è tanta gente che aspetta che le soluzioni piovano per magia dall'alto, grazie alle pensate di qualche comitato di saggi, e c'è gente che preferisce non aspettare, si rimbocca le maniche e fa. C'è chi lo chiama crowdsourcing e ci si sciacqua soltanto la bocca, e chi non perde tempo a chiamarlo e lo fa e basta.

L'innovazione dal basso, quella che nasce dalle idee dei cittadini, sembrerebbe un approccio sovversivo e malvisto dai governi, ma non è sempre così; non per tutti i governi, perlomeno. A Roma, al Dipartimento d'ingegneria della Sapienza, e in più di 70 altre città del mondo, il 20 e 21 aprile, questo approccio verrà incoraggiato nientemeno che dalla NASA e dall'Agenzia Spaziale Europea. Siete tutti invitati a collaborare: insegnanti, studenti, artisti, ingegneri, comunicatori, scienziati, smanettoni del software e dell'hardware.

Sto parlando dell'International Space Apps Challenge: due giorni di brainstorming e di incontri per fare lo sviluppo tecnologico, che si terranno in sette continenti e nello spazio, riunendo in varie città del mondo (e anche virtualmente) persone che vogliono realizzare soluzioni open source alle sfide globali, da affiancare a quelle di chi, silenziosamente, lavora nel mondo della ricerca convenzionale e a volte si trova ostacolato dalla burocrazia e dal pantano della proprietà intellettuale.

Le sfide proposte sono una cinquantina, su tantissimi temi: dalla stampa 3D all'identificazione distribuita delle meteore; dalla costruzione di microsatelliti alla produzione di app e video per illustrare i vantaggi forniti dall'esplorazione spaziale; dalla divulgazione scientifica all'arte; dalla lotta all'inquinamento alla sostenibilità. Tutto secondo licenze d'uso open.

Milano ieri (fonte: Repubblica)
La NASA, l'ESA, la JAXA, l'ASI, l'EPA e altri enti governativi internazionali mettono a disposizione la propria immensa collezione di dati e immagini. L'International Space Apps Challenge è anche un'occasione per incontrare e creare legami con altre persone geek come noi, per non arrendersi all'idea che al mondo esistano, e nei media si vedano, soltanto i rintronati che credono alle panzane vendute da Voyager, alle “scie chimiche” e alle prediche dei catastrofisti e degli imbroglioni anti-vaccini, e pensano di salvare il mondo con uno striscione.



48 ore di sfide aperte NASA a Roma il 20 e 21 aprile. Se volete cambiare il mondo, siateci

6 de Abril de 2013, 21:00, por Desconhecido - 0sem comentários ainda

C'è tanta gente che aspetta che le soluzioni piovano per magia dall'alto, grazie alle pensate di qualche comitato di saggi, e c'è gente che preferisci non aspettare, si rimbocca le maniche e fa. C'è chi lo chiama crowdsourcing e ci si sciaqua solo la bocca, e chi non perde tempo a chiamarlo e lo fa e basta.

L'innovazione dal basso, quella che nasce dalle idee dei cittadini, sembrerebbe un approccio sovversivo e malvisto dai governi, ma non è sempre così; non per tutti i governi, perlomeno. A Roma, al Dipartimento d'ingegneria della Sapienza, e in più di 70 altre città del mondo, il 20 e 21 aprile, questo approccio verrà incoraggiato nientemeno che dalla NASA e dall'Agenzia Spaziale Europea. Siete tutti invitati a collaborare: insegnanti, studenti, artisti, ingegneri, comunicatori, scienziati, smanettoni del software e dell'hardware.

Sto parlando dell'International Space Apps Challenge: due giorni di brainstorming e di incontri per fare lo sviluppo tecnologico, che si terranno in sette continenti e nello spazio, riunendo in varie città del mondo (e anche virtualmente) persone che vogliono realizzare soluzioni open source alle sfide globali. Le sfide proposte sono una cinquantina, su tantissimi temi: dalla stampa 3D all'identificazione distribuita delle meteore; dalla costruzione di microsatelliti alla produzione di app e video per illustrare i vantaggi forniti dall'esplorazione spaziale; dalla divulgazione scientifica all'arte; dalla lotta all'inquinamento alla sostenibilità. Tutto secondo licenze d'uso open.

La NASA, l'ESA, la JAXA, l'ASI, l'EPA e altri enti governativi internazionali mettono a disposizione la propria immensa collezione di dati e immagini. L'International Space Apps Challenge è anche un'occasione per incontrare e creare legami con altre persone geek come noi, per non arrendersi all'idea che al mondo esistano e facciano notizia soltanto i rintronati che credono alle panzane vendute da Voyager, alle “scie chimiche” e alle prediche dei catastrofisti e degli imbroglioni.

O se preferite, non fate niente e lasciate che gli imbecilli governino il nostro futuro.



Le cose che non colsi - 2013/04/07

6 de Abril de 2013, 21:00, por Desconhecido - 0sem comentários ainda

Questo articolo vi arriva grazie alla gentile donazione di “stuper” e “dlevi.m*”.

Torna, dopo una lunga pausa, la serie di post Le cose che non colsi: tutte le meraviglie che trovo in Rete e che non ho il tempo, purtroppo, di raccontare in dettaglio. Piuttosto che lasciarle andare, ve le segnalo almeno brevemente.

Nello spazio non si russa, si dorme benissimo, e si usano sia biro, sia matite. Cura definitiva per il russamento? Dormire in assenza di peso, come fa Chris Hadfield sulla Stazione Spaziale Internazionale, dove contrariamente a una popolare leggenda metropolitana si usano sia biro, sia matite. Lo ha detto lui su Twitter.

Il volo della capsula Dragon salvato per un pelo. Un microscopico errore di fabbricazione di una valvola stava per condannare al fallimento il secondo lancio del veicolo di rifornimento privato della ISS fabbricato da SpaceX. Software scritto in tempo reale, upload usando stazioni di trasmissione militari e altre cose da paura (Universe Today).

La NASA va a caccia di asteroidi per portarne uno a casa (forse). C'è un progetto NASA per andare a prendere un asteroide da 500 tonnellate e parcheggiarlo vicino alla Luna per studiarlo meglio, anche con equipaggi. Data prevista: 2019 (Associated Press).

Ma quanto è lontano Marte? Supponiamo che la Terra sia larga 100 pixel: a questa scala, quanto sarebbe lontano il pianeta rosso dove sta lavorando una squadra di nostri robot? Lo mostra graficamente, in maniera splendida, Distancetomars.com. Lo spazio è grande.

Time-lapse poetico dalla Stazione Spaziale. Non è il primo, lo so, ma la potenza delle immagini del nostro pianeta che arrivano dall'avamposto orbitante è sempre un incanto e non stanca mai.


Tappate la webcam; lo fanno anche gli esperti. C'è chi trova ridicolo ed eccessivamente paranoico mettere un pezzetto di nastro adesivo davanti alla webcam; ma esiste un circuito di guardoni digitali, i ratter, che spiano la gente attraverso queste telecamere. Ne ho parlato in una puntata recente del Disinformatico radiofonico. E si può disabilitare la luce-spia della webcam in alcuni modelli. Salta fuori che anche molti esperti di sicurezza, da Martin Muensch (FinFisher/FinSpy) a Mikko Hypponen (F-Secure) hanno, più o meno discretamente, tappato le proprie webcam (Sydney Morning Herald).

Sindone: le datazioni “alternative” di Giulio Fanti. Porta a porta e Voyager hanno presentato acriticamente le “scoperte” di Giulio Fanti che, guarda caso, dicono che la Sindone risalirebbe all'era di Cristo e non sarebbe quindi un falso medievale (come documentano invece tutte le altre indagini serie). Leggete questo articolo di Gian Marco Rinaldi per conoscere i metodi ben poco rigorosi di Fanti e la reazione della Chiesa a questa datazione. Spoiler: non è quella che immaginate (Queryonline).

Foto di ragazza che parla al cellulare nel 1938? Sabrina Pieragostini, nella sezione “scientifica” (sic) di Panorama, riprende un articolo del Daily Mail e ipotizza che un video del 1938 mostri una viaggiatrice nel tempo. Perché se vedi una ragazza che tiene qualcosa in mano vicino alla faccia in un filmato d'epoca, dev'essere per forza un cellulare e quindi lei dev'essere una crononauta. Non fa una grinza. A Panorama, quando sentono rumore di zoccoli, pensano subito che stia passando un unicorno.



Quando i dinosauri non erano digitali: Stan Winston fa scuola

6 de Abril de 2013, 21:00, por Desconhecido - 0sem comentários ainda

Questo articolo vi arriva grazie alla gentile donazione di “rejetto”.

Un tempo l'animazione digitale non c'era e ci si ingegnava con modelli fisici. Presso StanWinstonSchoool.com c'è una magnifica serie di video del maestro degli effetti speciali Stan Winston che spiega quanti degli effetti di Jurassic Park erano in realtà ottenuti con modelli reali e non con il computer.

Certo, significava costruire un tirannosauro a grandezza naturale, del peso di quattro tonnellate e mezza, capace di muoversi rapidamente grazie ad attuatori idraulici e a una squadra di marionettisti, o di infilare una persona dentro una tuta animatronica che gli faceva assumere le sembianze di un Velociraptor. Ma funzionava. Funzionava talmente tanto che molte delle scene di Jurassic Park che comunemente si pensa che siano “fatte al computer” son in realtà ottenute alla vecchia maniera: con il lavoro di artigiani e scultori che saldano alluminio e acciaio e costruiscono oggetti, non immagini virtuali.

Anche se non seguite l'inglese, guardate lo stesso questi video, specialmente se siete giovani figli dell'era digitale: le immagini parlano da sole e vi spalancheranno un mondo. I dettagli della storia del T-Rex sono in questo post sul sito di Stan Winston. Buona visione.














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